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Martedi, 30 aprile 2024 - Misteri dolorosi - San Pio V ( Letture di oggi )

Santa Faustina Kowalska:Il Signore mi disse: «Michael Sopocko è un sacerdote secondo il mio cuore. Il lavoro che si assume mi è gradito. Per suo mezzo, spargo consolazioni sulle anime e divulgo il culto della mia misericordia. In questo modo, le anime che farà accostare a me saranno più numerose che se avesse impartito l'assoluzione giorno e notte per tutta la sua vita. Facendo ciò, avrebbe lavorato fino alla fine dei suoi giorni; invece con quest'opera, lavorerà fino alla fine del mondo».

LETTURE A CASO

Lc 18,1-43

1Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: 2"C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 3In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. 4Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi". 6E il Signore soggiunse: "Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".

9Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".

15Gli presentavano anche i bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano. 16Allora Gesù li fece venire avanti e disse: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. 17In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà".

18Un notabile lo interrogò: "Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?". 19Gesù gli rispose: "Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. 20Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre". 21Costui disse: "Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza". 22Udito ciò, Gesù gli disse: "Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi". 23Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.

24Quando Gesù lo vide, disse: "Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. 25È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!". 26Quelli che ascoltavano dissero: "Allora chi potrà essere salvato?". 27Rispose: "Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio".

28Pietro allora disse: "Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito". 29Ed egli rispose: "In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, 30che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà".

31Poi prese con sé i Dodici e disse loro: "Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo si compirà. 32Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi 33e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà". 34Ma non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto.

35Mentre si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. 36Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37Gli risposero: "Passa Gesù il Nazareno!". 38Allora incominciò a gridare: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!". 39Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". 40Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: 41"Che vuoi che io faccia per te?". Egli rispose: "Signore, che io riabbia la vista". 42E Gesù gli disse: "Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato". 43Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.


Un Vangelo commentato a caso

Vangelo Lc 10, 25-37: Chi è il mio prossimo?

2 Tm 1,1-18

1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, per annunziare la promessa della vita in Cristo Gesù, 2al diletto figlio Timòteo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.

3Ringrazio Dio, che io servo con coscienza pura come i miei antenati, ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno; 4mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. 5Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Lòide, poi in tua madre Eunìce e ora, ne sono certo, anche in te.

6Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani. 7Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. 8Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio. 9Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall'eternità, 10ma è stata rivelata solo ora con l'apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, che ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del vangelo, 11del quale io sono stato costituito araldo, apostolo e maestro.

12È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto e son convinto che egli è capace di conservare il mio deposito fino a quel giorno. 13Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. 14Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito santo che abita in noi.

15Tu sai che tutti quelli dell'Asia, tra i quali Fìgelo ed Ermègene, mi hanno abbandonato. 16Il Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesìforo, perché egli mi ha più volte confortato e non s'è vergognato delle mie catene; 17anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché mi ha trovato. 18Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno. E quanti servizi egli ha reso in Èfeso, lo sai meglio di me.


La Città di Dio: Libro V - Visione irrazionalista e razionalista della storia: ...nel compimento di nobili azioni...

