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Domenica, 28 aprile 2024 - Misteri gloriosi - San Luigi Maria Grignion da Montfort ( Letture di oggi )

Madre Teresa di Calcutta:« Sarò santo » significa: mi spoglierò di tutto ciò che non è Dio. Spoglierò il mio cuore e lo vuoterò di tutte le cose create; vivrò nella povertà e nel distacco. Rinunce­rò alla mia volontà, alle mie inclinazioni, ai miei sogni e alle mie fantasie e farò di me uno schiavo volontario della volontà di Dio. Sì, figli miei, questo è quanto pre­go ogni giorno - per ciascuno - che tutti noi si possa diventare liberi schiavi della volontà di Dio.

LETTURE A CASO

Lc 23,1-56

1Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato 2e cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re". 3Pilato lo interrogò: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici". 4Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: "Non trovo nessuna colpa in quest'uomo". 5Ma essi insistevano: "Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui".

6Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo 7e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme.

8Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. 9Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. 10C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. 11Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. 12In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro.

13Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo, 14disse: "Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; 15e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. 16Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò". 17. 18Ma essi si misero a gridare tutti insieme: "A morte costui! Dacci libero Barabba!". 19Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.

20Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. 21Ma essi urlavano: "Crocifiggilo, crocifiggilo!". 22Ed egli, per la terza volta, disse loro: "Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò". 23Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. 24Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. 25Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.

26Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. 27Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. 28Ma Gesùugrave;, voltandosi verso le donne, disse: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. 29Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.

30Allora cominceranno a dire ai monti:

Cadete su di noi!
e ai colli:
Copriteci!


31Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?".

32Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.

33Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. 34Gesù diceva: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".

Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.

35Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto". 36Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: 37"Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso". 38C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". 40Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? 41Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". 42E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". 43Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso".

44Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 45Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. 46Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo spirò.

47Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: "Veramente quest'uomo era giusto". 48Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto. 49Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.

50C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. 51Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatéa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. 52Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. 54Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato. 55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, 56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.


Un Vangelo commentato a caso

Vangelo Lc 15,1-3.11-32 Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.

2 Cor 1,1-24

1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia: 2grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

3Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, 4il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. 5Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. 6Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. 7La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.

8Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. 9Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. 10 Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora, 11grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché, per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.

12Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da Dio, non con la sapienza della carne ma con la grazia di Dio. 13 Non vi scriviamo in maniera diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che comprenderete sino alla fine, 14come ci avete già compresi in parte, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro Gesù.

15Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia, 16e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea. 17Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo "sì, sì" e "no, no"? 18Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". 19Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". 20E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria. 21È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, 22ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.

23Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto. 24Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi.


