Santo Rosario on line

Venerdi, 26 aprile 2024 - Misteri dolorosi - San Marcellino ( Letture di oggi )

San Giovanni Bosco:Ad un giovane che domandava in qual modo avrebbe potuto progredire nella via della perfezione rispose: ubbidienza cieca; osservanza di tutte le regole della casa ; dar sempre buoni consigli ai compagni; fare ogni giorno, un poco di meditazione; tutto a maggior gloria di Dio parlarmi sovente delle cose dell’anima e palesarmi sempre tutto; cioè confidenza illimitata nel superiore.
font

Santa Brigida di Svezia



Santa Brigida

GESU'

Il grande re Gesù Cristo

«Sono come un re grande e potente. Un re deve ave­re quattro requisiti: deve essere ricco, mite, saggio, cari­tatevole. Io sono il Re degli angeli e degli uomini ed ho le quattro condizioni richieste: sono molto ricco io che do a tutti ciò di cui hanno bisogno e malgrado questo la mia ricchezza non diminuisce. Sono molto mite, io che sono disposto a dare a chiunque mi domandi qualcosa. Sono molto saggio, io che so ciò che è dovuto e quello di cui ognuno ha bisogno. Sono molto caritatevole, io che sono pronto a dare appena qualcuno mi chiede qualcosa. Ho due forzieri: il primo contiene ciò che è pesante e massic­cio come il piombo e la stanza in cui si trova tale forziere è circondata da punte acuminate. Queste due casseforti sembrano leggerissime per chi inizia a spostarle e a tra­sportarle, ma in realtà sono pesanti come il piombo. Co­sì, ciò che sembrava pesantissimo diventa leggero e ciò che sembrava aspro e straziante diventa dolce. Nel se­condo forziere, sembrano essere rinchiusi dell'oro splen­dido, pietre preziose, profumi e dolci: in realtà, l'oro non è che fango, e questi profumi non sono che veleno. Queste due casseforti non sono altro che il mio amore e l'amore del mondo: ma per raggiungerle ci sono due strade: l'abnegazione assoluta della propria vo­lontà, che conduce al mio amore, e la carne, che con­duce all'amore del mondo. Ora, alcuni credono che nel mio amore ci siano dei pesi, dei fardelli pesanti e massicci come il piombo, per­ché quando questi devono contenere i loro desideri hanno l'impressione di trasportare del piombo. Se odo­no delle parole ingiuriose, se hanno preso i voti o sono intenti a pregare, si sentono come se fossero sotto un pungolo e sono costantemente oppressi e in preda all'angoscia. Ora, colui che desidera bruciare con il mio amore deve innanzi tutto trasformare il suo fardello nel desiderio e nell'amore delle buone azioni, e poi deve trarne graduale sollievo; faccia ciò che può, pensando di poterlo compiere, se Dio gli concede la grazia; e poi perseveri nell'opera che ha cominciato con tanta gioia ed immenso coraggio, inizi a portare con agio ciò che gli sembrava pesante, e tutto il rigore dei digiuni, delle veglie e di altri esercizi pesanti come il piombo, gli sia leggero come una piuma. E su questo scanno che ripo­sano i miei amici, e su di esso trovano immenso riposo, dolce come le rose. Per giungere a questo forziere esiste una strada mae­stra, ossia il disprezzo della propria volontà; infatti, l'uomo che pensa alla mia Passione e al mio amore, resi­ste con tutte le forze alla propria volontà e tende inces­santemente verso quanto c'è di migliore. Sebbene all'inizio questa strada sia un po' dura, man mano che si procede diventa più leggera, e ciò che all'inizio sembra­va impossibile diventa leggerissimo e facilissimo, e si di­ce a ragion veduta: 'Il giogo di Dio è dolce'. Il mondo è il secondo forziere: l'oro, le pietre pre­ziose, i beveraggi e i profumi in esso custoditi sono amari. I piaceri al suo interno sembrano dolci, ma mari­discono l'uomo. Questa cassaforte conduce alla propria volontà... Uomini! Ascoltate le mie parole che conducono sulla strada della vita eterna, perché sono vere e potete rendervene conto, in quanto vi parlo con chiarezza. Se non le ascoltate o non potete ascoltarle, per lo meno guardatele con gli occhi della fede e dello spirito, poi­ché le mie parole sono vere: così come l'occhio vede l'oggetto visibile, allo stesso modo' con gli occhi della fe­de si vede e si crede ciò che è invisibile. Infine, nella Chiesa ci sono diverse anime semplici che compiono poche buone azioni, eppure sono salvate dalla fede, perché mi credono il Creatore e Redentore». Libro I, 15

