Confronto fra la città nell'abnegazione...
18. 1. È forse un grande sacrificio respingere tutte le lusinghe, per quanto deliziose, di questo mondo per l'eterna patria in cielo, se per quella passeggera in terra Bruto ha potuto perfino uccidere i figli? Ed è un'azione che la patria celeste non costringe nessuno a compiere. Certo, è più difficile il gesto di mandare a morte i figli che quello da compiere per la città eterna, e cioè dare ai poveri le ricchezze che si era ritenuto doveroso mettere da parte per i figli ovvero rinunziarle se s'impone la scelta che spinga a compiere il gesto per la religione e per la giustizia. Infatti le ricchezze terrene non rendono felici né noi né i nostri figli perché o si devono perdere mentre ancora viviamo o perché dopo la nostra morte saranno possedute da chi non conosciamo o forse anche da chi non vorremmo. Soltanto Dio rende felice perché è la vera ricchezza delle coscienze. Al contrario anche un poeta, che pur loda Bruto, ne dichiara l'infelicità per il fatto che uccise i figli. Dice: Un padre per l'amata libertà condannerà a morte i figli che preparano nuove guerre? Sciagurato, in qualsiasi modo i posteri giudicheranno quei fatti. Ma nel verso seguente consola l'infelice: Vincono l'amore della patria e l'immensa passione della gloria. Sono i due valori, la libertà e la passione della gloria umana, che spinsero i Romani ad azioni degne di ammirazione. Ora per la libertà di individui destinati a morire e per il desiderio delle lodi che si aspettano da individui mortali fu possibile che i figli fossero uccisi dal padre. È forse dunque un grande gesto se per la vera libertà, che ci rende liberi dal potere dell'iniquità, della morte e del diavolo, e non mediante la passione delle lodi umane ma mediante l'amore per la liberazione degli uomini e non dal re Tarquinio ma dai demoni e dal loro capo, senza mandare a morte i propri figli, si riconoscono come figli i poveri di Cristo?