Vita di Santa Margherita Alacoque
Vita di Santa Margherita Alacoque - Parte 31
107. Le posa sulla testa una corona di spine
Una volta che mi recavo alla santa comunione, l'ostia santa mi parve risplendente come un sole, di cui non riuscivo a sostenere il bagliore.37 Li in mezzo, Nostro Signore teneva una corona di spine, che mi posò sulla testa dicendomi: « Ricevi, figlia mia, questa corona in segno di quella che ti sarà presto data per renderti conforme a me». Allora non compresi quel che voleva dire, ma ben presto lo capii dagli effetti che ne seguirono: due terribili colpi che ricevetti sulla testa, di modo che da allora mi sembra di averla tutta circondata da spine di dolore acuminatissime, le cui trafitture finiranno con la mia vita. Di questo rendo grazie infinite a Dio, che dispensa favori così grandi alla sua meschina vittima. Ma, ahimè, come dico spesso, le vittime devono essere innocenti e io sono solo una criminale. Confesso che mi sento più in debito col mio Sovrano per questa preziosa corona, che se mi avesse fatto dono di tutti i diademi dei più grandi monarchi della terra. Tanto più che nessuno me la può togliere e che mi costringe spesso a vegliare pensando all'unico oggetto del mio amore, perché non posso appoggiare la testa sul capezzale, a imitazione del mio buon Maestro, che non poteva appoggiare la sua testa adorabile sul letto della Croce. Mi faceva provare gioie e consolazioni inconcepibili il fatto di vedere in me qualche rassomiglianza con Lui. Era con questo dolore che voleva domandassi a Dio suo Padre, in virtù della sua corona di spine cui aggiungevo la mia, la conversione dei peccatori e l'umiltà per quelle teste orgoglio-se, la cui vanagloria gli è così sgradita e ingiuriosa.
108 Porta la Croce con Nostro Signore e accetta di essere crociftssa da un 'acuta malattia
Un'altra volta, in periodo di Carnevale, cioè circa cinque settimane prima del mercoledì delle ceneri, si presentò a me dopo la santa comunione in forma di un Ecce Homo, gravato della sua Croce, tutto coperto di piaghe e lividi. Il suo sangue adorabile colava da ogni parte e Lui diceva con voce dolorosamente triste: «Non ci sarà nessuno che abbia pietà di me e che voglia compatirmi e prendere parte al mio dolore nel pietoso stato in cui mi riducono i peccatori, soprattutto in questo periodo». Io mi presentai a Lui, prosternandomi ai suoi sacri piedi con lacrime e gemiti, e mi caricai sulle spalle quella pesante croce, tutta irta di chiodi. E sentendo-mi schiacciata da quel peso, cominciai a capire meglio la gravità e la malizia del peccato, detestandola tanto nel mio cuore, che avrei preferito mille volte precipitare nell'inferno, piuttosto che commetterne uno volontariamente. « O maledetto peccato», dicevo, «come sei detestabile, tu che ingiuri il mio sovrano Bene!». Ma il mio Signore mi mostrò che non era sufficiente portare la Croce, perché bisognava che vi fossi appesa con Lui e che gli tenessi fedele compagnia partecipando ai suoi dolori, al disprezzo, agli obbrobri e a tutte le altre indegnità che soffriva. Mi abbandonai subito a tutto quanto Lui desiderava fare in me e di me, lasciandomi appendere secondo il suo desiderio, con un tormento che mi fece presto sentire le punte acute dei chiodi di cui quella croce era cosparsa. Erano vivissimi dolori che suscitavano, invece che compassione, solo disprezzo e umiliazioni e molte altre cose penose per la natura umana. Ma, ahimè, cosa mai potrò io soffrire, che possa uguagliare la grandezza dei miei crimini? Questi mi fanno sprofondare continuamente in un abisso di vergogna, da quando il mio Dio mi ha fatto vedere l'orribile immagine di un'anima in peccato mortale e la gravità del peccato che, ferendo una bontà infinitamente amabile, gli è estremamente ingiuriosa. Questa vista mi fa soffrire più di tutte le altre pene e vorrei con tutto il cuore aver cominciato a soffrire tutte le pene che l'espiazione dei miei peccati richiede, pur di prevenirli e impedirmi di commetterli, piuttosto che essere così miserabile da averli commessi. Anche se sono sicura che il mio Dio, nella sua infinita misericordia, me li perdonerebbe senza darmi quelle pene.
