Vita di Santa Margherita Alacoque
Vita di Santa Margherita Alacoque - Parte 4
11. Malattia della madre
La più dura delle mie croci era non poter addolcire i tormenti di mia madre, che mi erano cento volte più difficili da sopportare dei miei, sebbene non le offrissi mai l'occasione di parlarmene, per paura di offendere Dio prendendo gusto a parlare delle nostre pene. Era durante le sue malattie che la mia sofferenza si faceva maggiore, perché lei, interamente affidata alle mie cure e ai miei servizi, soffriva molto; tanto più che ogni cosa era sotto chiave e mi toccava andar a elemosinare persino le uova e le altre cose necessarie a curare i malati. Questo non era un tormento lieve per il mio carattere timido, specie avendo a che fare con i contadini che mi intrattenevano più di quanto avessi voluto. Mia madre ebbe una mortale risipola alla testa, di grossezza, rossore e durezza spaventosi, e si limitarono a farla salassare da un chirurgo di campagna di passaggio, il quale mi disse che a meno di un miracolo non si sarebbe salvata. Senza che nessuno se ne dolesse, né provasse pena tranne me, che potevo solo ritirarmi nel mio consueto rifugio e rivolgermi alla santa Vergine e al mio sovrano Maestro, gli unici ai quali potevo svelare le angosce che mi attanagliavano, senza doverne ricevere scherno, ingiurie o accuse. Mi recai dunque alla messa il giorno della circoncisione dì Nostro Signore, per chiedergli di divenire lui stesso il medico e la cura per la mia povera madre e di mostrarmi quanto dovevo fare. Lui lo fece con tale misericordia che, non appena rientrata, trovai la guancia di mia madre aperta da una piaga grande come un palmo, che emanava un fetore intollerabile, e nessuno voleva avvicinarsi. Non avevo alcuna nozione su come curare le piaghe e non riuscivo a guardarle né a toccarle, prima di allora, e non disponevo di altro unguento che quello della divina provvidenza. Tagliavo tutti i giorni pezzi di carne marcia, ma provavo tale coraggio e fiducia nella bontà del mio Signore, che sentivo sempre presente, che alla fine, contro ogni previsione umana, mia madre guarì in capo a pochi giorni. Durante tutto il tempo della malattia, non mi coricai né dormii quasi per nulla; mangiavo pochissimo e digiunai per giorni interi. Ma il mio divino Maestro mi consolava e mi faceva sentire in perfetta conformità col suo santissimo volere e solo con Lui mi lasciavo andare, dicendogli: «O mio sovrano Maestro, se non lo voleste, tutto ciò non accadrebbe; ma io vi rendo grazie per averlo permesso alfine di rendermi simile a Voi».
12. Attrazione per la preghiera
E in tutto ciò mi sentivo profondamente attratta dalla preghiera e mi faceva soffrire molto il fatto di non sapere e non poter apprendere come si doveva pregare, non avendo mai avuto contatti con persone spirituali; non conoscevo altro che la parola «orazione», la quale rapiva il mio cuore. E mi rivolsi al mio sovrano Maestro, che mi spiegò come voleva che io pregassi; e ho pregato così per tutta la mia vita. Mi faceva prosternare umilmente davanti a Lui, per chiedergli perdono di tutte le offese che gli avevo fatto e poi, dopo averlo adorato, potevo offrirgli la mia preghiera, anche se non sapevo come proseguire. In seguito Lui stesso mi appariva nel mistero che voleva che io contemplassi, e prendeva fortemente possesso del mio spirito, tenendo la mia anima e tutte le mie forze fisse su di sé, al punto che non riuscivo più a distrarmi, perché il mio cuore si consumava nel desiderio di amarlo e questo m ' infondeva un desiderio insaziabile di comunione santa e di sofferenza. Non sapevo come fare. Avevo tempo solo durante la notte e ne approfittavo al massimo, ma, sebbene questa occupazione mi fosse piacevole oltre ogni dire, non la consideravo una preghiera ed ero sempre desiderosa di applicarmi; gli promisi che, se mi avesse insegnato a pregare, avrei passato il maggior tempo possibile pregando. Tuttavia, la sua bontà non mi faceva andare oltre quanto ho appena descritto ed ero disgustata dalle preghiere solo verbali, che non riuscivo a formulare al cospetto del santo Sacramento, di fronte al quale mi sentivo così presa, che non mi stancavo mai di contemplano.
13. Amore per il santo Sacramento e desiderio della Comunione
Avrei trascorso giorni e notti senza bere né mangiare, senza sapere cosa stessi facendo, a parte consumarmi alla presenza del santo Sacramento come un cero acceso, al fine di ricambiare il suo amore. Non riuscivo a rimanere in fondo alla chiesa e, per quanto imbarazzo provassi dentro me, mi avvicinavo il più possibile al santissimo Sacramento. Ritenevo felici e invidiavo solo quelle persone che potevano comunicarsi spesso e che erano libere di restare davanti al santissimo Sacramento, sebbene io impiegassi male il tempo che trascorrevo li e credo che non facessi altro che disonorarlo. Cercavo di procurarmi il favore delle persone che ho menzionato prima, al fine di ottenere qualche momento da passare davanti al santo Sacramento. Accadeva che, in punizione dei miei peccati, non riuscivo a dormire la notte di Natale e il curato urlava durante la predica che chi non aveva dormito non doveva comunicarsi e io non osavo farlo. Così quel giorno di gioia era per me un giorno di lacrime, che erano il mio cibo e ogni mio diletto.
14. La sua colpa più grande
Ma avevo anche commesso crimini terribili! Una volta a Carnevale, insieme ad altre compagne, mi mascherai per pura vanità e questo è stato causa di lacrime e dolore per tutta la mia vita, come pure l'altro peccato di abbigliarmi, cedendo alla vanità, per compiacere quelle persone che ho prima menzionato e che Dio ha utilizzato come strumenti della giustizia divina, al fine di vendicarsi delle ingiurie che gli ho fatto con i miei peccati. Quelle persone erano virtuose e non credevano di farci del male con tutto ciò che ci hanno fatto, e anch'io ero convinta che non ce ne facessero, perché era il mio Dio che voleva così e io non portavo loro alcun rancore.