... e negli inetti.
12. 3. Esercitavano queste arti con tanto maggior bravura quanto meno si davano ai piaceri e all'infiacchimento spirituale e fisico nel procacciarsi e aumentare le ricchezze e nel rendere con esse depravati i costumi rubando ai cittadini onesti e largheggiando con gli attori disonesti. Pertanto giacché la depravazione morale, quando Sallustio scriveva e Virgilio cantava questi fatti, aveva il pieno sopravvento, ambivano cariche onorifiche e gloria non con le arti del potere ma con brogli fraudolenti. Perciò scrive il citato Sallustio: Dapprima più l'ambizione che l'avarizia travolgeva la coscienza degli individui. Tuttavia il vizio dell'ambizione è molto vicino alla virtù. Infatti tanto la persona capace che l'inetta cercano di procacciarsi gloria, onore e potere, ma il primo vi tende per la via giusta, l'altro, giacché gli mancano le buone arti, vi aspira con i brogli fraudolenti 31. Sono queste le buone arti: il raggiungere, cioè, l'onore, la gloria e il potere mediante la virtù e non mediante l'ambizione; tuttavia tanto la persona capace che l'inetta si affannano a raggiungerli, ma quegli, cioè la persona capace, vi tende per la via giusta. La via è la virtù con cui si tende come alla mèta del conseguimento, cioè alla gloria, all'onore e al potere. Che i Romani avessero innato questo sentimento lo indicano nella loro città anche i tempietti, costruiti appunto in contiguità, degli dèi Virtù e Onore, sebbene considerassero dèi i doni di Dio. Dal fatto è possibile capire quale, secondo le loro intenzioni, fosse la mèta della virtù e a che cosa la riferivano quelli che erano buoni, cioè all'onore. I cattivi non avevano la virtù, sebbene bramassero conseguire l'onore che tentavano di conquistare con le cattive arti, cioè con i brogli fraudolenti.