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San Giovanni Bosco:Tre mali sommamente da fuggirsi: la bestemmia, la disonesta, il furto.
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Biografia di Santa Clelia Barbieri



Santa Clelia Barbieri



L'impronta eucaristica

Il 1858 risultò memorabile per la parrocchia delle Budrie. Vi fu la missione per l'acquisto del giubileo; e, il 17 giugno, la visita pastorale del card. Michele Viale Prelà con la Cresima, a cui fu ammessa anche Ernestina. Poi, una settimana dopo, il primo ban­chetto eucaristico che doveva segnare di un'impronta incancellabile l'anima della nostra protagonista.

Clelia ha 11 anni. È a metà del cammino. La comunità intera respira la grazia di quel giorno e di quell'anno santo, ma Gesù-pane di vita eterna ha per l'orfana di Giuseppe Barbieri un dono e una luce par­ticolare.

Fu toccata nell'intimo, tanto che all'uscire di chiesa con le sue amiche dal velo bianco (e fra queste l'inseparabile Violante Garagnani) ebbe una reazione imprevedibile. Passò dalla gioia grande a uno scoppio di pianto, corse a casa e si buttò ai piedi dell'imma­gine di Maria che era sull'altarolo di cucina.

Cosa avvenne in quel momento? Suor Imelde lo dice con tutta semplicità: Clelia visse la prima espe­rienza mistica.

Purificata da una contrizione intensa - ma che peccati poteva piangere? - e illuminata da un raggio interiore, ebbe l'intuizione globale del suo futuro nella duplice linea contemplativa e attiva. Vide avanti, limpidamente.

Seguono anni di rapida crescita. Questa piccola anima si allunga e si espande, acquistando quella fisionomia spirituale e apostolica che oggi è il segno della sua gloria.

Complice, per così dire, di questa maturazione, oltre il lavoro segreto dello Spirito Santo, è una guida sacerdotale - il parroco don Gaetano Guidi, succe­duto all'ardente Setanassi, spentosi un anno dopo il colera - e una fraternità giovane, inserita nella comunità di paese come lievito nella pasta: Clelia, Teodora Baraldi, Violante Garagnani, Adelaide Coc­chetti. Il curatino delle Budrie

Un ruolo di prim'ordine in questa invenzione di santità spetta appunto a don Gaetano Guidi, tipo sobrio e discreto, quasi agli antipodi dell'impeto romagnolo del suo predecessore. Un efficace biglietto da visita è il tema del suo esame di concorso per la cura d'anime delle Budrie, che lo vide designato con tutte fave bianche: «Questa generazione malvagia e adultera cerca un segno e non le sarà dato altro segno che quello di Giona profeta» (Mt 16,4).

Il segno di Giona, simbolo della passione e risurre­zione di Cristo, è la nota distintiva del pastore che contribui in maniera decisiva a scoprire il disegno di Dio e a plasmare la prima Minima dell'Addolorata.

Umile, silenzioso, antidivo, don Guidi veniva da una grande scuola. Suo maestro e ispiratore era stato il parroco di S. Martino di Bologna, don Antonio Costa, una delle figure eminenti dell'epoca: biblista, catechista, fondatore della S. Vincenzo maschile e femminile, assistente del circolo San Petronio prima espressione della società giovanile dell'A.C. pro­mossa da Giovanni Acquaderni. Da lui attinse a piene mani il consiglio, l'esempio, le idee; l'incontro poi con Clelia lo rivelò a se stesso e agli altri, tanto che, specie negli anni 1866-1868, vediamo un don Guidi inedito: fiero, combattivo, tenace, con una fiamma insospet­tata che denuncia il pastore di genuina tempra e l'uomo di Dio. Gli operai della dottrina cristiana

Con questa denominazione venivano registrati i catechisti: «operai» nel senso evangelico, «braccianti e artigiani» della educazione alla fede. La voce risale almeno al '500 e indica un preciso servizio assunto con carattere di stabilità. Oggi si direbbe «lettori», ter­mine che esprime il ministero di chi si impegna a tempo pieno nell'annuncio del Vangelo.

Una lapide del '700, alla Certosa di Bologna, segnala un certo Giorgio Pezzoli come «operaio della dottrina cristiana», quasi a fissare nel marmo una scelta di vita e una credenziale per il giudizio di Dio. Pure Clelia fu operaia della dottrina cristiana, e lo fu a tempo pieno, con quello che diceva e con quello che era.

Intorno a lei, a poco a poco, la catechesi delle Budrie fece un salto di qualità; diventò scuola di vita e vivaio di vocazioni. Molte di quelle ragazze che a 13-14 anni si erano inserite nella squadra di catechi­smo, prima come sottomaestre, poi come titolari della classe dei principianti o dei comunicandi, si votarono per sempre a Cristo nel servizio di preghiera e carità.

Occorrerebbe una riflessione molto attenta su questo movimento catechistico, perché è qualificante per la fioritura di doni e di carismi che segnano una straordinaria primavera nella comunità ecclesiale.

Quando Clelia fu cooptata tra le sottomaestre di catechismo, la misero in fondo all'elenco, quasi ultima ruota del carro, perché scarsamente alfabetiz­zata. Poi emerse dal gruppo e rivelò una insospettata capacità di comunicare anche per iscritto. Gli stessi anziani si facevano scolari di questa giovane maestra afferrata dallo Spirito. Ne rimanevano commossi e incantati.

Arrivò a familiarizzarsi con i libri. Pochi e scelti. Una biblioteca da mettere nella madia insieme con il pane. La tradizione accenna qualche titolo: La pratica di amar Gesù Cristo di S. Alfonso, la Filotea del Riva. Si conservano ancor oggi a Le Budrie. Un testo soprattutto esercitò su di lei un influsso decisivo: la «Dottrina cristiana elementare», promulgata dal card. Viale Prelà nel 1860. Questo opuscolo tascabile, memorizzato, insegnato, testimoniato, fu per lei il sil­labario, il manuale ascetico, il dizionario.

C'era anche un piccolo canale di periodici e di opuscoli che alimentava a ritmo costante le bibliote­che parrocchiali. A questa fonte di aggiornamento dovettero attingere Clelia e le compagne.

Così ai piedi degli alberi, nella sosta meridiana; e lungo gli argini del Samoggia, la sera, le quattro ami­che leggono, conversano e danno vigore ai loro sogni adolescenti. Nasce l'idea di un nucleo di vita contem­plativa e apostolica, e di un servizio di carità che sca­turisce dall'Eucaristia consumata all'altare della comunità di paese, frutto non tanto di una scuola di spiritualità o di una tradizione monacale, ma del germe che il divino seminatore nasconde di buon mat­tino nei solchi della buona terra, bagnati di sudore e di fatica.