Piacevole conversazione di Dio Padre con il Figlio

il Padre parlava al Figlio, dicendogli: «Sono andato con amore dalla Vergine ed ho lavorato all'ineffabile in­carnazione: per questo sei in me ed io sono in te. Così co­me il fuoco e il calore non si separano mai, allo stesso mo­do è impossibile che la divinità si separi dall'umanità». il Figlio rispose: «Ti siano resi tutto l'onore e tutta la gloria, Padre! Sia fatta la tua volontà in me e la mia in te». Il Padre disse: «Ecco, Figlio mio, ti do questa nuova sposa per guidarla e nutrirla come una pecora. Ne sei signore e padrone. Ella ti darà il latte da bere affinché tu possa rinfrescarti, e la lana per vestirti. In quanto a te, sposa, devi obbedirgli; occorre infatti che tu abbia tre cose: la pazienza, l'obbedienza e la franchezza». Allora il Figlio rispose al Padre: «Sia fatta la tua vo­lontà con la potenza, la potenza con l'umiltà, l'umiltà con la saggezza, la saggezza con la misericordia, che è senza inizio e senza fine in me. Io la prendo nel mio amore, nella tua potenza e nella guida dello Spirito San­to, che non sono delle divinità a sé stanti, bensì un Dio unico e trino». Allora lo Sposo disse alla carissima sposa: «Hai udi­to che mio Padre ti ha dato a me come una pecora: bi­sogna, dunque, che tu sia semplice e paziente come una pecora feconda, per nutrire e vestire i tuoi figli spiritua­li, poiché ci sono tre cose al mondo: la prima è nuda, la seconda è assetata, la terza è famelica. La prima simboleggia la fede della mia Chiesa, che è nuda, poiché tutti hanno vergogna di parlare della fede e dei miei comandamenti; e se qualcuno ne parla, ci si beffa di lui e lo si accusa di menzogna. Per questo le pa­role che escono dalla mia bocca devono in qualche mo­do rivestire di lana questa fede, poiché così come la lana cresce sul corpo della pecora grazie al calore naturale, allo stesso modo dal calore della mia divinità e della mia umiltà escono parole che toccano il vostro cuore, nel quale rivestono la mia fede santa con la testimonianza della verità e della saggezza e mostrano che è vera, seb­bene ora venga ritenuta finta e vana. Ciò affinché chi fi­no ad oggi è stato così vigliacco da non rivestire la sua fede con le buone azioni, dopo aver sentito le mie paro­le piene di carità, sia illuminato e spinto a parlare con fedeltà e a compiere con generosità opere di bene. La seconda cosa simboleggia i miei amici; con un ar­dore pari a quello di chi, divorato dalla sete, desidera bere, essi vogliono compiere il mio onore e si turbano quando io vengo disonorato: avendo gustato la dolcezza delle mie parole, questi uomini sono inebriati da una carità più grande e anche gli stessi morti sono, insieme a loro, infiammati dal mio amore, poiché vedono quanti favori faccio ai peccatori. La terza cosa simboleggia chi dice in cuor suo: 'Se conoscessi la volontà di Dio e il modo in cui dovrei vi­vere, e se fossi guidato sulla strada della vita perfetta, fa­rei tutto quanto è in mio potere'. Persone come queste sono fameliche: bruciano di conoscere la mia volontà e non riescono a saziarsi di nulla, perché nulla indica loro perfettamente ciò che bisogna fare; e se anche lo si mo­stra loro, nessuno si adegua. E per questo farò vedere loro di persona quello che devono fare, e li sazierò con la mia dolcezza, perché le cose temporali e visibili sono desiderate ardentemente quasi da tutti, eppure non sa­ziano l'uomo ed anzi stimolano sempre di più il suo de­siderio di averle. Ma le mie parole e il mio cuore sazie­ranno gli uomini e li colmeranno di consolazioni indicibili e in abbondanza. Quindi, sposa mia, che sei la mia pecora, cerca di essere paziente e di obbedire, perché mi appartieni e devi seguire la mia volontà. Ora, colui che vuole seguire la mia volontà deve avere tre cose: es­sere d'accordo, compiere opere simili, abbandonare i nemici. E chi sono i miei nemici, se non l'insopportabile superbia e tutti i peccati? Abbandonali, dunque, se de­sideri seguire la mia volontà». Libro I, 38

