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Domenica, 28 aprile 2024 - Misteri gloriosi - San Luigi Maria Grignion da Montfort ( Letture di oggi )

Santa Faustina Kowalska:Gesù a S.F.K.: «Desidero che la domenica dopo la Pasqua (II Domenica di Pasqua, Ottava pasquale, già Domenica in Albis) venga dichiarata festa della misericordia. Chiedo ai miei servi fedeli che in quel giorno predichino sull'infinita misericordia che io nutro verso il mondo intero. Prometto che chi, in quel giorno, s'accosterà alla sorgente della vita (riconciliazione e eucarestia) conseguirà la remissione delle colpe e delle pene. L'umanità non troverà la pace, finché non si volgerà con fiducia alla mia misericordia».
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Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux



Liseux

4. PROGRESSO NELLO STUDIO E FERVORE RELIGIOSO (1883 - 1886) - Parte 3

114 - Poco tempo dopo la prima Comunione entrai nova­mente in ritiro per la Cresima. Mi ero preparata con grande cura a ricevere la visita dello Spirito Santo, non capivo che non si desse grande importanza a ricevere questo sacramento d'Amore. Comunemente si praticava un solo giorno di ritiro per la Cresima, ma poiché Monsignore non poté venire nel giorno stabilito, ebbi la consolazione di due giorni in solitudine. Per distrarci la nostra maestra ci condusse a Monte Cassino, e là colsi a piene mani le grandi margherite per la festa del Corpus Domini. Come era gioiosa l'anima mia! A somiglianza degli apostoli attendevo con felicità la visita dello Spirito Santo. Mi rallegravo al pensiero di essere ben presto perfetta cristiana, e soprattutto di avere sulla fronte eternamente la croce misterio­sa che il Vescovo traccia dando il sacramento. Finalmente arrivò il momento felice, non sentii un vento impetuoso nella discesa dello Spirito Santo, ma piuttosto quella brezza lieve, della quale il profeta Elia intese il murmure sul monte Horeb. In quel giorno ricevetti la forza per offrire, perché ben presto il martirio dell'anima mia doveva cominciare. Mi fu madrina la mia cara Leonia, era così commossa che non poté trattenersi dal piangere tutto il tempo della cerimonia. Con me ricevette la santa Comunione, perché io ebbi ancora la felicità di unirmi a Gesù in quel bel giorno.

115 - Dopo le deliziose indimenticabili feste, la mia esi­stenza rientrò nel quotidiano, cioè dovetti riprendere la vita di collegiale che mi era così penosa. Nel momento della mia pri­ma Comunione amavo quella convivenza con bambine della mia età, tutte piene di buona volontà, le quali avevano preso come me la risoluzione di praticare seriamente la virtù; ma bisognava riprendere i contatti con delle scolare ben diverse, distratte, riottose alla regola, e ciò mi rendeva infelice. Ero un carattere gaio, ma non sapevo lanciarmi nei giochi dell'età mia; spesso durante la ricreazione mi appoggiavo ad un albero, e da là contemplavo il colpo d'occhio, abbandonandomi a riflessioni serie! Avevo inventato un gioco che mi piaceva, cioè di seppel­lire i poveri uccellini morti che trovavo sotto gli alberi; varie scolare vollero aiutarmi, cosicché il nostro cimitero divenne gra­ziosissimo, piantato d'alberi e di fiori, il tutto proporzionato alle dimensioni dei nostri piccoli implumi. Mi piaceva anche di raccontare novelle di mia invenzione, via via che mi venivano in mente, allora le mie compagne mi circondavano premurosa­mente, e talvolta delle scolare grandi si univano al gruppo del­le ascoltatrici. La medesima storia durava per parecchi giorni perché mi piaceva di renderla sempre più interessante, a mano a mano che vedevo le impressioni che suscitava e che si mani­festavano sul viso delle mie compagne, ma presto la maestra mi proibì di continuare la mia professione di oratore, volendo­ci veder correre e non discorrere.

116 - Ricordavo con facilità il senso delle cose che impa­ravo, ma duravo fatica a imparare parola per parola; così per il catechismo durante l'anno che precedette la mia prima Comu­nione, chiesi quasi tutti i giorni il permesso d'imparano duran­te la ricreazione; i miei sforzi ottennero buon successo, e fui quasi sempre la prima. Se per caso, per una sola parola dimen­ticata, perdevo il mio posto, il mio dispiacere si manifestava con lacrime amare che il reverendo Don Domin non sapeva come calmare. Era ben contento di me (non quando piange­vo), e mi chiamava il suo dottorino, a causa del mio nome di Teresa. Una volta la scolara che mi seguiva non seppe fare alla sua compagna la domanda di catechismo. Il reverendo Padre, avendo fatto il giro di tutte le scolare, ritornò a me, e disse che voleva vedere se meritavo davvero il mio posto di prima. Nella mia profonda umiltà, non aspettavo altro; mi alzai e dissi con sicurezza quello che mi era stato richiesto senza fare uno sba­glio, con grande stupore di tutte. Dopo la mia prima Comu­nione, il mio zelo per il Catechismo continuò fino a quando uscii dal collegio. Riuscivo benissimo nei miei studi, ero quasi sempre la prima, i più grandi successi miei erano la storia e lo stile. Tutte le mie maestre mi consideravano come una scolara molto intelligente, ma lo stesso non accadeva presso lo zio, ove passavo per una piccola ignorante, buona e dolce, dotata di un giudizio dritto, ma incapace e maldestra...

