A volte Dio come un buon giardiniere scende nel suo orto per controllare i fiori che ha piantato e se trova uno particolarmente bello, lo prende con Sé e lo porta nella Sua casa. È successo proprio questo oggi, nella chiesa di Santa Francesca Romana, nella zona Ardeatina della Capitale, dove si è celebrato il funerale, anzi la “nascita al Cielo” della giovane Chiara Petrillo, dopo una sofferenza di circa due anni provocata da un tumore.
Una cerimonia tutt’altro che funebre: una grande festa a cui hanno preso parte circa mille persone che hanno occupato la chiesa fino ai matronei più alti, cantando, suonando, applaudendo e pregando dall’ingresso della bara fino alla sua uscita.
È una storia straordinaria quella di Chiara, che in questi giorni sta girando in tutti i canali della rete, tanto che il video su Youtube - Testimonianza di Enrico e Chiara - ha registrato più di 500 visualizzazioni in un solo giorno.
Non si può restare impassibili di fronte a questa storia di
santità dei nostri giorni. Una storia che merita di essere
conosciuta e raccontata, come hanno scritto molti utenti nei loro
commenti, perché è una dimostrazione di come sia
possibile realizzare oggi le parole di Giovanni Paolo II quando
disse: “Tutti possono aspirare alla santità, la misura alta
della nostra vita quotidiana”.
Soprattutto è la prova che, nonostante siamo immersi oggi
in una società egoista che insegna a salvaguardare il
proprio benessere prima di ogni altra cosa, c’è ancora chi,
con la forza della fede, è capace di morire per l’altro, di
sacrificare la propria vita pur di permettere ad una nuova di
nascere.
Questa ragazza romana di soli 28 anni, bella, solare, con il sorriso sempre sulle labbra, è morta, infatti, per aver rimandato le cure che avrebbero potuto salvarla, pur di portare a termine la gravidanza del suo Francesco, un bambino atteso fin dal primo momento del suo matrimonio con Enrico.
Non era la prima gravidanza di Chiara. Pochi mesi dopo le nozze, la ragazza era rimasta incinta di Maria, una bimba a cui sin dalle prime ecografie, era stata diagnosticata un’anencefalia, ovvero una malformazione congenita per cui sarebbe nata priva totalmente o parzialmente dell’encefalo.
I due giovani sposi accolsero senza alcuna esitazione questa nuova vita come un dono di Dio, nonostante i medici avessero tentato più volte di farli desistere. E gioirono per tutti i 30 minuti di vita della piccola, celebrando il battesimo e accompagnandola nella sua «nascita in cielo».
Alcuni mesi dopo, una nuova gravidanza. Anche in questo caso, però, la gioia della notizia venne minata dalle prime ecografie che non facevano presagire nulla di positivo. Il bimbo, un maschietto di nome Davide, sarebbe nato senza gli arti inferiori.
Armati dalla fede e dall’amore che ha sempre sorretto il loro
matrimonio, i due sposi decisero di portare a termine la
gravidanza. Una scelta “incosciente e ostinata” ha scritto
qualcuno sul web, ma sicuramente una scelta di fede, frutto della
convinzione che le chiavi della vita e della morte sono custodite
solo da Dio.
Verso il settimo mese, una nuova ecografia rivelava delle
malformazioni viscerali con assenza degli arti inferiori per il
piccolo Davide. “Il bambino è incompatibile alla vita” era
la sentenza. Incompatibile forse alla vita terrestre, ma non a
quella celeste.
La coppia infatti ha atteso la nascita del bambino, il 24 giugno
2010, e dopo aver celebrato subito il suo battesimo, ha
accompagnato con la preghiera la sua breve vita fino all’ultimo
respiro.
Sofferenze, traumi, senso di scoraggiamento, ma Chiara ed Enrico
non si sono mai chiusi alla vita, tanto che dopo qualche tempo
arrivò un’altra gravidanza: Francesco.
Questa volta le ecografie confermavano la buona salute del bimbo,
tuttavia al quinto mese a Chiara i medici diagnosticarono una
lesione della lingua che dopo un primo intervento, si
confermò essere la peggiore delle ipotesi: un
carcinoma.
Da lì in poi una serie di combattimenti. Chiara e il
marito, però, non hanno perso la fede e “alleandosi” con
Dio decisero ancora una volta di dire sì alla vita.