La legge nuova

«Io sono il Dio eterno un tempo chiamato Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Io sono Dio, il legislatore che ha dato la legge a Mosè, e tale legge era come un abito. Come la madre che porta un bambino dentro di sé e prepara gli abiti per il piccolo, similmente Dio ha preparato una legge costituita semplicemente da un abito e dalle cose che si devono fare. Io sono coperto dall'abito della legge; così come il bambino, divenuto più grande, si spoglia dei vestiti vecchi per indossarne di nuovi, allo stesso modo io, dopo aver utilizzato e tol­to l'abito della vecchia legge, mi sono rivestito con una veste nuova, ossia con una legge nuova e l'ho data a tut­ti coloro che hanno voluto essere vestiti come me. Ora, quest'abito non è né stretto né difficile da portare, poi­ché è moderato e proporzionato in tutto. Infatti io non ho comandato di digiunare all'eccesso o di lavorare troppo, né di fare l'impossibile, bensì di compiere cose giuste e consone, per mortificare o moderare l'anima e il corpo. Infatti, quando il corpo è eccessivamente attac­cato al peccato, quest'ultimo lo consuma e lo annienta. Per tale motivo, la nuova legge contiene due cose: una temperanza moderata, ed un uso giusto e legittimo di tutto ciò che serve all'anima e al corpo; la facilità di cu­stodire la legge stessa, perché colui che non riesce a li­mitarsi in una cosa, può farlo in un'altra. La legge pre­vede che colui che non può essere vergine può essere sposato; colui che cade può rialzarsi... In verità ci sono due tipi di pane: uno degli angeli, di cui essi si cibano nel mio Regno, per saziarsi di una gloria ineffabile, e uno che si riceve sull'altare. Non c’è pericolo che gli angeli mi tradiscano; essi, infatti, non vogliono altro che la mia volontà. Invece può rinnegar­mi chi si nutre del mio pane ricevuto sull'altare. In ve­rità io sono il pane che presenta tre cose: l'aspetto, il gu­sto e la rotondità. Io sono questo pane perché, così co­me senza pane qualsiasi carne è insipida e per nulla so­stanziosa, allo stesso modo senza di me qualunque cosa è priva di gusto, debole e vana. Del pane ho anche l'aspetto: infatti appartengo alla terra perché sono nato da una Madre vergine della stirpe di Adamo, che è fi­glio della terra. Ed ho anche la rotondità del pane, nella quale non ci sono né inizio né fine, perché io sono senza inizio né fine. Nessuno può immaginare né trovare la fi­ne e l'inizio nella mia incredibile saggezza, nella mia in­finita potenza, nella mia eterna carità. Io sono mirabile in ogni cosa, al di sopra di tutte le cose e al di fuori di ogni cosa. Se anche qualcuno rubasse senza sosta e con la rapidità di un fulmine, non troverebbe mai né la fine né il fondo della mia potenza e della mia virtù. Dunque, per queste tre cose, ossia il gusto, l'aspetto e la rotondità, io sono il pane chè si vede e si assapora sull'altare; esso viene tramutato nel mio corpo, che è stato crocifisso. Infatti, così come una cosa arida e secca brucia all'improvviso, se le viene dato fuoco e nello stes­so tempo si consuma e non rimane niente del legno che alimenta la fiamma, ma tutto viene divorato dal fuoco, similmente quando vengono pronunciate le parole Que­sto è il mio corpo, ciò che era pane in quello stesso istan­te viene cambiato e transustanziato nel mio corpo, e non è bruciato dal fuoco, come il legno, ma dalla Divi­nità. Per questo mi tradisce chi mangia il mio pane e non ne è degno. Libro I, 47