Protreptico ai Greci: Capitolo 5

Percorriamo, se vuoi, anche le dottrine che i filosofi affermano orgogliosamente intorno agli dei, se mai ci riesca di scoprire che anche la stessa filosofia per vanità di dottrina personifica la materia, o di poter mostrare di passaggio che, anche quando sono delle potenze divine quelle che divinizza, essa vede la verità come in sogno. Essi ci lasciarono infatti gli elementi, celebrando come principii di tutte le cose, Talete di Mileto l'acqua, e Anassimene, anche lui di Mileto, l'aria, il quale fu seguito da Diogene d'Apollonia. Parmenide di Elea introdusse come dei il fuoco e la terra; di questi due, supposero dio uno solo, il fuoco, Ippaso di Metaponto ed Eraclito di Efeso; quanto ad Empedocle d'Agrigento, questi, avendone incontrato un gran numero, annovera tra gli dei, oltre a questi quattro elementi, l'odio e l'amicizia. Atei erano dunque anche questi, perchè con una certa sapienza che non è sapienza adorarono la materia e, se anche non onorarono le pietre o il legno, divinizzarono tuttavia la terra che è la madre di questi, e, se anche non inventano Poseidone adorano tuttavia l'acqua stessa. Che altro è mai infatti Poseidone se non una sostanza liquida chiamata così da posis?. Come certamente il bellicoso Ares è così chiamato da arsis e da anairesis (= distruzione), che è soprattutto la ragione, mi pare, per la quale molti, confitta al suolo la spada, si limitano a sacrificare ad essa, quasi che sacrificassero ad Ares. Tale costume è degli Sciti, come dice Ludosso nel secondo libro del suo " Periodo della terra ", mentre, tra gli Sciti, i Sauromati, come dice Icesio nel suo libro " Sui misteri", venerano l'acinace. Questo è stato anche il caso dei seguaci di Eraclito, che venerano il fuoco come principio generatore del mondo: giacchè questo fuoco è quello che altri chiamarono Efesto. Tra i Persiani i Magi onorano il fuoco e così molti di quelli che abitano l'Asia, e, oltre questi, i Macedoni, come dice Diogene nel primo libro della sua "Storia persiana ". Che bisogno c’è che io menzioni i Sauromati, i quali, come racconta Nimfodoro, nei suoi " Costumi barbarici ", venerano il fuoco? O i Persiani e i Medi e i Magi? Dinone dice che questi sacrificano a cielo scoperto, perchè ritengono che il fuoco e l'acqua siano le sole immagini di dei. Non vi ho celato neppure l'ignoranza di costoro. Giacchè, se essi credono di sfuggire per la massima parte all'errore, scivolano però in un altro inganno: non hanno ritenuto, come gli Elleni, immagini di dei il legno e le pietre, Nè gli ibis e gli icneumoni, come gli Egiziani, ma hanno ritenuto tali il fuoco e l'acqua, come i filosofi. Molti secoli dopo tuttavia, come Berosso nel terzo libro della sua "Storia caldaica " ci mostra, essi veneravano statue di forma umana; questo costume fu introdotto da Artaserse, figlio di Dario e padre di Ocho, il quale fu il primo a innalzare a Babilonia e a Susa e ad Echatana la statua di Afrodite Anaitide e insegnò ad adorarla ai Persiani e ai Baetri e a Damasco e a Sardi. Riconoscano dunque i filosofi come loro maestri i Persiani o i Sauromati o i Magi, dai quali essi hanno appreso l'empietà di considerare come oggetto di venerazione i primi principii, ignorando il primo autore di tutte le cose e creatore degli stessi primi principii, il Dio senza principio, e invece venerando questi elementi " umili " e " deboli ", come dice l'Apostolo, che sono stati fatti per il servizio degli uomini. Degli altri filosofi, quanti, superati gli elementi, cercarono qualche cosa di più alto e di più eccellente, celebrarono, alcuni l'infinito, come Anassimandro (era di Mileto) e Anassagora di Clazomene e Archelao di Atene. Questi due preferirono la mente all'infinito, Leucippo di Mileto invece e Metrodoro di Chio lasciarono anche essi, a quanto sembra, due principii, il pieno e il vuoto. Prese questi due principii e vi aggiunse le immagini (idoli) l'abderita Democrito. Quanto al crotoniate Alcmeone, questi credeva che fossero dei gli astri, ritenendoli animati (non tacerò neppure l'impudenza di costoro), Senocrate (di Calcedone, questi) dice oscuramente che i pianeti sono sette dei, e che l'ottavo è il mondo risultante di tutte le stelle fisse. Nè tralascerò gli Stoici, i quali dicono che il divino attraversa tutta la materia, anche la più spregevole, e così coprono addirittura di vergogna la filosofia. Non credo gravoso, giunto a questo punto, far menzione anche dei Peripatetici. Il padre di questa setta, Poichè non conobbe il padre di tutte le cose, crede che quegli che è detto " supremo " sia l'anima del tutto; cioè egli suppone che l'anima del mondo sia Dio, e così egli si trafigge da se stesso. Giacchè egli limita la provvidenza solo fino alla luna, e poi ritiene Dio il cosmo, e così cade in contraddizione perchè afferma che è Dio ciò che è privo di Dio. Il celebre Teofrasto di Ereso, il discepolo di Aristotele, in un punto suppone che sia Dio il cielo, in un altro che sia lo spirito. Epicuro solo dimenticherò e volentieri, il quale crede, nella sua estrema empietà, che nulla stia a cuore a Dio. E quanto ad Eraclide Pontico, che cosa bisogna dire? Vi è un solo punto in cui non sia tratto, anche lui, verso gli idoli di Democrito?

(Autore: Clemente alessandrino)

L'imitazione di Cristo: IL CORPO DI CRISTO E LA SACRA SCRITTURA SOMMAMENTE NECESSARI ALL'ANIMA FEDELE

PAROLE DEL DISCEPOLO
O soavissimo Signore Gesù, quant'è grande la dolcezza dell'anima devota che siede al tuo banchetto, nel quale le viene imbandito nessun altro cibo all'infuori di Te stesso, unico suo Amato, desiderabile sopra tutti i desideri del suo cuore! Ed anche a me sarebbe dolce, alla tua presenza, versare lacrime per l'intima tenerezza del cuore e, con la pia Maddalena, bagnare di pianto i tuoi piedi. Ma dov'è questa devozione? Dove, una tale profusione di lacrime sante? Certo, al cospetto tuo e dei tuoi santi Angeli, io dovrei avvampare tutto quanto nell'intimo e piangere di gioia.

Ho, infatti, nel Sacramento, Te realmente presente, benché nascosto sotto specie non tue. I miei occhi non potrebbero sostenere di vederTi nel tuo proprio e divino splendore; anzi, neppure l'universo intero potrebbe sussistere davanti al glorioso splendore della tua Maestà. Per questo, dunque, Tu vieni incontro alla mia insufficienza, nascondendoTi sotto le specie del Sacramento.

