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CAPITOLO 1

 

Il Signore dispone di mettere alla prova Maria santissima mentre è a Nazaret e la prepara a nuove grazie.

712. Gesù, Maria e Giuseppe vennero ad abitare a Nazaret e quella umile e povera abitazione si tramutò in un secondo cielo. Per poter riferire gli arcani misteri che avvennero tra Gesù e la sua purissima Madre fino ai dodici anni di vita e successivamente alla predicazione, sarebbero necessari molti libri. Direi comunque sempre poco per la grandezza ineffabile dell'argomento e per la mia ignoranza. Dirò solo, illuminata dalla gran Signora, qualche cosa, tacendo però nella maggior parte, perché non è possibile né conveniente conoscere tutto in questa vita. Il saper ogni cosa è riservato per la vita eterna in cui abbiamo riposto ogni nostra speranza.

713. Pochi giorni dopo il ritorno dall'Egitto a Nazaret, il Signore decise di mettere alla prova la sua santissima Madre come aveva fatto nel tempo della sua fanciullezza, benché ora ella fosse più salda nell'amore e ripiena di sapienza. La potenza di Dio è infinita e il suo amore divino è immenso, ma anche la capacità della Regina era superiore a quella di tutte le creature, così che il Signore volle sollevarla a maggiore stato di santità e di meriti. Come vero maestro di vita spirituale, volle formare una discepola saggia ed eccellente, la quale fosse poi una perfetta maestra di vita e vivo esempio della dottrina del suo maestro. Fu tale infatti Maria santissima dopo l'ascensione al cielo del suo figlio e Signore nostro. Di questo tratterrò in seguito. Era conveniente e necessario, per l'onore di Cristo nostro redentore, che la dottrina evangelica, con la quale e nella quale voleva fondare la nuova legge di grazia santa e senza macchia né ruga, fosse accreditata nella sua efficacia e virtù in qualche pura creatura nella quale i suoi effetti fossero pienamente compiuti. Questa doveva essere il più possibile perfetta nel suo genere e su di essa si sarebbero regolati e misurati tutti gli altri inferiori. A ragione questa creatura doveva essere la beatissima Maria come madre e più vicina al maestro e Signore della santità.

714. L 'Altissimo, dunque, dispose che la divina Signora fosse la prima discepola della sua scuola e la primogenita della nuova legge di grazia. Maria doveva essere l'immagine perfetta del prototipo divino e la materia preparata convenientemente nella quale, come in molle cera, s'imprimesse il sigillo della sua dottrina e santità. In questo modo Figlio e Madre dovevano formare le due tavole viventi della nuova legge che egli era venuto ad insegnare al mondo. Per conseguire questo altissimo fine, il Signore le manifestò tutti i misteri della dottrina evangelica. Il Redentore del mondo conferì con lei su tutto quanto era accaduto, dal ritorno dall'Egitto sino al tempo della predicazione pubblica, come vedremo nel discorso che segue. Per ben ventitré anni il Verbo incarnato e la sua santissima Madre occuparono il tempo a parlare e a far memoria dei grandi misteri. Gli evangelisti tralasciarono tutto ciò che riguardava la vita di Maria, ad eccezione di quanto successe al bambino Gesù all'età di dodici anni, quando si smarrì, secondo un prestabilito disegno, a Gerusalemme, come riferisce san Luca. In questo tempo Maria santissima fu l'unica discepola del suo unigenito Figlio. Egli, oltre agli ineffabili doni di santità e di grazia, comunicati sino ad allora, le infuse una nuova luce e la fece partecipe della sua divina scienza, imprimendo nel suo cuore la legge di grazia e la dottrina che avrebbe insegnato, fino alla fine del mondo, nella sua Chiesa. Tutto ciò avvenne in modo così sublime che non si può spiegare con la ragione e con le parole: la Regina mantenne un comportamento, dettato dalla saggezza e dalla sapienza, tale da illuminare molti mondi - se vi fossero stati - con il suo insegnamento.