Gesù prefrgurato da Salomone

La Madre di Dio parlava a suo Figlio, dicendo: «Fi­glio mio, la tua sposa piange perché hai tanti nemici e pochi amici». Il Figlio rispose: «Sta scritto che i figli del Regno sa­ranno espulsi, e che gli stranieri ne avranno l'eredità. Sta scritto anche che da lontano giunse una regina per vedere le ricchezze di Salomone e udirne la saggezza; e quando le ebbe viste, fu come se fosse caduta in estasi. Chi, essendo nel suo regno, non pensava alla saggezza o non ne ammirava le ricchezze? Ora, io sono il vero Sa­lomone prefigurato, ma sono molto più ricco e più sag­gio di lui, poiché ogni saggezza viene da me, anche il fatto stesso che qualcuno sia saggio; le mie ricchezze danno la vita eterna e una gloria indicibile. Io ho pro­messo tutto ciò ai cristiani, e ho dato loro come ai miei figli, affinché, se imitano e credono alle mie parole, essi posseggano queste ricchezze in eterno. Ma essi non considerano la mia saggezza, disprezzano le mie opere e valutano meno di nulla le mie promesse e le mie ric­chezze. Dunque, cosa devo fare loro? Poiché i figli non desiderano la mia eredità, la avranno gli stranieri, ossia i pagani; questi ultimi, infatti, al pari di una regina stra­niera e delle anime infedeli, verranno e ammireranno le ricchezze della mia gloria e del mio amore, e ne saranno infiammati al punto che si vuoteranno dell'infedeltà e si colmeranno del mio Spirito». Libro lI, 4