18. 2. Un altro capo romano, Torquato di cognome, uccise il figlio non perché aveva combattuto contro la patria ma perché, provocato da un nemico, per ardore giovanile aveva combattuto per la patria, tuttavia contro il proprio comando, cioè contro ciò che aveva comandato il padre comandante e nonostante che avesse vinto; e lo fece affinché non si avesse maggior male nell'esempio della trasgressione di un comando che bene nella gloria dell'uccisione di un nemico. Perché si vanterebbero dunque coloro che per le leggi della patria immortale disprezzano tutti i beni terreni che sono amati molto meno dei figli? Furio Camillo, dopo aver rimosso dal collo di Roma il giogo dei Veienti, nemici implacabili, e sebbene fosse stato fatto condannare dagli invidiosi, ancora una volta liberò l'ingrata patria dai Galli, perché non ne aveva una migliore in cui vivere più gloriosamente. Perché dunque si inorgoglirebbe come di un gesto magnanimo chi, avendo sofferto nella Chiesa da parte di avversari una grave diffamazione, non è passato agli eretici nemici di lei o non ha fondato contro di lei una nuova setta, anzi l'ha difesa secondo le sue possibilità dalla pericolosa depravazione degli eretici? In definitiva è la sola società in cui non si vive certamente per avere la reputazione degli uomini ma per raggiungere la vita eterna. Muzio, affinché si venisse alla pace con Porsenna che impegnava i Romani con una guerra molto dura, dato che non riuscì ad uccidere Porsenna e per errore uccise un altro in vece sua, in sua presenza stese la mano su un braciere acceso e gli manifestò che molti come lui avevano cospirato per ucciderlo. Il re temendo la fortezza, il coraggio e il giuramento di uomini così coraggiosi, senza esitazione stipulando la pace, rinunciò a continuare la guerra. Chi dunque potrà rinfacciare al regno dei cieli le proprie benemerenze se per esso sacrificherà sulle fiamme, non agendo di propria iniziativa ma subendo da un altro, non soltanto una mano ma tutto il corpo? Curzio armato si precipitò a cavallo spronato in un precipizio in obbedienza agli oracoli dei propri dèi perché avevano ordinato che vi fosse gettato ciò che i Romani avevano di meglio. Essi capirono che erano eccellenti in uomini e armi e per questo era necessario che in esecuzione agli ordini degli dèi un uomo armato andasse incontro a quella morte. Perché dunque dovrà dire di avere fatto un grande sacrificio per la patria eterna chi dovendo subire un nemico della propria fede morrà non perché incontra una morte simile di propria iniziativa ma perché vi è mandato dall'altro? Tanto più che ha avuto dal suo Signore che è anche il re della sua patria un più sicuro oracolo: Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima. I Decii con determinate parole si offrirono in certo senso ad essere uccisi [come vittime] affinché, placatasi con la loro morte l'ira degli dèi, l'esercito romano riuscisse a liberarsi. Dunque i santi martiri non dovranno insuperbire, come se abbiano fatto un'azione sublime per far parte della patria celeste, dove la felicità è vera ed eterna, se hanno combattuto fino allo spargimento del sangue, perché con la fede della carità e con la carità della fede amavano, come è stato loro comandato, non solo i propri fratelli, per i quali il loro sangue era versato, ma anche i nemici, dai quali era versato. A Marco Polvillo, mentre dedicava il tempio di Giove, Giunone e Minerva, fu annunziata falsamente da alcuni invidiosi la morte del figlio, affinché, angosciato da quella notizia, si allontanasse e così il suo collega avesse la gloria della dedicazione; ma egli non se ne curò, anzi diede ordine di lasciare il figlio insepolto, perché nel suo cuore la passione della gloria era superiore al dolore della perdita 61. Perché dunque dovrebbe dire di aver fatto un grande sacrificio per la diffusione del santo Vangelo, con cui i cittadini della patria superna sono liberati e raccolti nell'unità dalle varie dottrine erronee, colui che, preoccupato della sepoltura del proprio padre, ascoltò dal Signore: Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i propri morti?. Regolo, per non spergiurare a nemici spietati, da Roma se ne tornò presso di loro perché, come si narra che abbia risposto ai Romani i quali volevano trattenerlo, non avrebbe potuto, dopo essere stato schiavo degli Africani, mantenere in patria la dignità di cittadino onorato. I Cartaginesi, giacché in senato aveva parlato contro il loro intento, lo fecero morire in mezzo a indicibili tormenti. Quali tormenti dunque non si devono affrontare nella fedeltà alla patria celeste, alla cui felicità la fedeltà stessa ci conduce? Ovvero che cosa si renderà al Signore per tutti i benefici che ci ha reso 64 se, per la fedeltà che gli si deve, un individuo subirà tormenti eguali a quelli subiti da Regolo nella fedeltà che doveva a nemici sanguinari? Come oserà il cristiano inorgoglirsi della povertà volontaria, con la quale nell'esilio di questa vita camminerà più speditamente per la via che conduce alla patria in cui vera ricchezza è Dio, quando ascolta o legge che Lucio Valerio, il quale morì durante il proprio consolato, era tanto povero che il suo funerale fu pagato con i denari raccolti dal popolo?, quando ascolta o legge che Quinzio Cincinnato, il quale possedeva quattro iugeri e li coltivava con le proprie mani, mentre arava fu chiamato ad essere dittatore, superiore quindi per carica al console, e dopo aver conseguito una gloria insigne con la vittoria sui nemici, si mantenne nella medesima povertà?. O quale grande vanto vorrà menare chi senza alcun vantaggio terreno sarà attratto dalla patria eterna, quando saprà che non fu possibile strappare Fabrizio dalla cittadinanza romana nonostante le grandi offerte di Pirro, re di Epiro, compresa la quarta parte del regno e che preferì rimanere privato cittadino in patria nella propria povertà?. I Romani possedevano dunque un patrimonio pubblico, cioè del popolo e della patria, cioè patrimonio comune, molto ricco. Eppure come patrimonio domestico erano tanto poveri che uno di loro, sebbene fosse stato console due volte, fu cacciato da quel senato di poveri con nota del censore perché si trovò che aveva negli scrigni dieci libbre di argento. Ed erano poveri proprio quelli dalle cui vittorie era arricchito l'erario pubblico. Anche alcuni cristiani con intenzione più nobile mettono in comune le proprie ricchezze attenendosi alla narrazione degli Atti degli Apostoli, in modo che si distribuisca a ciascuno secondo il bisogno e non si consideri nulla proprio ma per loro tutti i beni siano in comune. Tutti costoro non capiscono forse che non è bello gonfiarsi di orgoglio perché compiono quel gesto per raggiungere la società degli angeli, quando quella gente faceva qualche cosa di pressoché eguale per conservare la gloria di Roma?.