117 - Non mi sorprende questa opinione che gli zii ave­vano e che senza dubbio hanno ancora nei miei confronti, non parlavo quasi mai, essendo timidissima; quando scrivevo, la calligrafia da gatto e l'ortografia molto... naturale non erano fatte per sedurre. Nei lavoretti di cucito, ricamo e altri, riuscivo bene, è vero, secondo le mie maestre, ma il modo goffo e mal­destro con cui tenevo il mio lavoro giustificava l'opinione poco vantaggiosa che avevano di me. Io considero ciò come una gra­zia; il buon Dio volendo per sé solo tutto il mio povero cuore, esaudiva già la mia preghiera «cambiando in amarezza le conso­lazioni della terra». Ne avevo tanto più bisogno in quanto non sarei stata insensibile alle lodi. Spesso vantavano dinanzi a me l'intelligenza degli altri, mai la mia, allora io conclusi che non ne avevo, e mi rassegnai a vedermene privata.

118 - Il cuore mio sensibile e affettuoso si sarebbe dato facilmente se avesse trovato un altro cuore atto a capirlo. Cer­cai di fare amicizia con le bambine dell'età mia, soprattutto con due, volevo loro bene, e da parte loro esse mi amavano quanto sapevano e potevano; ma ahimè! com'è angusto e volu­bile il cuore delle creature! Ben presto vidi che il mio affetto non era compreso. Una delle amiche dovette rientrare in fami­glia, e tornò qualche mese dopo; durante la sua assenza io ave­vo pensato a lei conservando preziosamente un anellino che mi aveva regalato. Quando la rividi, la gioia mia fu grande, ma ahimè! ottenni soltanto uno sguardo indifferente... Il mio amo­re non era stato capito, lo sentii, e non mendicai un'affezione che mi veniva rifiutata, ma il buon Dio mi ha dato un cuore così amante e sensibile che, quando ha voluto bene puramen­te, vuoI bene sempre, e così continuai a pregare per la mia compagna, e l'amo ancora.

119 - Vedendo che Celina voleva bene ad una delle nostre maestre, volli imitarla, ma, non sapendo ingraziarmi le creature, non ci riuscii. Oh, felice ignoranza! Quanti mali mi ha evitati! Come ringrazio Gesù di avermi fatto trovare «soltanto amarezze nelle amicizie della terra»! Con un cuore come il mio, mi sarei lasciata prendere e tagliare le ali, allora in qual modo avrei potu­to «volare e riposarmi»? Un cuore abbandonato agli affetti del­le creature come può unirsi intimamente con Dio? Sento che questo non è possibile. Senz'aver bevuto alla coppa avvelenata dell'amore troppo ardente delle creature, sento che non posso ingannarmi; ho visto tante anime sedotte da quella falsa luce volare come povere farfalle e bruciarsi le ali, poi tornare verso la vera dolce luce dell'amore che dava ad esse ali nuove più bril­lanti e più leggere, affinché potessero volare a Gesù, Fuoco divi­no «che brucia senza consumare» Ah, lo sento, Gesù mi sapeva troppo debole per espormi alla tentazione. Forse mi sarei lasciata bruciare tutta dalla luce ingannatrice se l'avessi vista brillare ai miei occhi... Non è stato così, ho incontrato solamente amarezza là dove anime più forti incontrano la gioia e se ne distaccano per fedeltà. Io non ho dunque alcun merito per non essermi abbandonata all'amore delle creature, poiché da esso fui preservata per grande miseri­cordia del Signore! Riconosco che senza lui avrei potuto cade­re in basso quanto santa Maddalena, e la profonda parola di Nostro Signore a Simone mi echeggia nell'anima con grande dolcezza.