Gesù prefigurato da Davide

«Io sono Dio, non di pietra, né di legno, non mi creò nessuno e sono Creatore adorabile di tutte le cose, senza inizio e senza fine. Io sono colui che discese nella Vergine senza perdere la propria natura divina, ma so­no anche colui destinato all'umanità attraverso la Vergi­ne, senza abbandonare la propria divinità. Sono una co­sa sola con il Padre e lo Spirito Santo, che regnava in cielo e sulla terra grazie alla mia divinità; tramite lo Spi­rito Santo infiammai la Santa Vergine ma senza che lo Spirito fosse scisso da me; anzi, lo stesso Spirito che l'infiammò era una cosa sola con il Padre e con me, che sono il Figlio, e il Padre e il Figlio erano in lui; queste tre Persone non sono tre divinità, ma un Dio solo. Somiglio al re Davide, che ebbe tre figli: uno si chia­mava Assalonne, e desiderava mettere a morte il padre; il secondo, Adonia, voleva allontanarlo dal regno; il ter­zo, Salomone, ebbe il regno paterno. Il primo simboleg­gia gli ebrei, che volevano mettermi a morte e disprezza­vano i miei consigli: per questo ora, avendo conosciuto la loro ingratitudine, posso dire di loro quello che Davi­de disse di suo figlio quando questi morì: 'Assalonne, fi­glio mio, ossia ebrei, figli miei, che fine hanno fatto i vo­stri desideri e le vostre aspettative? Figli miei, che fine hanno fatto gli scopi che vi eravate posti?' Vi compativo quando volevate la mia venuta, annunciata da numero­sissimi segni, e quando desideravate cose passeggere che vi erano già sfuggite tutte. Ma ora provo ancora più compassione per voi, proprio come un altro Davide che ripeteva sovente l'ultima parola, dicendo: 'Figlio mio, Assalonne! Assalonne, figlio mio! Poiché adesso vedo la tua fine nella miseria della morte, e per questo, come Davide, dico ancora con grande amore: Figlio mio, chi mi darà la morte per riaverti in cambio?’ Davide sapeva bene che con la sua morte non avrebbe potuto resusci­tare il figlio, ma in questo mostrava il suo amore paterno e come fosse pronto a morire per resuscitarlo, se fosse stato possibile. Ora io dico lo stesso: 'Ebrei, figli miei, sebbene abbiate dimostrato cattiva volontà nei miei con­fronti, se fosse ancora possibile e piacesse a mio Padre, tornerei a morire volentieri per amore vostro, tale è la compassione che provo per la vostra miseria, che vi siete dati voi stessi, perché vi ho detto a parole cosa bisogna­va fare e ve l'ho mostrato con l'esempio. Vi ho guidati come una chioccia, riscaldandovi sotto le ali del mio amore; ma voi avete disprezzato tutto. Adonia, il secondo figlio di Davide, rappresenta i cattivi cristiani. Egli offese l'anziano padre perché nel suo intimo pensò: 'Mio padre è vecchio e gli mancano le forze. Se gli parlerò di eventi infausti, non rispon­derà; se commetterò qualcosa contro di lui, non si ven­dicherà; se gli arrecherò danno, sopporterà con pazien­za; farò dunque ciò che vorrò. Così salì in una foresta dove c'erano pochi alberi, con un pugno di servi del padre, per stabilirvi il suo re­gno. Ma quando la saggezza paterna fu chiara, e si fu manifestata la volontà del padre, i disegni di Adonia mutarono e quanti erano con lui vennero denigrati e di­sprezzati. Allo stesso modo, i cristiani pensano così di me e dicono: 'I segni di Dio e i suoi giudizi non sono noti; adesso come prima, possiamo dire quello che vo­gliamo, perché egli è misericordioso e non se ne cura. Facciamo, dunque, quello che vogliamo, poiché perdo­na facilmente'. Essi non credono alla mia onnipotenza, come se ora fossi meno in grado che in passato di fare quello che voglio; pensano che il mio amore sia dimi­nuito, ritengono che i miei giudizi siano delle canzona­ture e la mia giustizia vanità; per questo salgono nelle foreste di Davide con qualche servo per regnare in tutta tranquillità. Qual è questa foresta in cui ci sono pochissimi albe­ri, se non la Santa Chiesa, che continua ad esistere gra­zie ai sette sacramenti, simili a queste poche piante? Es­si entrano in questa Chiesa con qualche servitore di Da­vide, ossia con qualche piccola buona azione, affinché, in tutta tranquillità, ottengano il Regno di Dio. Poiché fanno queste poche buone azioni, cui si affidano com­pletamente malgrado abbiano commesso peccati e cri­mini abominevoli, essi credono di avere il Regno dei cieli come per diritto di successione. Ma, così come il fi­glio di Davide, che desiderava avere il regno paterno, fu respinto in modo disonorevole, poiché, essendo ingiu­sto, voleva arrogarselo con l'ingiustizia, - e il regno ven­ne dato a un uomo più saggio e migliore di lui -' simil­mente questi cristiani saranno espulsi dal mio Regno, ed esso sarà dato a chi compie la volontà di Dio, perché potranno avere il Regno dei cieli solo quanti saranno animati dalla carità, e potranno avvicinarsi alla mia pu­rezza solo coloro che sono puri secondo il mio cuore. Il terzo figlio di Davide era Salomone, che simbo­leggia i pagani. Poiché Betsabea aveva udito che era sta­to eletto un altro al posto di Salomone, cui tuttavia Da­vide aveva promesso il regno, si recò da Davide e gli disse: 'Mio Signore, mi avevi giurato che dopo di te avrebbe regnato Salomone, ma è stato eletto un altro; se così sarà, io verrò condannata al rogo come adultera e mio figlio sarà illegittimo'. All'udire queste cose, Davide si alzò e disse: 'Giuro per il Signore che dopo di me regnerà Salomone'. E co­mandò ai servi di elevare Salomone al trono del regno, e di dichiarare re solo colui che era stato scelto da Davi­de; essi eseguirono gli ordini del loro signore ed esalta­rono Salomone con grandi onori. Chi è Betsabea, se non la fede pagana? Infatti non c'è adulterio più pernicioso di quello che allontana da Dio e dalla giusta fede e che porta a credere qualcuno, che non è Dio, Creatore di tutte le cose; ma come Betsa­bea, alcuni gentili vengono a Dio, dicendo con cuore umile e contrito: 'Signore, ci avevi promesso che in futu­ro saremmo stati cristiani: mantieni dunque la promessa. Se fra di noi è nato un altro re, ossia un'altra fede, e se ti allontani da noi, cammineremo come miserabili e mori­remo come adultere che hanno preso un adultero come marito legittimo. E benché tu viva in eterno, tu morirai per noi, e noi per te, poiché con la grazia ti allontani dal nostro cuore e noi ci opponiamo a te con la nostra diffi­denza. Mantieni dunque la promessa; conforta la nostra infermità e illumina le nostre tenebre, perché se indugi, ossia se ti allontani da noi, periremo'. All'udire queste cose, come un altro Davide, deside­ro innalzarli con la mia grazia e la mia misericordia. Giuro dunque per la mia divinità, che è con la mia uma­nità e attraverso la mia umanità, che è nel mio Spirito e attraverso il mio Spirito, che è nella mia natura divina e nella mia umanità, che manterrò la promessa. Manderò i miei amici affinché introducano Salomone, mio figlio, ossia i pagani, nella Chiesa, che continua ad esistere in virtù dei sette sacramenti come sette alberi: il battesimo, la penitenza, la cresima, l'eucarestia, il sacerdozio, il matrimonio e l'estrema unzione; ed essi si riposeranno sul mio scanno, ossia nella fede giusta della Santa Chie­sa; gioiranno dell'eredità perpetua e della dolcezza che preparerò loro». Libro lI, 5