715. Per innalzare questo edificio nel cuore purissimo della sua santissima Madre al di sopra di tutto ciò che non era Dio, lo stesso Signore gettò le fondamenta mettendola alla prova nella fortezza dell'amore e di tutte le virtù. A tal fine le fece provare interiormente la sua assenza ritirandole quella vista ordinaria che le dava continua gioia spirituale. Non voglio dire che il Signore la abbandonò, poiché egli rimase accanto a lei e in lei con il dono di grazie sovrabbondanti e in modo ineffabile; tuttavia si nascose dalla sua vista e sospese gli effetti dolcissimi che ella soleva gustare. Come e perché ciò accadesse, il Signore non glielo manifestò mai. Anche lo stesso figlio e Dio bambino le si mostrò più severo del solito: stava meno vicino a lei perché si ritirava molte volte, e le diceva poche parole con grande severità e austerità. Ma quello che la affliggeva maggiormente era l'eclisse di quel Sole che riverberava come in uno specchio di cristallo nell'umanità santissima, nella quale Maria vedeva le opere della sua purissima anima. Così ella non le poteva più vedere come era abituata, per poter imitare quella viva immagine.

716. Questa nuova e improvvisa realtà fu il crogiuolo nel quale si rinnovò e crebbe di carati l'oro purissimo del santo amore della nostra gran Regina. Meravigliata di questa trasformazione, ricorse subito all'umile concetto che aveva di se stessa, giudicandosi indegna dello sguardo del Signore che si era nascosto. Attribuì la colpa di tutto ciò alla mancanza di gratitudine e alla scarsa corrispondenza per non aver dato all'Altissimo, e Padre delle misericordie, il contraccambio che doveva per i benefici ricevuti dalla sua mano. La prudentissima Signora non si affliggeva per la mancanza dei dolcissimi favori e delle abituali tenerezze del Signore, ma il sospetto di averlo disgustato o di aver mancato in qualche modo nel suo servizio e beneplacito le trapassava il candidissimo cuore con un dardo di dolore. Non sa pensare altro l'amore, quando è vero e nobile, perché tutto è impiegato nella gioia e nel bene del bene che ama. Quando l'amore immagina l'amato privo di questa gioia o lo sospetta timoroso e malcontento, non sa riposare fuori dall'appagamento e dalla compiacenza dell'amato. Queste angosce d'amore della Madre di Dio erano molto gradite al suo Figlio santissimo, perché lo innamoravano sempre di più e in modo nuovo; le tenerezze affettuose della sua unica e diletta gli ferivano il cuore. Servendosi di un accorgimento delicato, quando la dolce Madre lo cercava e voleva parlargli, le si mostrava sempre severo e le nascondeva il suo amore. Per questa misteriosa serietà l'incendio del castissimo cuore della Madre sollevava la fiamma come fornace o rogo ardente colpito da un piccolo getto di acqua.

717. Maria compiva atti eroici di tutte le virtù: si umiliava più della polvere, pregava il suo Figlio santissimo con la più profonda adorazione, lodava il Padre e gli rendeva grazie per le sue opere ammirabili e i suoi benefici, conformandosi alla sua divina disposizione e al suo volere. Scrutava la sua santa e perfetta volontà per adempierla in tutto. Si infiammava nell'amore, nella fede e nella speranza; in tutte le opere e vicende quel nardo fragrantissimo emanava odore di soavità per il Re dei re che riposava nel suo cuore come in un talamo fiorito ed odoroso. Perseverava in continue suppliche e lacrime con gemiti e replicati sospiri dall'intimo del suo cuore; effondeva la sua orazione al cospetto del Signore e gli manifestava la sua tribolazione. E molte volte gli diceva parole d'incomparabile bellezza e di amoroso dolore.

