La guerra civile mariana.
27. Mario, già macchiato del sangue dei concittadini per averne uccisi molti del partito avverso, vinto a sua volta, era fuggito da Roma. La città respirò appena un po' quando, per usare le parole di Cicerone, vinse il partito di Cinna e Mario. In quella circostanza con l'uccisione di uomini illustri si spensero gli occhi della città. In seguito Silla punì la crudeltà di questa vittoria e non c'è bisogno di dire con quale diminuzione di cittadini e con quanto danno per lo Stato. Di questa vendetta, la quale fu più dannosa che se i delitti puniti fossero rimasti impuniti, ha detto Lucano: Il rimedio non rispettò la misura e andò troppo al di là del punto in cui le malattie guidarono la mano del medico. Morirono i colpevoli, ma perché soltanto altri colpevoli poterono sopravvivere. Fu data libertà agli odi e l'ira, sciolta dai freni delle leggi, infierì. Nella guerra civile fra Mario e Silla, senza considerare quelli che erano morti in combattimento, le strade, le piazze, i fori, i teatri, i templi nella città stessa erano pieni di cadaveri. Era difficile giudicare quando i vincitori avessero causato un numero più alto di morti, se prima per vincere o dopo perché avevano vinto. Dapprima con la vittoria di Mario, quando tornò dall'esilio, a parte le uccisioni avvenute dovunque, la testa del console Ottavio fu posta sui rostri, i Cesari furono uccisi da Fimbria nelle proprie case, i due Crassi, padre e figlio, furono sgozzati l'uno di fronte all'altro, Bebio e Numitorio trascinati con un arpione morirono spargendo gli intestini per la strada, Catulo si sottrasse alle mani dei nemici prendendo il veleno, Merula, flamine diale, tagliandosi le vene sacrificò a Giove col proprio sangue. Davanti agli occhi dello stesso Mario venivano uccisi cittadini soltanto se al loro saluto egli non porgeva loro la mano.