Nostro Signore paragonato a un operaio

«Io sono come un orefice che, mandando il servo a vendere il suo oro per il mondo, gli dice: 'Devi stare at­tento a tre cose... Il mio nemico, infatti, ha tre cose dalle quali ti devi guardare: vuole renderti pigro e ozioso nel mostrare lo spirito e il valore del mio oro; poi vuole me­scolare qualcosa d'impuro al mio oro, affinché quanti lo vedranno e lo controlleranno, credano che il mio oro non è altro che fango e marciume; e infine mette in boc­ca ai suoi amici i mezzi per resistere ai tuoi disegni, per­ché dicano ad alta voce e con impudenza che il mio oro non è di qualità'. Io sono l'operaio che ha fatto tutto quanto è nei cie­li e sulla terra, non con martelli e utensili, ma con mirabile potenza e meravigliosa virtù; e tutte le cose sono state, sono e saranno in mia presenza, perché il più pic­colo vermicello e il più piccolo granello non esistono senza di me e non possono sopravvivere senza di me, né qualsiasi cosa, per quanto piccola, può nascondersi alla mia presenza, perché tutte le cose' sono mie e dipendo­no da me. Tuttavia, fra tutte le cose che ho fatto, le parole che ho detto con la mia bocca sono più degne di tutte le co­se suddette, così come l'oro è più prezioso di tutti i me­talli... Dunque, che le mie parole non siano nascoste ai miei amici, poiché, sentendo parlare delle mie grazie e dei miei favori, possano essere stimolati a una maggiore devozione... I miei amici diranno queste parole a chi li contraddice: 'Nelle parole che ci sono mostrate non ci sono che tre vocaboli, perché esse insegnano a temere con accortezza, ad amare con devozione e a desiderare con saggezza le cose celesti'» . Libro lI, 14