718. Gli diceva: «Creatore di tutto l'universo, Dio eterno ed onnipotente, infinito in sapienza e bontà, incomprensibile nell'essere e nelle perfezioni, ben so che il mio gemito non è nascosto alla vostra sapienza e che conoscete, mio Bene, la ferita che trapassa il mio cuore. Se, come inutile serva, ho mancato nel servirvi e nel corrispondere ai vostri desideri, perché, vita dell'anima mia, non mi affliggete e castigate con tutti i dolori e le pene della vita mortale in cui mi ritrovo, affinché io non veda la severità del vostro volto, che merita chi vi ha offeso? Tutte le tribolazioni per me sarebbero assai meno, ma non soffra il mio cuore nel vedervi sdegnato, perché solo voi, o Signore, siete la mia vita, il mio bene, la mia gloria e il mio tesoro. Il mio cuore non tiene conto delle cose create, né le loro immagini entrarono nell'anima mia, salvo che per magnificare la vostra grandezza e riconoscervi come Signore e creatore di tutto. Dunque, che farò io, mio bene e Signore mio, se viene meno la luce degli occhi miei, lo scopo dei miei desideri, la guida del mio pellegrinaggio, la vita che mi dà esistenza e tutto l'essere che mi alimenta? Chi darà agli occhi miei tante lacrime perché non ho saputo avvalermi dei beni ricevuti, e per essere stata così ingrata nel corrispondervi come dovevo? Signore mio, mia luce, mia guida, mia via e mio maestro, che con le vostre più che perfettissime ed eccellenti opere governate le mie che sono fragili e tiepide, se mi nascondete questo modello, come regolerò la mia vita secondo il vostro volere? Chi mi guiderà sicura in questo oscuro esilio? Che farò? A chi mi rivolgerò, se mi negate la vostra protezione?».

719. La cerva ferita con tutto ciò non riposava, ma, come assetata delle fonti purissime della grazia, ricorreva ancora ai suoi santi angeli e con loro teneva lunghe conversazioni e colloqui, dicendo ad essi: «Principi sovrani e favoriti intimi del supremo Re, amici suoi e miei custodi, per la vostra eterna beatitudine nel vedere sempre il suo divino volto nella luce inaccessibile, io vi prego di dirmi se conserva sdegno contro di me, e per quale ragione. Implorate ancora per me alla sua regale presenza, affinché per le vostre preghiere mi perdoni, se per caso l'ho offeso in qualche cosa. Ricordategli, amici miei, che sono polvere, benché fatta dalle sue mani e segnata con la sua immagine: che non si dimentichi di questa povera sino alla fine, poiché ella umilmente lo loda e lo onora. Pregatelo che dia pace e coraggio al mio timore e vita a chi non l'ha se non lo ama. Ditemi: come potrò piacergli e meritare la grazia di vedere il suo volto?». Gli angeli risposero: «Regina e signora nostra, è molto grande il vostro cuore, perché la tribolazione non lo vinca; nessuno conosce più di voi quanto il Signore sia vicino all'afflitto che lo invoca. Egli, senza dubbio, pone attenzione alla vostra richiesta e non disprezza i vostri amorosi gemiti. Sempre troverete in lui un Padre buono, e nel vostro Unigenito un figlio misericordioso, che con amore vede le vostre lacrime». L'amantissima Madre replicò: «Azzarderò troppo ad avvicinarmi alla sua presenza? Sarò troppo audace nel chiedergli, prostrata, che mi perdoni se in qualche cosa l'ho disgustato? Che farò? Che risposta troverò ai miei timori?». I santi principi risposero nuovamente: «Al nostro Re non dispiace il cuore umile, anzi proprio in esso pone gli occhi del suo amore e mai disprezza le preghiere supplichevoli di chi ama, soprattutto nel momento della prova».

720. I santi angeli consolavano la loro Regina e signora con questi colloqui e con queste rassicurazioni, manifestandole - in termini generali - nelle sue dolcissime angosce il singolare amore e compiacimento dell'Altissimo. E non dicevano di più, perché lo stesso Signore voleva avere in esse le sue delizie. Il suo Figlio santissimo, come vero uomo, le portava un naturale amore come a madre e a madre vergine, e spesso si inteneriva con naturale compassione nel vederla così afflitta e gemente. Tuttavia il tratto severo del suo viso non lasciava trasparire i sentimenti di compassione. Alcune volte l'amantissima Madre lo chiamava perché andasse a mangiare, ma egli o si tratteneva o vi andava senza guardarla e senza rivolgerle una parola. Sebbene in tutte queste occasioni Maria santissima spargesse molte lacrime lasciandogli intendere le amorose angosce del cuore, lo faceva con grande discrezione e ponderazione, con gesti tanto prudenti e colmi di sapienza che, se esistesse presso Dio la meraviglia - come sicuramente non è -, il suo divino Figlio sarebbe stato meravigliato di trovare una tale pienezza di santità e di perfezione in una semplice creatura. Il fanciullo Gesù, come uomo, provava speciale diletto e compiacenza nel vedere così ben impiegati, nella sua Madre vergine, gli effetti della sua grazia e del suo divino amore. I santi angeli gli davano nuova gloria con canti di lode per questo ammirabile ed inaudito prodigio di virtù.

