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Venerdi, 26 aprile 2024 - Misteri dolorosi - San Marcellino ( Letture di oggi )

San Giovanni Bosco:Fuggite ogni abitudine anche la più indifferente: dobbiamo abituarci a fare del bene e non altro: il nostro corpo è insaziabile: più gliene diamo, più ne domanda, meno gliene si dà meno egli domanda.
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Catechesi sulla confessione per il Tempo di Quaresima



Quaresima

L'arte di confessarsi: Parte quarta.



Una forma di inquietudine che, insieme agli scrupolosi, assilla anche i sinceri verte sulla qualità della contrizione e si esprime sovente in questo modo: "a che pro accusare un dato peccato, visto che non me ne pento assolutamente e so che ci ricadrò?" Siamo al tema della ferma intenzione.

Distinguiamo accuratamente il "prevedere che si ricadrà" dal "voler ricadere".

Senza dubbio il penitente che vuole ricadere, che è deciso a rinnovare, alla prima occasione, la sua colpa, non è un "penitente", in quanto non ha alcuna contrizione. Illudendosi sull'efficacia dell'assoluzione, egli abusa del sacramento che non può cancellare un peccato senza che esso sia disapprovato dal suo autore.

Ma questo non è, grazie a Dio!, il caso abituale. I più hanno semplicemente un acuto sentimento della propria debolezza, giustificato dall'infelice esperienza delle ricadute, per cui credono di sapere che la loro buona intenzione, messa alla prova ancora una volta, non sarà più efficace in avvenire di quanto lo sia stata nel passato. E così pensano di non aver la contrizione... Ma è un errore. In fondo, essi definiscono "male" il male che hanno commesso, vorrebbero non averlo fatto ed essere capaci di non ricaderci mai più.

Ma è proprio questa, la contrizione! Dio non ci chiede, per perdonarci, di essere sicuri di non ricadere (una certezza del genere somiglierebbe molto alla presunzione). Egli ci chiede di impegnarci a fare quanto è in noi, con l'appoggio promesso della Sua grazia, per evitare nuovamente il peccato. Se questo proposito è in noi, non dobbiamo temere l'ipocrisia e l'insincerità. I nostri oscuri pronostici non lo modificano e poggiano su una biasimevole sfiducia rispetto alla grazia del sacramento. Il sacramento della Penitenza è un mezzo di progresso non tanto per lo sforzo psicologico che ci richiede, quanto perchè applica alla nostra anima malata il sangue espiatorio e meritorio di Gesù Cristo, che è il suo rimedio. Non solo Gesù ci accorda il perdono che ha ottenuto a nostro beneficio per la Sua Passione, ma Egli ci dà delle grazie di purificazione e di forza per le nuove lotte da sostenere, e proprio in relazione ai peccati che abbiamo sottoposto all'assoluzione. E' in queste grazie che dobbiamo avere fiducia, non nelle problematiche capacità di resistenza della nostra buona volontà. Non preoccupiamoci dunque per il "domani". La grazia del domani sarà sufficiente al domani, purchè si mantenga la fiducia e si stia in preghiera. Oggi, abbiamo la grazia di oggi, una grazia di contrizione. Volersi immaginare la tentazione di domani, è assumersi un fardello per il quale non riceviamo nessun aiuto: nessuno stupore quindi se ci sembra troppo pesante e ci opprime in anticipo.

In ogni caso, non stiamo facendo un invito alla trascuratezza. L'accusa deve completarsi con una risoluzione, la cui esecuzione sarà affidata al soccorso divino, ma sostenuto dalla volontà.

Perchè sia efficace, deve essere precisa e centrata su un determinato peccato da evitare, non sull'insieme delle colpe accusate nè, di norma, su numerosi peccati. Meglio ancora sarebbe impegnarsi a prevedere, in base all'esperienza passata, le circostanze che potrebbero portarci a cadere e le "occasioni" che rischierebbero di trascinarci in una ricaduta. E dovremmo concentrare la fermezza su queste occasioni da evitare. Quando constatiamo che certe frequentazioni ci inducono alla maldicenza, che determinate letture ci orientano all'impurità, che un cassetto aperto risveglia dei rancori mal sopiti, che un certo genere di conversazione eccita la nostra bile: la risoluzione dovrà essere quella di fuggire quella compagnia, di proibirsi quelle letture, di lasciar chiuso quel cassetto, di evitare quel tema di conversazione. Agire così significa accettarci per quello che siamo, capaci di soccombere là dove un altro rimarrebbe forte; non si tratta di "tentare Dio" esponendosi presuntuosamente, ma di essere logici con la propria contrizione.

Per aiutarci a mantenerla meglio, sarebbe opportuno confidare, di quando in quando, la nostra risoluzione al confessore dopo l'accusa dei peccati.

Praticata in questo modo, la confessione non sarà più, come troppo sovente accade, quella fastidiosa ripetizione di peccati "standards" che la trasforma in un'incombenza pesante ed ingrata. Essa diventerà uno dei più potenti mezzi di santificazione che la Chiesa di Cristo mette a nostra disposizione. Presentandoci al tribunale della penitenza, saremo consapevoli di presentarci al Cristo in croce che detiene nelle sue mani crocifisse il perdono ottenuto a nostro beneficio, il sangue con cui Egli vuole lavarci. Coscienti della nostra miseria, con lo sguardo lucidamente rivolto alle nostre debolezze quotidiane, fiduciosi nella Sua misericordia dopo averLo supplicato di farci detestare il nostro peccato, noi varcheremo la soglia del confessionale nell'umile disposizione del figliol prodigo: 'Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non son degno di essere chiamato tuo figlio."

Potremo così ritirarci con una forza nuova, fondata sulla certezza liberatrice: "Vai in pace, figlio mio, la tua fede ti ha salvato."