Chiara difese Francesco senza alcun ripensamento e, pur correndo
un grave rischio, rimandò le cure portando avanti la
maternità. Solo dopo il parto, infatti, la giovane
potè sottoporsi a un nuovo intervento chirurgico più
radicale e poi ai successivi cicli di chemio e radioterapia.
Francesco è nato sano e bello il 30 maggio 2011; ma Chiara,
consumata nel corpo fino a perdere anche la vista dell’occhio
destro, dopo un anno, non ce l’ha fatta. Mercoledì, verso
mezzogiorno, circondata da parenti e amici, ha terminato la
battaglia contro il “drago” che la perseguitava, come lei definiva
il tumore, in riferimento alla lettura dell’Apocalisse.
Come, però, si legge nella medesima lettura - scelta non a
caso nella cerimonia funebre - una donna ha sconfitto il drago.
Chiara, infatti, avrà perso il suo combattimento terreno,
ma ha vinto la vita eterna e ha donato a noi tutti una vera
testimonianza di santità.
“Una seconda Gianna Beretta Molla” l’ha definita il cardinale
vicario, Agostino Vallini, che ha voluto omaggiare con la sua
presenza Chiara, che aveva conosciuto qualche mese fa insieme a
Enrico.
“La vita è come un ricamo di cui noi vediamo il rovescio,
la parte disordinata e piena di fili – ha detto il porporato – di
tanto in tanto, però la fede ci permette di vedere un lembo
della parte dritta”. È il caso di Chiara secondo il
cardinale: “una grande lezione di vita, una luce, frutto di un
meraviglioso disegno divino che ci sfugge, ma che c’è”.
“Io non so cosa Dio abbia preparato per noi attraverso questa
donna” ha soggiunto, “ma è sicuramente qualcosa che non
possiamo perdere; perciò raccogliamo questa eredità
che ci ricorda di dare il giusto valore ad ogni piccolo o grande
gesto quotidiano”.
“Questa mattina stiamo vivendo, quello che 2000 anni fa visse il
centurione, quando vedendo morire Gesù disse: Costui era
veramente figlio di Dio” ha detto invece nella sua omelia frate
Vito, giovane francescano, conosciuto ad Assisi, che ha assistito
spiritualmente Chiara e la sua famiglia nell’ultimo periodo,
trasferendosi anche nella loro casa.
“La morte di Chiara è stata il compimento di una preghiera”
ha proseguito. La giovane, difatti, ha raccontato il frate, “dopo
la diagnosi medica del 4 aprile che la dichiarava ‘malata
terminale’, ha chiesto un miracolo: non la guarigione, ma di far
vivere questi momenti di malattia e sofferenza nella pace a lei e
alle persone più vicine”.
“E noi – ha detto ancora frate Vito, visibilmente emozionato – abbiamo visto morire una donna non solo serena, ma felice”. Una donna che ha vissuto spendendo la sua vita per l’amore agli altri, arrivando a confidare ad Enrico “forse la guarigione in fondo non la voglio, un marito felice e un bambino sereno senza la mamma rappresentano una testimonianza più grande rispetto ad una donna che ha superato una malattia. Una testimonianza che potrebbe salvare tante persone…”.
A questa fede Chiara è arrivata pian piano, ha precisato frate Vito, “seguendo la regola appresa ad Assisi dai francescani che tanto amava: piccoli passi possibili”. Un modo, ha spiegato, “per affrontare la paura del passato e del futuro di fronte ai grandi eventi, e che insegna a cominciare dalle piccole cose. Noi non possiamo trasformare l’acqua in vino, ma iniziare a riempire le giare. Chiara credeva in questo e ciò l’ha aiutata a vivere una buona vita e quindi una buona morte, passo dopo passo”.
Un grande passo, però, ora Chiara l’ha compiuto: il matrimonio celeste con il suo Sposo “pronto per lei” – come cantavano i giovani del suo gruppo parrocchiale – tanto che per l’occasione nella bara era vestita con il suo abito nuziale.
Chiara, ora, potrà “accudire i suoi Maria e Davide” e
“pregare per Francesco” come scriveva nella lettera lasciata a suo
figlio, letta oggi da Enrico.
E tutti noi, così come questa mattina abbiamo portato via
dalla Chiesa una piantina – per volontà di Chiara che non
voleva fiori al suo funerale, ma che ognuno ricevesse un dono –
portiamo nel cuore un “pezzetto” di questa testimonianza, pregando
e chiedendo la grazia a questa giovane donna che forse un domani
chiameremo Beata Chiara Corbella.
Autore: Salvatore Cernuzio (Zenit)