721. Affinché il fanciullo Gesù dormisse e riposasse, l'amorosa Madre gli teneva sempre pronta, con una sola coperta, una predella lavorata dalle mani di san Giuseppe. Infatti dal momento in cui aveva lasciato la culla, quando abitavano in Egitto, non aveva voluto avere altro letto, né sistemazione migliore. Non sempre si serviva di quella predella o si coricava su di essa, ma alcune volte, stando seduto su quel duro legno, appoggiava il capo sopra un povero cuscino di lana che la Madre gli aveva confezionato. Quando la divina Signora aveva voluto dargli un letto migliore, il suo Figlio santissimo le aveva risposto che il letto sul quale si sarebbe dovuto distendere sarebbe stato il talamo della croce, per insegnare al mondo che non si deve giungere all'eterna quiete attraverso le comodità amate da Babilonia, perché nella vita il patire è sollievo. Da quell'istante la divina Signora aveva avuto cura di imitare il Figlio nel modo di riposare. Quando era già notte, Maria, madre di umiltà, aveva l'usanza di prostrarsi dinanzi al suo Figlio santissimo adagiato sulla predella. Lì, ogni notte, lo pregava di perdonarla per non essersi impegnata in quel giorno a servirlo con più attenzione e non essere stata tanto grata ai suoi benefici quanto doveva. Lo ringraziava nuovamente di tutto e lo riconosceva, con molte lacrime, come vero Dio e redentore del mondo; non si alzava da terra sino a che il suo Figlio unigenito non glielo ordinava e la benediva. Al mattino implorava il divino Maestro che le indicasse ciò che durante la giornata avrebbe dovuto operare a suo servizio. Il divino Salvatore faceva ciò con molto amore.

722. Durante questo tempo di dura e severa prova il Figlio si comportò in modo del tutto diverso. Quando la Ma dre si avvicinava per venerarlo e adorarlo, come sempre faceva, benché ella aumentasse le lacrime e i gemiti dall'intimo del cuore, non le rispondeva, solamente l'ascoltava con serietà e le ordinava di andarsene. Non c'è spiegazione che possa far comprendere quali effetti operava nel cuore purissimo e semplice dell'amorosa Madre il vedere suo figlio, Dio e vero uomo, così mutato nell'aspetto, parco nelle parole e diverso esteriormente da come di solito le si mostrava. La divina Signora esaminava interiormente le qualità e le circostanze delle sue azioni, e rivisitava attentamente, con la memoria, il porto celeste della sua anima. Non trovando in essa alcuna tenebra, perché vi erano luce, santità, purezza e grazia, sapendo che come dice Giobbe dinanzi agli occhi di Dio né i cieli né le stelle sono puri, temeva di non conoscere qualche casuale difetto, palese invece al Signore. Questo timore le causava veri e propri deliqui d'amore - poiché l'amore è forte come la morte -, ma in questa nobilissima imitazione il timore, pur ricolmando di sapienza, procura anche indicibili sofferenze. La nostra Regina visse per molti giorni in tale condizione. Mentre il suo Figlio santissimo la metteva alla prova con incomparabile compiacimento, la innalzava allo stato di maestra universale delle creature, ricompensando la fedeltà e la finezza del suo amore con abbondante e copiosa grazia, superiore a quella che già possedeva. Ciò che avvenne poi lo dirò nel capitolo seguente.