120 - Lo so, «colui al quale si rimette meno, ama meno» ma so anche che Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddale­na perché mi ha rimesso in antictpo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter chiarire ciò che sento! Ecco un esempio che spiegherà il mio pensiero. Suppongo che il figlio d'un medico abile incontri sul suo cammino una pietra che lo faccia cadere; cadendo, egli si rompe un arto, e subito il padre corre a lui, lo rialza con amore, cura le ferite impegnando tutte le risorse della sua arte, e ben presto il figlio completamente gua­rito gli dimostra la propria riconoscenza. Certamente questo figlio ha ben ragione d'amare suo padre! Ma farò ancora un'altra ipotesi. Il padre, avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trova una pietra, si affretta, va innanzi a lui, la rimuove senza che nessuno lo veda. Certamente questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non sapendo la sventura dalla quale è liberato per mezzo di suo padre, non testimonierà a lui la propria riconoscenza e l'amerà meno che se fosse stato gua­rito da lui. Ma se viene a conoscere il pericolo al quale è stato sottratto, non amerà di più suo padre? Ebbene, io sono quel figlio, oggetto dell'amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il Verbo a riscattare i giusti bensì i peccatori. Vuole che io lo ami perché mi ha rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso che io lo amassi molto, come santa Mad­dalena, ma ha voluto che io sappia com'egli mi ha amata d'un amore d'ineffabile previdenza, affinché ora io ami lui alla follia! Ho inteso dire che non si è mai incontrata un'anima pura la quale ami più di un'anima penitente; ah! come vorrei smentire questa parola!

121 - Mi accorgo di essere ben lontana dal mio sogget­to, e perciò mi affretto di tornare ad esso. L'anno che seguì la mia prima Comunione trascorse quasi tutto senza prove inti­me per l'anima mia, fu durante il mio ritiro per la seconda Comunione che mi vidi assalita dalla terribile malattia degli scrupoli. Bisogna essere passati attraverso questo martirio per capirlo bene: dire quanto ho sofferto per un anno e mezzo, mi sarebbe impossibile. Tutti i miei pensieri e le mie azioni più semplici divenivano per me oggetto di turbamento; non avevo riposo se non dicendoli a Maria, e ciò mi costava molto, perché mi credevo obbligata a dire i pensieri stravaganti che avevo riguardo a lei stessa. Appena deposto il fardello, gustavo un attimo di pace, ma questa pace passava come un lampo, e ben pre­sto il martirio ricommciava. Che pazienza è stata necessaria a Maria cara, per ascoltarmi e non darmai segni di noia! Appena tornavo dall'Abbazia, lei si metteva ad arricciarmi i capelli per il giorno dopo (perché tutti i giorni, per far piacere a Papà, la pic­cola regina aveva i capelli arricciati, con grande stupore delle compagne e soprattutto delle maestre le quali non vedevano bambine così curate dai loro genitori), durante la seduta non smettevo di piangere e di raccontare tutti i miei scrupoli. Alla fine dell'anno Celina, avendo finito i suoi studi, rien­trò a casa, e la povera Teresa, obbligata a tornare sola a scuola, non tardò ad ammalarsi: l'unica attrattiva che la tratteneva trì collegio era vivere con la sua Celina inseparabile, senza lei la «figlioletta» non poté restarci.

122 - Uscii dunque dall'Abbazia all'età di tredici anni, e continuai la mia istruzione prendendo varie lezioni per settima­na da «Madame Papinau». Era un'ottima persona erudita, ma aveva un po' il tono della zitella; viveva con sua madre, ed era incantevole vedere il ménage che facevano in tre (perché la gatta era di famiglia ed io avevo da tollerare che mi facesse le fusa sopra i quaderni, e mi toccava anche ammirare la sua eleganza). Avevo il vantaggio di vivere nell'intimità della famiglia; i Buis­sonnets essendo troppo lontani per le gambe un po' invecchiate della mia docente, lei aveva chiesto che andassi a casa sua. Quando arrivavo, generalmente trovavo soltanto la vecchia signora Cochain la quale mi guardava «con i suoi grandi occhi chiari», e poi chiamava con voce calma e sentenziosa: «M.me Papinau... Ma.. .d'mòizelle Thè.. .rèse è qui». La figlia rispondeva prontamente con voce infantile: «Eccomi, Maman». E la lezione cominciava.

123 - Queste lezioni avevano in più il vantaggio (oltre all'istruzione che ricevevo) di farmi conoscere il mondo... Chi l'avrebbe creduto! In quella stanza arredata all'antica, ingom­bra di libri e quaderni, assistevo spesso a visite di ogni genere: preti, signore, giovanette, ecc. La signora Cochain faceva il più possibile le spese della conversazione per lasciare alla figlia il modo di darmi lezione, ma in quei giorni non imparavo molto; col naso nel libro udivo tutto ciò che dicevano, ed anche quel­lo che sarebbe stato meglio per me non udire; la vanità s'insi­nua tanto facilmente nel cuore! Una signora diceva che avevo bei capelli... un'altra, uscendo, e credendo di non essere inte­sa, domandava chi fosse quella giovanetta così carina; e così tali parole, tanto più lusinghiere quanto meno erano dette in presenza mia, mi lasciavano nell'anima una compiacenza dalla quale capivo facilmente di essere piena di amor proprio.