Io possiedo realmente ed adoro Colui che gli Angeli adorano in Cielo; finora, però, Lo adoro soltanto nella Fede, mentre gli Angeli Lo adorano faccia a faccia e senza veli. Io devo accontentarmi della luce della vera Fede e camminare in essa, finché sorga il giorno dello splendore eterno e tramontino, dileguandosi, le ombre delle figure. "Ma quando verrà ciò che è perfetto" (1Cor 13,10), cesserà l'uso dei Sacramenti, perché i Beati nella gloria celeste non hanno bisogno di medicina sacramentale.Essi, infatti, godono senza fine la presenza di Dio, contemplando faccia a faccia la sua gloria. Passano di luce in luce fino all'abisso della Divinità ed assaporano il Verbo di Dio fatto carne, quale era in principio e quale permane in eterno. Quando il pensiero mi riporta a codeste meraviglie, qualsiasi consolazione, anche spirituale, mi si trasforma in noia gravosa, perché, fino a quando io non veda manifestamente il mio Signore nella sua gloria, stimo un nulla tutto ciò che vedo e sento quaggiù. Tu mi sei testimonio, o Dio, che nessuna cosa mi può dare conforto, che nessuna creatura può darmi pace, se non Tu, mio Dio, che desidero contemplare in eterno.

Ma ciò non è possibile, mentre vivo in questa vita mortale. Quindi, occorre ch'io mi disponga a grande pazienza e mi sottometta a Te in ogni mio desiderio. Anche i tuoi Santi, o Signore, che ormai esultano con Te nel Regno dei Cieli, mentre erano in questa vita attendevano con grande fede e pazienza l'avvento della tua gloria. Ciò che essi hanno creduto, lo credo anch'io; ciò che essi hanno sperato, lo spero anch'io; dove essi sono giunti, confido di giungere anch'io, con la grazia tua.

Intanto, camminerò nella Fede, attingendo forza dagli esempi dei Santi. Terrò pure, come mia consolazione e come mio specchio di vita, i Sacri Libri e, soprattutto, come speciale mio rimedio e come rifugio, il tuo sacratissimo Corpo. Due cose, infatti, sento che mi sono sommamente necessarie in questa vita; senza di esse, mi riuscirebbe insopportabile codesta vita di miserie. Imprigionato nel carcere di questo mio corpo, confesso d'avere bisogno di due cose: di nutrimento e di luce. Per questo, a me che sono così debole, Tu hai dato il tuo sacro Corpo quale ristoro dell'anima e del corpo, e hai posto "davanti ai miei piedi come lucerna la tua Parola" (Sal 118,105). senza questi due doni non potrei vivere bene, perché la Parola di Dio è la luce dell'anima mia e il tuo Sacramento è pane di vita.

Questi due doni si possono anche chiamare due mense, poste di qua e di là nel gazofilacio, cioè nel tesoro della Santa Chiesa. L’una è la mensa del Sacro Altare, sulla quale è il Pane Santo, cioè il prezioso Corpo di Cristo. L’altra è la mensa della Legge di Dio, che contiene la Santa dottrina, che insegna la retta fede, che guida con sicurezza fin oltre il velo più interno, dove sta il Santo dei Santi. Siano rese grazie a Te, o Signore Gesù, luce della luce eterna, per questa mensa della santa dottrina, che ci hai imbandito per mezzo dei tuoi servi, i Profeti, gli Apostoli e gli altri dottori. Siano rese grazie a Te, Creatore e Redentore degli uomini, che, per manifestare al mondo intero il tuo amore, hai preparato quella grande cena nella quale ci hai offerto da mangiare non l'agnello simbolico, ma il tuo Corpo santissimo ed il tuo Sangue, Riempiendo di letizia tutti i tuoi fedeli con il tuo sacro convito ed inebriandoli con il calice della salvezza, nel quale sono contenute tutte le delizie del Paradiso; convito, nel quale banchettano insieme con noi, sebbene con più felice soavità, gli Angeli Santi.

Oh, quanto grande e venerando il ministero dei Sacerdoti! Ad essi è stato comandato di consacrare con la santa formula il Signore Altissimo, di benedirLo con le labbra, di tenerLo tra le mani, di nutrirsene con la propria bocca e di dispensarLo agli altri. Oh, quanto pure devono essere quelle mani, quanto pure le labbra, quanto santo il corpo e quanto immacolato il cuore del Sacerdote, nel quale tante volte entra l'Autore della purezza! Dalla bocca del Sacerdote, che tante volte riceve il Sacramento di Cristo, nessuna parola deve uscire, che non sia santa, onesta e fruttuosa. I suoi occhi, che abitualmente si posano sul Corpo di Cristo, devono essere modesti e pudichi; Pure ed elevate al cielo devono essere le sue mani, che sono solite stringere il Creatore del cielo e della terra. Ai Sacerdoti, in modo speciale, è detto nella Legge: "Siate santi, perché Io, il Signore Dio vostro, sono santo" (Lv 19,2).

Dio onnipotente, ci aiuti la tua grazia, perché noi, che abbiamo assunto il ministero sacerdotale, sappiamo essere a tuo servizio degnamente e devotamente, con ogni purezza e con buona coscienza. E, se non possiamo conservarci in tanta innocenza di vita come dovremmo, concedici almeno di piangere come si conviene il male che abbiamo fatto, e di servirTi per il futuro con più fervore, in ispirito d'umiltà e nel fermo proponimento d'una volontà sincera.