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Venerdi, 26 aprile 2024 - Misteri dolorosi - San Marcellino ( Letture di oggi )

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Vita di San Paolo apostolo di San Giovanni Bosco



San Paolo

Paolo dinanzi a Festo. - Sue parole al re Agrippa. Anno di Cristo 60.

Erano omai due anni da che il santo apostolo era tenuto prigione, quando a Felice succedette un altro governatore di nome Festo. Tre giorni dopo del possesso di sua carica il novello governatore andò in Gerusalemme e subito i principi de' sacerdoti ed i primari Giudei si recarono a lui per rinnovare le accuse contro al santo Apostolo. Gli dimandarono come favore particolare ch'egli lo facesse condurre a Gerusalemme, per essere giudicato nel sinedrio; ma ciò dicevano con animo di farlo assassinare lungo la strada. Festo, forse già avvisato di non fidarsi di loro, rispose che egli doveva presto ritornare in Cesarea; quelli tra di voi, diceva, che hanno qualche cosa da dire contro di Paolo, vengano anch'essi colà ed ascolterò le loro accuse.

Dopo alcuni giorni Festo ritornò a Cesarea e con lui i Giudei accusatori di Paolo. Il dì seguente fece venire il santo Apostolo davanti al suo tribunale, e i Giudei gli fecero molte gravi accuse, senza però poterne addurre le prove. Paolo rispose loro con poche parole, e i suoi accusatori si tacquero. Se non che Festo bramando di acquistarsi la benevolenza degli Ebrei, gli dimandò se voleva andare a Gerusalemme per essere giudicato nel gran Sinedrio in sua presenza. Accortosi Paolo che Festo inclinava a riporlo nelle mani de' Giudei: io, rispose, non ho fatto alcun male contro agli ebrei, come tu hai benissimo inteso; che se in me avvi qualche colpa, fossi anche reo di morte, non mi spavento, ma voglio essere giudicato al tribunale di Cesare, a lui mi appello. Questo appello del nostro Apostolo era giusto e secondo le leggi romane; perciocchè quel governatore dimostravasi disposto a dare un cittadino romano, conosciuto innocente, in potere degli Ebrei, che a qualunque costo il volevano morto. I santi padri riflettono, che non il desiderio della vita, ma il bene della Chiesa, lo inspirò di appellarsi a Roma, dove per divina rivelazione sapeva quanto doveva lavorare per la gloria di Dio e per la salute delle anime.

Festo dopo di aver conferito col suo consiglio rispose: ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai.

Non molti giorni dopo venne a Cesarea il re Agrippa, figliuolo di quell'Agrippa che aveva fatto morire S. Giacomo il maggiore e mettere in prigione S. Pietro. Egli era venuto con sua sorella, di nome Berenice, a fare i dovuti complimenti al nuovo governatore della Giudea. Essendosi ivi trattenuti varii giorni, Festo loro parlò del processo di Paolo. Agrippa dimostrò desiderio di udirlo. Per appagarlo Festo fece addobbare una sala con molta pompa, e invitando eziandio all'udienza i tribuni e gli altri magistrati fece condurre Paolo alla presenza di Agrippa e di Berenice. Ecco, disse Festo, quell'uomo contro cui ricorse a me tutta la moltitudine de' Giudei, protestando con grandi clamori essere egli indegno di vivere; io però non ho trovato in lui colpa di morte. Nondimeno essendosi appellato al tribunale dell' imperatore, io debbo mandarlo a lui. Ma poichè non ho alcuna cosa certa da scrivere al nostro sovrano, ho giudicato bene di condurlo davanti a voi, e principalmente avanti a te, o re Agrippa, acciocchè lo ascolti, lo interroghi, e dipoi mi dica che cosa debba scrivere, non parendomi cosa conveniente mandare un prigioniero a Roma senza dare informazioni intorno alla causa di sua prigionia.

