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Cesare Bisognin, seminarista della diocesi di Torino fù ordinato sacerdote a 19 anni, poco prima di lasciare questa terra.

Egli nacque a Torino il 6 giugno 1956, primogenito di Andrea Bisognin torinese e di Agnese Frigeni della provincia bergamasca, fu battezzato quattro giorni dopo. Crebbe nel fervente e religioso clima familiare, dove ogni sera si recitava il rosario, spesso era lui bambino di 7-8 anni a guidare la preghiera mariana, cosa che faceva anche fuori casa durante l’estate, quando ci si recava in vacanza a Celana, paesino d’origine della mamma e i contadini si radunavano la sera nella piccola cappella campestre dedicata alla Madonna del Carmine.

A nove anni il 1° maggio 1965 fece la Prima Comunione e ricevé la Cresima insieme al fratello minore Carlo, nella sua parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo. Frequentò le Scuole Elementari a Torino e poi fu iscritto alla Scuola Media “Alessandro Manzoni” di via Giacosa. Nei delicati anni della preadolescenza e adolescenza, Cesare si dimostrò un ragazzo vivace, fermo di carattere anche se un po’ puntiglioso, stava volentieri in compagnia dei coetanei; era appassionato del gioco del calcio; Aspirante d’Azione Cattolica, capogruppo dei chierichetti della parrocchia, studente diligente. Decisiva e provvidenziale si rivelò in quegli anni la guida spirituale di don Pino Cravero, allora viceparroco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo, oggi parroco in altra zona; il quale gli sarà vicino come confessore e amico più caro per i 10 anni che intercorsero dalla Prima Comunione alla morte.

Cesare era così convinto della preziosa opera della guida di don Pino, che ad una domanda su cosa consigliare agli adolescenti per la loro formazione, egli rispose “Credo che per un adolescente siano due le cose necessarie: un sacerdote amico e la preghiera”. Terminata positivamente la Scuola Media nel luglio 1970 a 14 anni, la mamma gli domandò se avesse deciso cosa fare in seguito e lui in piena sintonia con quel cuore che l’aveva educato, rispose: “Lo sai mamma quello che voglio fare”, non c’era bisogno di aggiungere altro, non ne avevano mai parlato, ma tutto era chiaro; in quella famiglia cattolica era toccato il dono di Dio di avere un figlio sacerdote. Cesare entrò nel Seminario Minore di Bra (Cuneo) il 5 ottobre 1970 e contemporaneamente si iscrisse alla prima classe dell’Istituto Magistrale. Dai suoi scritti si apprende che il periodo trascorso a Bra, lasciò in lui un ricordo indimenticabile, soprattutto della vita di preghiera; l’amore alla preghiera che l’aveva caratterizzato da fanciullo e ragazzo, aveva trovato in Seminario, con la sua distribuzione lungo l’arco della giornata, l’espressione più alta e diventava esperienza meravigliosa d’incontro con Colui che l’aveva chiamato.

Nell’estate del 1971, il Seminario Minore venne trasferito da Bra a Torino al Monte dei Cappuccini; lui continuò comunque a frequentare anche le Magistrali prima a Grugliasco dai Fratelli delle Scuole Cristiane e poi alla Scuola di Corso Trapani a Torino. Da studente si faceva notare, sia nel Seminario che nella Scuola Magistrale, per la sua schiettezza, memoria pronta e vivace intelligenza, dotato di un forte carattere, era facile alla discussione ma pronto a ristabilire per primo l’amicizia, volenteroso e positivo nello studio. In parrocchia faceva il lettore, l’organista, preparava i chierichetti, dava ripetizioni ai ragazzi delle medie. Ogni settimana come volontario andava a prestare con amore i più umili servizi agli ammalati del “Cottolengo”; si concedeva con gli amici diverse gite in montagna o culturali in centri d’arte.

Nel luglio del 1974, Cesare Bisognin conseguì il diploma magistrale e dopo tre mesi, il 7 ottobre 1974 entrò nel corso di Teologia presso il Seminario Maggiore di Torino. Ormai giunto alla prima giovinezza, il suo ideale di diventare sacerdote si era rafforzato nell’entusiasmo tipico della gioventù e tutto sembrava più bello e raggiungibile; l’idea del celibato non lo spaventava, come pure era cosciente che la strada da percorrere nella vita, alla conquista di un ideale o di una missione, è essenzialmente in salita e richiede perseveranza e pazienza. Studiava e sognava di portare la Parola di Dio a quanti la Provvidenza avrebbe voluto fargli incontrare; ma l’uomo propone e Dio dispone; è vero la chiamata c’era stata, ma come raggiungere la meta era tutto da scoprire, Gesù non aveva detto solo “Vieni”, ma anche “Seguimi”, ossia “cammina con me”, perché le Sue vie non sono le nostre vie.