 

Insegnamento della Regina del cielo

723. Figlia mia, ti vedo desiderosa di essere discepola del mio Figlio santissimo e so che tale desiderio ti è nato dal comprendere come lo fui io. Ora, per tua consolazione, voglio che tu intuisca e sappia come il Figlio di Dio non esercitò una sola volta il servizio di maestro, né solamente nel tempo in cui in forma umana insegnò la sua dottrina. In verità egli continua la sua missione con le anime e lo farà sino alla fine del mondo, ammonendo ed ispirando loro ciò che è meglio e più santo, affinché lo mettano in pratica. Questo lo fa con tutte, senza eccezione, illuminandole secondo la sua volontà, ed esse riceveranno l'insegnamento secondo la propria disposizione e attenzione. Anche tu avresti potuto approfittare della conoscenza di questa verità, data la tua lunga esperienza. Infatti l'altissimo Signore non disdegna di essere maestro del povero, né di insegnare al disprezzato e al peccatore quando questi vogliono interiormente ascoltare la sua voce. Dal momento che ora desideri sapere quale disposizione sua Maestà voglia trovare in te per esercitare con te l'ufficio di maestro, io voglio dirtelo da parte dello stesso Signore ed assicurare che, se sarai ben disposta, egli porrà abbondantemente nella tua anima, come vero saggio artefice e maestro, la sua sapienza, la sua luce e il suo insegnamento.

724. Innanzitutto devi avere la coscienza limpida, pura, serena, quieta e la sollecitudine continua di non cadere nella colpa o in imperfezione alcuna. Contemporaneamente ti devi separare e allontanare da tutto ciò che è terreno, così che - come altre volte ti ho ammonita - non resti in te immagine o memoria di alcuna cosa umana o visibile, ma soltanto il cuore sincero, sereno e chiaro. Quando interiormente sarai così distaccata e libera dalle tenebre e dalle immagini terrene, volgerai l'attenzione al Signore porgendo l'orecchio a lui come figlia carissima che si scorda del popolo della vana Babilonia, della casa del suo padre Adamo e si libera da tutti i residui della colpa. Ti assicuro che egli ti dirà parole di vita eterna. Ti conviene, allora, ascoltarlo subito con venerazione ed umile riconoscenza, stimando la sua dottrina, eseguendola puntualmente e con diligenza, perché a questo gran Maestro delle anime nulla rimane nascosto. Egli si allontana e si ritira con disgusto quando la creatura è ingrata e negligente nell'obbedirgli e nel gradire un così alto beneficio. Non debbono giudicare le anime che l'allontanarsi di Dio avvenga in loro come avvenne in me, senza mia colpa e per eccessivo amore. Infatti nelle altre creature, limitate da tanti peccati, bassezze, ingratitudini e negligenze, vi sono pena e castigo meritati.

725. Adesso, figlia mia, esamina e considera le tue omissioni e mancanze nello stimare la dottrina e la luce che con particolare insegnamento hai ricevuto dal divino Maestro e dalle mie ammonizioni. Modera ormai i timori sregolati e non essere più dubbiosa se sia veramente il Signore che ti parla e insegna, perché la stessa dottrina rende testimonianza della sua verità e di chi ti ha ammaestrata in quanto è santa, pura, perfetta e senza macchia. Questa scienza insegna il meglio e ti corregge da qualsiasi difetto pur minimo che sia; inoltre ti viene approvata dai tuoi maestri e padri spirituali. Voglio ancora che tu sia sollecita - imitandomi in quello che hai scritto - nel venire da me ogni sera ed ogni mattina, perché io sono la tua maestra. Con umiltà mi dirai le tue colpe riconoscendole con dolore e perfetta contrizione, affinché io interceda per te presso il Signore e come madre possa impetrare per te il suo perdono. Subito dopo aver commesso una colpa o un'imperfezione, riconoscila e versa lacrime senza tardare, chiedendo al Signore il perdono con il desiderio di emendarti. Se riuscirai a mantenerti attenta e fedele in ciò che ti comando, sarai discepola dell'Altissimo e mia come desideri, perché la trasparenza dell'anima e la grazia sono le eminenti e più adeguate disposizioni per ricevere gli influssi della luce divina e della scienza infusa che il Redentore del mondo comunica a quelli che sono suoi veri discepoli.

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