109. Le sue sofferenze durante il Carnevale
Questo stato di sofferenza, di cui ho appena parlato, mi durava normalmente per tutto il periodo di Carnevale fino al mercoledì delle ceneri, e ne ero ridotta allo stremo, senza poter trovare conforto o sollievo che non aumentasse ulteriormente le mie sofferenze. Poi, d'improvviso, trovavo abbastanza forza e vigore per il digiuno quaresimale, cosa che il mio Sovrano mi ha sempre concesso la misericordia di fare, sebbene talvolta mi ritrovassi oppressa da tanti dolori, che spesso, cominciando un esercizio, mi pareva che non sarei riuscita a portarlo a termine. E invece ne cominciavo un altro con lo stesso dolore, dicendo: «O mio Dio, fatemi la grazia di riuscire ad andare sino in fondo!». Così rendevo grazie al mio Sovrano, perché scandiva i miei momenti con l'orologio delle sue sofferenze, per far rintoccare tutte le ore con la ruota dei suoi dolori.
110. Nostro Signore talvolta le dispensava gioie invece dei dolori che aveva chiesto
Quando voleva gratificarmi con una nuova Croce, Lui mi preparava con tale abbondanza e piaceri spirituali, che mi sarebbe stato impossibile sopportarli se si fossero protratti, e allora dicevo: « O mio unico Amore, vi sacrifico tutti questi piaceri! Conservateli per quelle anime sante che vi glorificheranno più di me. Io desidero Voi solo, nudo sulla Croce, li dove voglio amare solo Voi per amor vostro. Toglietemi dunque tutto il resto, di modo che vi ami senza mescolare altri interessi o piaceri». Talvolta, in questo periodo, si divertiva a contraria-re i miei disegni, come un direttore saggio ed esperto, facendomi godere quando avrei voluto soffrire. Confesso che entrambe le cose provenivano da Lui e che tutti i beni che mi ha fatto sono frutto della sua pura misericordia. Infatti, mai una creatura gli ha opposto resistenza quanto me, per via della mia infedeltà e del grande timore che avevo di essere ingannata. E cento volte mi sono stupita che non mi abbia annientata o che non mi abbia fatta sprofondare a causa delle mie molteplici resistenze.
111. La divina Presenza era severa quando aveva fatto qualeosa di sgradito a Nostro Signore
Ma per quanto grandi siano le mie colpe, quest'unico Bene della mia anima non mi priva mai della sua divina presenza, così come mi ha promesso. Ma, quando gli arreco dispiaceri, me la rende così terribile, che non c'è tormento che mi parrebbe più dolce e cui non mi sacrificherei mille volte, piuttosto che sopportare questa divina presenza e comparire al cospetto della santità di Dio con l'anima macchiata da qualche peccato. In quei momenti, avrei preferito nascondermi e allontanarmi se avessi potuto, ma ogni mio sforzo era inutile, perché ovunque trovavo ciò che stavo rifuggendo, con tormenti così spaventosi che mi pareva di essere in purgatorio. Tutto in me soffriva, senza conforti né desiderio di trovarne, e talvolta mi ritrovavo a dire nella mia dolorosa amarezza: «Oh, che cosa terribile è cadere nelle mani del Dio vivente! ». Ed ecco come purifica le mie colpe, quando non sono abbastanza pronta e fedele da punirmi da sola. Mai ricevo grazie particolari dalla sua bontà che non siano precedute da tormenti di questo genere. E dopo averle ricevute, mi sento sprofondare in un purgatorio di umiliazione e confusione, dove soffro più di quanto riesca a esprimere. Ma conservo sempre una pace inalterabile, con la sensazione che nulla può turbare il mio cuore, sebbene la parte inferiore sia spesso agitata dalle mie passioni e dal mio nemico. Questi, infatti, prodiga tutti i suoi sforzi, perché non c'è nulla in cui sia più potente e sa bene che il suo grosso guadagno lo trova in un'anima turbata e inquieta. Il demonio sa come farne il suo giocattolo e renderla incapace di ogni bene.