Agli inizi di settembre 1974, al termine del soggiorno con la famiglia a Celana, avvertì un dolore lancinante al ginocchio sinistro che cercò di lenire con delle pomate; tornati a Torino riprese gli studi regolarmente. Ma il male non diminuiva, quando si alzava da sedere avvertiva un cedimento poi si riprendeva; in dicembre il ginocchio prese a gonfiarsi e Cesare si recò in ospedale per più approfonditi accertamenti radiografici. Gli venne diagnosticato un osteosarcoma al terzo inferiore del femore sinistro; in altre parole un tumore osseo maligno. Cadde sull’angosciata famiglia una cappa di sconforto, ma soprattutto Cesare che aveva letto per primo la terribile diagnosi e avendola bene interpretata, sentì crollare in un attimo tutti i suoi sogni e si ritrovò sperduto, mentre tutto, casa, amici, programmi, attività, diventavano lontani ed estranei. Ma Cesare era fatto di buona pasta, passato il comprensibile momento di disperazione, seppe vincerla con la luce della sua genuina fede, accettando la croce che gli era stata offerta. Fu lui stesso a comunicarlo al suo amico sacerdote don Pino Cravero, che incredulo prese a dargli conforto e sostegno morale e spirituale; riprese a suonare in chiesa, cercò di sollevare dall’incubo i poveri genitori e il fratello minore, certo che se il Signore l’aveva chiamato al sacerdozio, non l’avrebbe abbandonato ma aiutato.

La diagnosi fu confermata al C.T.O. di Torino durante il suo ricovero, iniziato il 27 dicembre 1974 e da cui fu dimesso il 15 gennaio 1975 come incurabile.

L’anno 1975 lo vide spostarsi da un medico all’altro, da un ospedale all’altro, provando varie cure anche delle più invasive e dolorose. Andò due volte a Lourdes in aprile e in agosto, dal 3 al 24 dicembre si recò a Roma per il Giubileo dell’Anno Santo, ci fu un’alternanza di piccoli miglioramenti e di violente vittorie del male, che inesorabilmente avanzava. Di solito questi mali producono in breve un cedimento dell’organismo, ma per Cesare Bisognin durò 19 mesi, la malattia rimase localizzata prima al femore della gamba sinistra, poi scese alla tibia e dopo si diffuse in tutto il corpo. Ma Cesare pur sofferente non volle mai rinunciare alla sua vocazione sacerdotale, continuò a tenersi in contatto con il Seminario e la Facoltà di Teologia, riuscì a dare anche due esami.

Giovani, ragazzi e sacerdoti, affluirono ogni giorno nella sua stanza a fargli visita, mentre la sua vita spirituale si affinava sempre più nella preghiera e nell’adesione sempre pronta e generosa alla volontà di Dio. Scriveva: “La malattia ti aiuta a maturare, esercitando la pazienza e a saper trattare con gli altri, a donare un sorriso, perché chi ha bisogno sono gli altri che ti stanno attorno”.

Il suo calvario e il suo desiderio di essere sacerdote, erano noti nella Curia torinese e così il 31 marzo 1976, il cardinale arcivescovo Michele Pellegrino, chiese personalmente al papa Paolo VI l’autorizzazione ad ordinarlo sacerdote, ottenendo la dispensa per la sua giovane età di 19 anni. Poi nelle tre settimane di aprile 1976, settimana di Passione, Settimana Santa, ottava di Pasqua, gli eventi si succedettero incalzanti, più densi di dolore e di gioia; il 2 aprile venerdì, il vescovo ausiliare mons. Maritano conferì a Cesare gli Ordini Minori, sabato 3 aprile l’arcivescovo gli conferì il Diaconato e domenica 4 aprile il cardinale Pellegrino lo ordinò sacerdote. La cerimonia si svolse in casa sul letto del giovane ammalato, fra la comprensibile emozione dei familiari e dei tanti amici assiepati anche lungo le scale, mentre nella vicina chiesa parrocchiale altre duemila persone seguivano raccolte e in preghiera la straordinaria celebrazione. Don Cesare Bisognin aveva detto: "Se così vuole il Signore, morirò da sacerdote: porterò sull’altare le mie sofferenze e le unirò a quelle di Gesù sulla Croce".

Amorevolmente assistito dal suo amico don Pino, poté nei giorni seguenti celebrare diciassette Messe, dodici a casa e cinque all’ospedale dove fu ricoverato di nuovo negli ultimi giorni. La sera del 6 aprile sentendosi indebolire sempre più, chiese al suo confessore il Sacramento dell’Unzione degli Infermi; la sua stanza divenne la meta di una continua processione di fedeli che venivano a baciargli le mani consacrate; arrivò una marea di lettere, che dopo l’intervista televisiva trasmessa la sera di venerdì 9 aprile nella rubrica “Stasera G 7”, vista da milioni di persone, che poterono così conoscere e ascoltare il giovanissimo sacerdote morente; all’indomani migliaia di lettere furono scritte da tutta Italia a testimonianza della fede suscitata in tanti cuori.

Sentendosi avvicinare alla fine don Cesare chiese a don Pino e ai familiari di riportarlo a casa dall’ospedale; fu accontentato lunedì 26 aprile; a casa fu un susseguirsi di saluti e raccomandazioni per tutti i presenti e di amorevoli espressioni per la sua dolente mamma, perché rimase lucido fino alla fine. Serenamente come se fosse addormentato, morì alle 1,40 del mercoledì 28 aprile 1976; i funerali si svolsero il 30 aprile con la partecipazione di oltre cinquemila persone in maggioranza giovani, alla presenza del cardinale Michele Pellegrino. Aveva detto al suo direttore spirituale: “È un grande dono il sacerdozio! Dillo ai giovani, che vale la pena di buttarsi per questa strada”.
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