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Mercoledi, 1 maggio 2024 - Misteri gloriosi - San Giuseppe Lavoratore ( Letture di oggi )

Santa Faustina Kowalska:Mi trovai rapita in spirito con lo sguardo nel futuro. Ed ecco, davanti a me, l'immagine del Salvatore misericordioso. Vidi l'immagine come se fosse viva. Attorno ad essa stavano appesi numerosi ex-voto. Scorgevo, al tempo stesso una folla immensa di gente che vi conveniva e potei notare come molti, tra la folla, traboccavano di gioia.
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Biografia di Santa Clelia Barbieri



Santa Clelia Barbieri



Il colera del 1855

Per un quinquennio, nella casa del pigionante Sante Barbieri, c'è una grande pace. Sono anni felici, da poveretti. Una prima ombra passa su quella lim­pida gioia il 29 giugno 1853. Muore a 70 anni nonna Rosa. Poi, nel 1855, scoppia il colera.

Su questa calamità si sono scritti fiumi di inchio­stro. A Bologna e provincia, su un totale di 567.795 abitanti, si ebbero 19.916 casi di colera, con 12.242 morti. Nel persicetano gli affetti dal cholera morbus furono 687, con 427 morti; alle Budrie 79 i colpiti e 47 (o 46, secondo le fonti) i deceduti per il morbo asia­tico, come lo definisce il libro dei morti.

Il papà di Clelia è uno dei primi a subire il conta­gio: muore di una forma fulminante. Forse si è alzato come al solito per andare al lavoro, e alle 2 del pome­riggio si è spento fra dolori atroci. Era l'11 luglio 1855.

Alcuni aspetti esterni possono rendere l'atmosfera di quei giorni.

I morti erano portati in fretta al cimitero, quasi clandestinamente, e sepolti in una buca profonda con due quartiroli di calce sulla bara. In mezzo ai campi di notte bruciavano i pagliericci. Ci fu una protesta scritta da parte degli ospiti del ricovero di S. Gio­vanni, perché i pagliericci che ardevano nella notte creavano una cupa visione che li sgomentava. Non si suonavano le campane a morto per non intimorire la gente.

Si distrussero le melonaie, ritenute responsabili del sintomo dissenterico con cui si manifestava il colera. Si verificò un esodo dai grossi centri, come noi lo ricordiamo negli anni dell'ultima guerra mondiale: andavano a stare in luoghi remoti per sfuggire al morbo. Verso la fine del 1855, al termine del colera, ci fu una ripresa festaiola, perché il pubblico della città e del contado voleva cancellare il ricordo del calamitoso evento.

Nella povera stamberga dei Barbieri è rimasto un uomo di 75 anni, nonno Sante, che lavorerà fino agli 80, ora del suo congedo; mamma Giacinta, ormai quarantenne; Clelia di 8 anni, Ernestina di 5.

Il maestro del villaggio

Anche il maestro delle Budrie, Geremia Neri, col­pito dai primi sintomi del male, il 20 ottobre - forse nella stessa aula scolastica adiacente l'abitazione - si era messo a letto con quel senso di indicibile oppres­sione che i medici chiamavano «cingolo colerico».

Con la forte fibra contadina lottò per 13 giorni, finché il dott. Zeffirino Nanetti lo dichiarò fuori peri­colo. Non fa meraviglia che al suo ritorno a scuola, col volto segnato e con la bella voce spenta, sulla fine di novembre, gli alunni lo guardassero come un fanta­sma. Tutto il paese si congratulò sinceramente con lui, con la moglie Angela Biondi e con le cinque figlie.

Il maestro pubblico di San Bartolo aveva 60 anni suonati e 26 di onorata carriera. Tutti lo considera­vano ormai un'istituzione: consultato come un ora­colo da poveri e benestanti, collaboratore dei parroci, segretario di tutte le opere e confraternite, capo degli operai della dottrina cristiana, era come l'ago della bilancia nella comunità delle Budrie.

La casa del maestro

Il regolamento delle scuole comunitative, quando la casa adibita ad uso scolastico si affacciava alla pub­blica via, faceva obbligo ai maestri di esporre un'inse­gna che indicasse l'esistenza della scuola. Di qui il titolo divulgato di «casa del maestro» dato alla resi­denza di Geremia Neri. È presumibile ancora che sulla porta di quella bicocca sapienzale campeggiasse lo stemma dell'arcivescovo Oppizzoni, dalla scritta longanime «omnia cum tempore».

In tutto il comune si contavano cinque scuole ele­mentari maschili; e due scuole superiori: una di lati­nità e l'altra di umanità e retorica, secondo l'indirizzo un po' aulico in vigore prima dell'unità d'Italia. Alla scuola elementare delle Budrie, che apriva i battenti il 5 ottobre, convenivano ragazzi da S. Maria in Strada,

da Tivoli, da Castagnolo, da S. Giacomo del Marti­gnone; si raccoglieva così una piccola popolazione scolastica dai 50 ai 70 alunni. Non era raro, dati i tempi, che nella classe dei principianti sedessero alunni di 10 anni e più. Per l'ambito femminile l'anal­fabetismo era la norma. Il vuoto d'iniziativa pubblica fu in parte colmato dalle scuole della Provvidenza, trapiantate nel persicetano dal can. Rinaldo Pance­rasi, dopo le positive esperienze realizzate altrove; e dalle scuole notturne o domenicali promosse da mons. Giuseppe Bedetti fin dal 1838 per la città di Bologna, a favore degli strati più poveri e depressi del popolo, poi diffuse in tutta la diocesi.

Se, nell'insegnamento superiore a S. Giovanni in Persiceto, emergeva fra tutti il lughese Gianfrancesco Rambelli, ragguardevole figura di erudito e di poli­grafo, alla base della piramide scolastica spiccava Geremia Neri, luminare della povera gente.

A metà strada

La prova ha accentuato la precocità di Clelia. La sua età psicologica è assai superiore a quella anagra­fica. L'esperienza, profonda e marcata dal dolore, ha determinato sia fisicamente che interiormente una straordinaria maturità.

Questo carattere si manifesta la prima volta, in maniera netta, nella prima Comunione, il 24 giugno 1858, un anno dopo la visita di Pio IX a S. Giovanni in Persiceto.