Le sofferenze di Gesù dal giorno della sua nascita fino alla Passione

«Ora, essendo venuto sulla terra, ho lavorato dal na­scere del giorno al calar del sole, ossia dalla mia ineffa­bile incarnazione alla Passione e alla mia odiosa morte in croce. Ho operato la salvezza degli uomini, fuggendo sin dall'inizio in questa solitudine, poiché Erode mi per­seguitava. Sono stato tentato dal diavolo ed ho patito le persecuzioni degli uomini. Poi ho sofferto e sopportato un numero infinito di infamie. Mangiavo e bevevo, ed ho assolto le necessità della natura senza peccare, per l'istituzione della fede, e per dimostrare e manifestare che avevo assunto in modo straordinario la natura uma­na, preparando la strada per andare nella città celeste e distruggendo quella che va in senso opposto; le spine strazianti hanno trafitto crudelmente il mio capo e i chiodi hanno ferito dolorosamente le mie mani; i miei piedi e le mie mani, i miei denti e le mie guance sono stati flagellati con crudeltà. Ora, io, sopportando tutto ciò con pazienza, non mi sono tirato indietro, ma sono andato avanti con maggiore fervore. Come un animale spinto dalla fame, vedendo che l'uomo gli tende la lancia, si avventa su di essa per il de­siderio di divorare il cacciatore e più questi affonda la lancia nel ventre dell'animale e più l'animale si avventa sulla lancia per avvicinarsi maggiormente all'uomo, fin­ché le sue viscere, il suo ventre e il suo corpo sono com­pletamente lacerati; così io ho bruciato con il fuoco di un amore così grande nei confronti dell'anima, che più l'uomo si avvicinava di sua volontà per uccidermi, più io ardevo dal desiderio di patire per la salvezza delle ani­me. Per questo, dunque, cammino nella solitudine del mondo, nella fatica e nella miseria, ed ho preparato la gioia del cielo, nel mio sangue e nel mio sudore... Esau­dendo con misericordia il desiderio, lungamente nutrito e ardente, di una salvezza futura, sono venuto sulla terra come pellegrino, per lavorare; ed essendo sconosciuto, come disposto dalla mia potenza e dalla mia divinità, ho preparato la strada che conduce in cielo. I miei amici, vedendo questa strada e pensando alle mie fatiche, alle mie pene e alla generosità del mio spiri­to, mi hanno seguito fedelmente e con gioia per molto tempo. Ma ora, la voce che gridava: 'Sii pronto, è cam­biata, e con essa la mia strada, e in questa solitudine so­no tornati a crescere spine e rovi, tanto che non vi cam­mina più nessuno...' In verità, io sono come una madre che precede il fi­glio errante e vagabondo e gli illumina la via perché ve­da il cammino; ella lo precede, spinta dall'amore, accor­ciando il suo cammino e, avvicinandosi al figlio, lo ab­braccia e si congratula con lui. Io faccio lo stesso con tutti coloro che tornano a me, e precederò con amore tutti i miei amici, e ne illumi­nerò lo spirito e l'anima affinché vedano la saggezza di­vina. Desidero cingerli con ogni genere di gloria, e con tutte le mie schiere celesti, là dove in basso non ci sono né il cielo né la terra, ma la visione divina; là dove non ci sono né cibo né bevanda, ma una divina dilettazio­ne... Vi dico queste parole e vi manifesto il mio amore, affinché coloro che si sono allontanati tornino a me e mi riconoscano come loro Creatore, il Creatore che hanno dimenticato». Libro II, 15

San Giovanni evangelista dice alla sposa che la Bibbia supera tutte le scritture

«La Scrittura, che chiamate santa, parla in questi termini: Nessun’opera sara' senza ricompensa. Questa Scrittura, che voi chiamate Bibbia, illumina come un so­le che splende infinitamente più dell'oro, e fruttifica co­me il seme che genera cento frutti; infatti, così come l'oro eccelle fra tutti i metalli, così la Scrittura, che chia­mate santa e che in cielo chiamiamo dorata, eccelle fra tutte le scritture, perché rende noto il nome di Dio e lo onora; in essa, vengono riferite le opere dei patriarchi e dei profeti». Libro IV ,1

La Madre di Dio racconta i sette beni di Gesù e i sette contrari ripresi dagli uomini

