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Giovedi, 25 aprile 2024 - Misteri luminosi - San Marco ( Letture di oggi )

Madre Teresa di Calcutta:Il risultato ricco di frutti sia dal punto di vista con­templativo che apostolico del nostro stile di vita dipende dall'essere radicati in Gesù Cristo, Nostro Si­gnore, mediante una scelta deliberata di mezzi piccoli e semplici, utili all'adempimento della nostra missio­ne e mediante la fedeltà a piccole cose, fatte con gran­de amore tra coloro che sono spiritualmente i più po­veri, identificandoci con essi, condividendo la loro po­vertà e le loro insicurezze sino a sentirne male.
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Madre Teresa di Calcutta



Madre Teresa

Madre Teresa di Calcutta - parte 2

Durante i suoi primi anni in India, suor Maria Te­resa del Bambin Gesù dovette imparare una terza lingua - il bengalese - per poter lavorare in mezzo alle ragazze bengalesi nella scuola superiore Santa Maria, situata nello stesso recinto della scuola Loreto.

Per distinguerla da una suora irlandese che aveva lo stesso nome, si prese l'abitudine di chiamarla «Teresa bengalese». Nel 1939, due anni dopo la professione perpetua di Teresa nella congregazione Loreto, scoppiò la secon­da guerra mondiale. I conventi di Calcutta furono costretti a evacuare i loro studenti. I più lo fecero, ma per molte ragazze non rimase altra scelta che re­stare in città. La «Teresa bengalese» restò con loro per aiutarle a proseguire la loro formazione. Alcune di quelle ragazze presero l'abitudine di accompa­gnarla nelle sue visite regolari ai bustees o quartieri poveri della città. Esse sarebbero diventate in segui­to le prime Missionarie della Carità.

Negli anni '40, lo stato di salute di Madre Teresa si aggravò in modo preoccupante. Temendo che si trattasse di tubercolosi, la superiora delle Suore Lo­reto ordinò a Teresa di andare a riposarsi nella casa di montagna di Darjeeling. A un certo punto, duran­te quel viaggio, suor Teresa del Bambin Gesù rice­vette la sua misteriosa «chiamata dentro la chiamata», il cui anniversario viene celebrato ancor oggi dalle sue consorelle e dai suoi collaboratori. Ar­rivando a Darjeeling Teresa ebbe l'assoluta certezza di dover lasciare la sicurezza del convento, andare a vivere nei quartieri poveri della città, povera in mezzo ai poveri, e servire coloro con cui il Cristo nel Vangelo di Matteo (25,35-36) si era identificato in un modo così speciale. E questo nonostante, con la sua fragile salute, sembrasse del tutto inadatta per una missione del genere.

La sola persona con cui Teresa parlò di questa «chiamata nella chiamata» fu il suo direttore spiri­tuale, il gesuita padre Celeste van Exem, il quale le chiese di pazientare, che a tempo debito lui avrebbe presentato la richiesta all'arcivescovo di Calcutta. Le suggerì anche di non parlarne con la sua superiora della congregazione Loreto, tanto più che era lui stesso molto perplesso circa l'opportunità della pre­senza di una suora nei quartieri poveri.

In quei giorni, l'arcivescovo di Calcutta cadde grave­mente ammalato. Impaziente di cominciare la sua nuova vita, suor Teresa gli fece pervenire un messag­gio assicurandolo delle sue preghiere. Se fosse guari­to, avrebbe visto in questo un segno che la sua chiamata veniva realmente da Dio e le avrebbe per­messo di iniziare la sua nuova vita? L'arcivescovo guarì, ma continuò a rinviare la concessione del per­messo, finché un giorno permise a suor Teresa di scrivere alla Madre generale della congregazione Lo­reto e di chiedere un indulto di secolarizzazione che, se concesso, l'avrebbe ridotta allo stato laicale e quindi autorizzata a lasciare il convento.

Pur desiderando lasciare il convento, ma restando religiosa, suor Teresa fece quanto le aveva suggerito l'arcivescovo.

A questo punto, ella stessa parla di un intervento della divina Provvidenza. Sia la Madre generale che Roma ignorarono la sua richiesta di un indulto di se­colarizzazione e le concessero quello che veramente desiderava e cioè un indulto di exclaustrazione, che le permetteva di lasciare il convento e di continuare a essere religiosa.

Il 16 agosto 1948, all'età di trentotto anni, suor Te­resa del Bambin Gesù lasciò il suo convento con un san di ricambio, cinque rupie e un biglietto ferrovia­rio per Patna, dove avrebbe seguito un breve corso di infermieristica presso le suore della missione me­dica prima di iniziare il suo lavoro nei quartieri po­veri.

Ritornando a Calcutta, Madre Teresa dovette anzi­tutto procurarsi un alloggio. Dopo molte ricerche, poté disporre di una stanza al piano superiore di una casa di proprietà dei quattro fratelli Gomez, mu­sulmani, situata in Creek Lane 14, da dove ella par­tiva ogni giorno per recarsi ad insegnare nella sua «scuola», uno spiazzo all'aria aperta fra le barac­che. Lì tracciava nel fango le lettere dell'alfabeto da­vanti a un numero crescente di ragazzi.

I primi giorni furono difficili sia spiritualmente che fisicamente. Madre Teresa sentì la mancanza di quel­la vita comunitaria che aveva condotto fino a quel momento. Era sola e spesso soffriva letteralmente la fame. Allora lasciava un bigliettino a pian terreno della casa dei Gomez: «Signor Gomez, non ho nulla da mangiare. Per favore, mi dia qualcosa da mangia­re». La famiglia Gomez non si sottrasse mai a questi appelli.

Nel marzo del 1949, bussò alla porta di Creek Lane la prima delle ex allieve di Madre Teresa, la futura suor Agnese, che avrebbe aperto un continuo flusso di aspiranti suore. Dieci anni dopo, si resero assolu­tamente necessari locali più spaziosi. Un musulma­no, che lasciava definitivamente Calcutta per far ritorno in Pakistan, cedette alle suore la sua casa per un prezzo inferiore al prezzo del terreno sul qua­le era costruita.

Cedendo quella che è ancor oggi la Casa Madre della congregazione delle Missionarie della Carità, escla­mò: «Ho ricevuto questa casa da Dio; a Dio la resti­tuisco».

Tutto venne in risposta alla preghiera. Si racconta che a volte le Sorelle non avevano nulla per la cena e che inaspettatamente arrivava uno sconosciuto con sporte piene di riso. In ogni caso si riuscì sempre a rispondere alle necessità dei poveri. Anzi sem­bra che Madre Teresa non dovesse fare altro che get­tare una medaglia della Vergine Maria oltre il muro di cinta di una proprietà sulla quale aveva fatto un pensiero perché quella proprietà si rendesse subito disponibile per quel lavoro che ella presentava sem­pre non come suo, ma come lavoro di Dio.

Oggi, quella per cui le Missionarie della Carità sono più conosciute è forse la loro attività in mezzo ai mo­renti. Madre Teresa chiese alle autorità municipali una «casa» da adibire a questo scopo. Ottenne una costruzione annessa al tempio indù della dea Kali, che serviva come dormitorio per i pellegrini. Quella costruzione venne battezzata «Nirmal Hriday» o «Luogo del Cuore immacolato», e fu ben presto co­nosciuta in tutto il mondo come «La casa dei mori­bondi».

Fonte: http://www.preghiereagesuemaria.it