Agrippa rivoltosi a Paolo disse: ti è permesso di parlare per tua difesa. Paolo cominciò a parlare cosi: «io mi giudico veramente fortunato, o Re, che oggi mi sia dato di fare le mie difese in tua presenza contro le accuse de' Giudei. Ti prego adunque di ascoltarmi colla solita tua bontà. tutti i Giudei sanno come nella mia gioventù ho professata la setta de' Farisei. Anche presentemente io sono accusato dagli Ebrei perchè credo alla futura risurrezione. Io però secondo i pregiudizi della mia setta giudicai di fare una crudel guerra contro di Gesù Nazareno. Il che feci primieramente in Gerusalemme, occupandomi a tutta possa per bestemmiare e far bestemmiare il suo nome. Non solo nella Giudea ma nei paesi stranieri mi diedi a perseguitare i cristiani. Per tale effetto colla facoltà dei principi dei sacerdoti io mi portava a Damasco, quando, o Re, sul mezzogiorno, nella pubblica strada vidi a risplendere intorno a me e intorno a quelli di mia compagnia una luce più viva di quella del sole. Tutti fummo gettati a terra; io solo intesi una voce che nel mio linguaggio nativo diceva: Saulo, Saulo, e perchè mi perseguiti? Qui avendo io dimandato chi egli fosse, mi udii replicare essere egl quel Gesù contro al quale io promoveva il fuoco della persecuzione. Soggiunse essermi apparso per mandarmi a portare la luce del Vangelo ai gentili, per aprire loro gli occhi, liberarli dalla potestà di Satana, e condurli a Dio mediante la fede in lui e la penitenza.

Cosi confortato da Dio mi diedi a predicare in tutte le parti della Giudea e finalmente ai gentili, ripetendo a tutti che facessero opere degne di penitenza. Unicamente per questa mia predicazione i giudei avendomi veduto nel tempio mi arrestarono e fecero ogni loro sforzo per uccidermi. Ma coll' aiuto divino ho finora attestato in faccia a tutto il mondo come Gesù Cristo ha patito, e morto e che di poi è risorto glorioso per non mai più morire, cose tutte predette da Mosè e dai profeti.»

Festo interruppe questo discorso dell'Apostolo e ad alta voce esclamò: tu sei pazzo, o Paolo, il molto studio e le molte lettere ti hanno sconvolto il cervello. A cui Paolo: io non son pazzo, o ottimo Festo, nè questi miei discorsi sono da pazzo, ma di verità e di buon senso. Il Re, alla cui presenza io parlo, deve essere certamente informato di tali cose. lo credo che egli le sappia tutte, essendo succedute pubblicamente. Credi, o Re Agrippa, ai profeti? Io son certo, che tu presti loro un'intera credenza.

Interruppe Agrippa dicendo: poco ci manca, o Paolo, che tu mi faccia cristiano. Ed io, replicò Paolo, prego Iddio che nulla ci manchi, sicchè non solo tu, o Re, ma ancora tutti quelli che mi ascoltano, in questo medesimo giorno divengano come sono io, ma senza queste catene.

Allora il Re, il Governatore, Berenice e gli altri assessori si alzarono, e ritiratisi in disparte si consigliarono sul parere da proferire. Conchiusero tutti di non trovare in Paolo cosa alcuna che meritasse o morte o catene nè alcun' altra benchè minima pena.

Agrippa disse chiaramente a Festo, che lo avrebbe potuto mettere in libertà se egli non si fosse appellato a Cesare.

Così il ragionamento di Paolo, che avrebbe dovuto convertire tutti quei giudici, servi a nulla, perchè essi chiusero il cuore alle grazie che Dio voleva loro compartire. È questa un'immagine di quei cristiani che ascoltano la parola di Dio, ma non si risolvono di mettere in pratica le buone inspirazioni che talora sentonsi nascere in cuore.

Fonte: http://www.donboscosanto.eu/