Vita di Santa Margherita Alacoque
Vita di Santa Margherita Alacoque - Parte 26
89. Particolare tentazione un giorno in cui occupa il posto del re davanti al santo Sacramento
Il mio persecutore non cessava di tentarmi con ogni mezzo, ma non con l'impurità, perché il mio divino Maestro gliel'aveva proibito, anche se una volta mi fece soffrire pene spaventose, che ora dirò. Fu una volta in cui la mia superiora mi disse: «Va' a occupare il posto del re davanti al santo Sacramento». Ci andai e mi sentii così fortemente aggredita da abominevoli tentazioni d'impurità, che mi pareva di essere già all'inferno. Sopportai questa pena per molte ore e durò finché la superiora non mi liberò da quell'obbedienza, dicendomi di non occupare più il posto del re davanti al santo Sacramento, bensì quello di una buona religiosa della Visitazione. Immediatamente le mie pene cessarono. Mi ritrovai immersa in un diluvio di consolazioni, durante il quale il mio Sovrano m'insegnò quel che voleva da me.
90. Trova ovunque te amarezze del Calvario
Voleva pure che fossi un continuo atto di sacrificio e, a tal fine, avrebbe accresciuto la mia sensibilità e le mie ripugnanze, in modo che non facessi nulla senza dolore e senza fare violenza a me stessa, per così darmi motivo di vittoria anche nelle cose minori e poco importanti. Posso assicurare che d'allora innanzi ho provato tutte queste cose.
Inoltre, Lui voleva che assaporassi dolcezze solo nelle pene del Calvario e mi avrebbe fatto trovare un martirio di sofferenza in tutto ciò che potevano procurare la gioia, il piacere e la felicità terrena degli altri. Questo me l'ha fatto provare in maniera intensa, perché tutto quanto si chiama piacere è divenuto per me un supplizio. Infatti, anche durante i piccoli svaghi che ogni tanto ci concediamo, soffrivo più che se mi fossi ritrovata negli ardori d'una febbre violentissima, ma Lui voleva che me ne concedessi come chiunque altra. Questo mi spingeva a dirgli: «Mio sovrano Bene, quanto mi costa caro questo piacere!». Il refettorio e il letto erano per me tali luoghi di pena, che solo ad avvicinarmi gemevo e versavo lacrime. Il lavoro esterno e il parlatorio mi erano insopportabili e non ricordo di esserci mai andata senza una ripugnanza che riuscivo a superare solo facendomi una grande violenza. M'inginocchiavo per chiedere a Dio la forza di vincermi. Anche lo scrivere era un martirio, non solo perché scrivevo in ginocchio, ma anche per il dolore che me ne veniva. La stima, le lodi e i plausi mi facevano soffrire più di quanto tutte le umiliazioni, il disprezzo e le abiezioni avrebbero fatto soffrire le persone più vane e ambiziose di onori. In quelle circostanze finivo per dire: «O mio Dio, scatenate tutte le furie dell'inferno contro di me, piuttosto che le lingue degli uomini, piene di vane lodi, di adulazione e di plausi. Preferisco che si riversino su di me tutte le umiliazioni, i dolori, i contrasti e le vergogne».
91. Nostro Signore vuole che accolga tutto come se provenisse da Lui e che si occupi solo di Lui
Quanto alla sofferenza, Lui me ne dava una sete insaziabile, anche se in certe occasioni me ne faceva provare di molto forti, al punto che talvolta non potevo impedirmi di darlo a vedere. Questo mi era insopportabile, perché mi sentivo poco umile e mortificata quando non riuscivo a soffrire senza che trasparisse all'esterno. Tutta la mia consolazione era nel ricorrere all'amore che avevo per la mia abiezione e che mi faceva rendere grazie al mio Sovrano, dal momento che mi faceva apparire qual ero, così annientandomi nella stima degli altri. Inoltre, voleva che accogliessi ogni cosa come se venisse da Lui, senza procurarmi nulla da sola, e che abbandonassi tutto a Lui, senza disporre di nulla. Dovevo rendergli grazie delle sofferenze come dei piaceri e, nelle occasioni più dolorose e umilianti, pensare che me lo meritavo, così come offrire il dolore che pativo per le persone che me lo infliggevano. E, ancora, dovevo parlare di Lui sempre con grande rispetto, e del prossimo con stima e pietà, ma mai di me stessa, se non brevemente e con disprezzo, tranne quando, per la sua gloria, mi avrebbe chiesto di fare altrimenti. Del pari, dovevo attribuire sempre tutto il bene e tutta la gloria alla sua sovrana Grandezza, e a me tutto il male. Non dovevo cercare alcuna consolazione al di fuori di Lui e, quando me ne avesse data, dovevo sacrificargliela rinunciandovi. Infine, dovevo non tenere a nulla, essere vuota e spogliata di tutto, non amare altri che Lui, in Lui e per amore di Lui, non contemplare che Lui in ogni cosa e gli interessi della sua gloria in un perfetto oblio di me stessa. E sebbene dovessi compiere ogni mia azione per Lui, voleva che in ognuna ci fosse direttamente qualcosa per il suo divino Cu~ re. Per esempio, durante la ricreazione bisognava che gli dessi la sua ricreazione, fatta di dolori, di mortificazioni e tutto quanto avrebbe procurato di non farmi mancare e che, per questo motivo, dovevo ricevere con piacere. Allo stesso modo in refettorio voleva che lo invitassi a pranzo sacrificandogli quel che più mi piaceva, e così voleva facessi per tutti gli altri miei atti. Inoltre, mi proibiva di giudicare, accusare e condannare altri che me stessa. Mi diede ancora molti precetti e, poiché la loro quantità mi stupiva, mi disse che non dovevo temere nulla, perché Lui era un buon Maestro, tanto potente da farmi mettere in pratica ciò che m'insegnava, e tanto sapiente da saper bene insegnare e guidare. Posso assicurare che, nonostante le mie ripugnanze naturali, mi faceva fare quello che voleva.