La Madre di Dio parla, dicendo: «Mio Figlio ha set­te beni: è molto potente, come un fuoco che divora ogni cosa; è molto saggio, la sua saggezza è superiore alla co­noscenza degli uomini, poiché essi non riuscirebbero a inaridire il mare; è molto forte, come una montagna im­mobile; è molto virtuoso, come l'erba gradita alle api; è molto bello, come un sole splendente; è molto giusto, come un re che non perdona nessuno se ciò va contro la giustizia; è molto pio, come un signore che dà se stesso per la vita del suo servo. D'altro canto, ha sopportato molti dispiaceri: infatti, per la sua potenza, è stato ridotto a un verme; per la sua saggezza, è stato ritenuto folle; malgrado la sua forza, lo hanno trattato come un bambino in fasce; per la sua bellezza, lo hanno considerato lebbroso; per la sua virtù, era nudo e lo attaccavano; per la sua giustizia, era ritenuto menzognero; ed è morto per la sua pietà». Libro IV, 119

Il battesimo di Gesù

«Perché ho voluto essere battezzato? E’ necessario che chi desidera intraprendere una strada nuova, prece­da gli altri su questo stesso cammino. Anticamente, al popolo era stata indicata una strada carnale: la circonci­sione; essa era un segno di obbedienza e di futura puri­ficazione e nelle persone fedeli e rispettose della legge, prima che venisse Gesù ossia la verità, aveva l'effetto di una grazia futura e della promessa. Ma poiché giunse la verità e la legge non era che un'ombra, da sempre era stato stabilito che si rinunciasse a seguire l'antica strada, perché non aveva effetto. Dunque, affinché emergesse la verità, l'ombra svanisse e venisse indicata la strada più facile per andare in cielo, essendo Dio e uomo ho voluto essere battezzato per l'umiltà e l'esempio delle moltitudini, e per aprire il cielo ai credenti e ai fedeli; e in segno di ciò, quando venni battezzato, il cielo si aprì, si udì la voce del Padre ed apparve lo Spirito Santo sot­to forma di colomba. È stato provato che io, Figlio di Dio, sono vero Dio e uomo, perché le persone fedeli sappiano e credano che il Padre eterno apre i cieli ai battezzati e ai fedeli. Lo Spirito Santo è con colui che battezza. La virtù della mia natura umana si trova nell'elemento stesso, benché l'opera di mio Padre, mia e dello Spirito Santo non sia che espressione di una volontà unica. Questo accadde quando la verità fu palese. Io che sono la verità, dissipai le ombre. Essendo stato spezzato il guscio della legge, comparve il nocciolo; si cessò, dun­que, di ricorrere alla circoncisione, e il battesimo venne confermato in me, affinché il cielo si aprisse ai grandi e ai piccoli e i figli del peccato diventassero figli della gra­zia e della vita eterna». Libro V, 4, Interrogazione 10, IV

La fuga in Egitto

«Perché sono fuggito in Egitto? Così si è manifesta­ta l'infermità della mia umanità, si è avverata la profezia e ho dato l'esempio ai posteri, affinché sappiano che a volte bisogna evitare e sottrarsi alle persecuzioni; ma poiché sono stato ricercato e braccato da coloro che mi perseguitavano, il consiglio divino ha prevalso sugli es­seri umani. Non è facile battagliare contro Dio. Per quanto riguarda i bambini che sono stati massacrati, essi hanno rappresentato la mia Passione, il miste­ro di quanti sono chiamati a Dio e sono stati il simbolo dell'amore divino; poiché, sebbene i fanciulli non mi abbiano reso testimonianza con la parola, lo hanno fatto con la morte, come si addiceva alla mia infanzia. Era stato predetto che la lode divina si sarebbe compiuta con il sangue degli innocenti, perché, nonostante la cat­tiveria degli ingiusti li abbia ingiustamente afflitti, il mio permesso, sempre giusto e buono, li ha esposti giusta­mente alla morte, per mostrare la perversità degli uomi­ni, i consigli incomprensibili della mia divinità e la gran­dezza della mia pietà. Se, dunque, nei bambini l'ingiusta cattiveria si è mo­strata con furia, in essi la mia misericordia e il merito sono stati presenti in sovrabbondanza; e là dove sono mancate la parola, la confessione e l'età, ebbene là il sangue sparso rendeva perfetto il bene». Libro V, 6, Interrogazione 12, IV