(Autore: Agostino di Ippona)

L'imitazione di Cristo: LA COMPUNZIONE DEL CUORE

Se vuoi fare qualche progresso nel bene, conservati nel timore di Dio e non voler essere troppo libero; tieni, anzi, a freno tutti i tuoi sensi sotto la disciplina e non abbandonarti alla stolta allegria. Datti alla compunzione del cuore e troverai una vera devozione. La compunzione apre la via a molti beni, che la dissipazione solitamente ci fa perdere in breve. Sarebbe strano che potesse in questa vita abbandonarsi pienamente alla gioia, l'uomo che riflettesse e considerasse la sua condizione d'esule ed i tanti pericoli che incombono sulla sua anima. A causa della leggerezza spirituale e della noncuranza dei nostri difetti, noi non avvertiamo i mali della nostra anima, ma spesso ridiamo scioccamente, mentre a ragione dovremmo piangere.

Non c'è vera libertà né sana letizia, se non nel timore di Dio, congiunto alla retta coscienza. Felice chi può rimuovere da sé ogni inciampo che lo distragga, e può raccogliersi nell'intimità della santa compunzione! Felice chi rinunzia a tutto ciò che può macchiare la sua coscienza od appesantirla! Combatti da valoroso: un'abitudine si vince con un'abitudine contraria. Se tu riesci a stare lontano dagli uomini, essi lasceranno volentieri te ai fatti tuoi.

Non addossarti le brighe degli altri e non intrometterti nelle faccende dei Superiori. Tieni sempre gli occhi aperti principalmente su di te e correggi particolarmente te stesso, prima di tutte le persone che ti sono care. Se non godi del favore degli uomini, non volerti per questo affliggere, ma la tua pena sia quella di non vivere così bene con tanta cautela, come converrebbe ad un servo di Dio e ad un buon Religioso. Spesso è più utile e più sicuro che l'uomo non abbia molte consolazioni in questa vita, specialmente quelle che lusingano i sensi.

Tuttavia, che siamo privi delle consolazioni divine o che ne proviamo piuttosto raramente, la colpa è nostra, perché non cerchiamo la compunzione del cuore e non rigettiamo del tutto le consolazioni vane del mondo. Riconosciti indegno dei divini conforti e meritevole, invece, di molte tribolazioni. Quando l'uomo è pervaso da una perfetta compunzione, allora il mondo intero gli è gravoso ed amaro. L’uomo virtuoso trova sempre motivi sufficienti per dolersi e per piangere.

Infatti, sia che consideri se stesso, sia che pensi al prossimo, egli sa che nessuno quaggiù vive senza tribolazione. E quanto più rigorosamente si esamina, tanto più profonda è la sua amarezza. Costituiscono materia di giusto dolore e d'interna compunzione i nostri peccati ed i nostri vizi, nei quali siamo tanto avviluppati da poter solo di rado elevarci alla contemplazione delle cose celesti. Se tu pensassi più spesso alla morte che non alla possibilità d'una vita lunga, non c'è dubbio che t'emenderesti con maggiore zelo. Se, inoltre, tu meditassi nel profondo del cuore le pene future dell'Inferno o del Purgatorio, credo che sopporteresti volentieri dolori ed angustie, e non ti spaventerebbe alcuna austerità.

Ma, poiché queste verità non ci penetrano fino al fondo del cuore, ed anzi continuiamo ad amare gli allettamenti del mondo, noi restiamo freddi e tanto pigri. Spesso questa miseria spirituale è la causa per la quale il nostro misero corpo tanto facilmente si lagna. Prega, quindi, in umiltà il Signore che ti conceda lo spirito di compunzione, e digli con il Profeta: "Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza" (Sal 79,6).