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Giovedi, 25 aprile 2024 - Misteri luminosi - San Marco ( Letture di oggi )

Santa Teresina di Lisieux:Da quando è stato concesso anche a me di comprendere- l'amore del Cuore di Gesù, confesso che l'amore ha cacciato dal mio cuore ogni timore. Il ricordo delle mie colpe mi umilia, mi porta a non appoggiarmi più sulla mia forza che è solo debolezza. Ma più ancora questo ricordo mi parla di misericordia e d'amore. Quando si gettano le proprie colpe, con fiducia tutta filiale, nel braciere divorante dell'amore, come potrebbero non essere consumate per sempre?
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Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux



Liseux

6. RICORSO AL SOMMO PONTEFICE LEONE XIII (1887) - Parte 1

156 - Tre giorni dopo il viaggio di Bayeux, dovetti farne uno molto più lungo, quello alla Città Eterna! Ah, che viag­gio! Mi ha istruita di più da solo, che non i lunghi anni di stu­dio; mi ha mostrato come sia vano tutto ciò che passa, e come tutto sia afflizione di spirito sotto il sole! Eppure, ho visto del­le cose bellissime, ho contemplato le meraviglie dell'arte e del­la religione, soprattutto ho camminato sulla terra stessa dei santi Apostoli, la terra pervasa dal sangue dei martiri, e l'anima mia si è dilatata a contatto con le cose sacre... Sono felice d'essere stata a Roma, ma capisco le persone di mondo le quali pensarono che Papà mi facesse fare questo grande viaggio per cambiare le mie idee di vita religiosa; c'era, in realtà, di che scuotere una vocazione poco solida. Non avendo mai vissuto in mezzo a gente di gran mondo, Celina ed io ci tro­vammo in mezzo all'aristocrazia che componeva quasi da sola tutto lo stuolo dei pellegrini. Ben lungi dall'abbagliarci, tutti quei titoli e quei «de» ci parvero fumo e soltanto fumo. Da lon­tano mi avevano gettato, qualche volta, un po' di polvere negli occhi, ma da vicino vidi che «tutto ciò che brilla non è oro», e ho capito la parola della Imitazione: «Non correte dietro a quell'ombra che si chiama un gran nome, non desiderate legami numerosi, e nemmeno la particolare amicizia di alcuno». Capii che la grandezza vera si trova nell'anima e non nel nome, poiché, come dice Isaia: «il Signore darà un altro nome ai suoi eletti», ed anche san Giovanni dice che «il vincitore riceverà una pietra bianca sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve». Li sapremo dunque in Cielo, i nostri titoli di nobiltà. Allora ognuno rice­verà la lode che merita, e colui che avrà voluto essere il più povero in terra, il più dimenticato per amor di Gesù, proprio lui sarà il primo, più nobile e più ricco di tutti gli altri.

157 - Un’altra esperienza che feci riguarda i sacerdoti. Non avendo vissuto nella loro intimità, non potevo capire lo scopo principale della riforma del Carmelo. Pregare per i peccatori mi rapiva, ma pregare per le anime dei preti che io credevo pure più del cristallo, mi pareva sorprendente! Ah! ho capito la mia vocazione in Italia e non è stato andar troppo lontano per una conoscenza tanto utile! Per un mese ho vissuto con molti santi sacerdoti e ho visto che, se la loro dignità sublime li innalza al di sopra degli angeli, essi sono tuttavia uomini deboli e fragili Se dei santi preti che Gesù chiama nel Vangelo «il sale della terra» mostrano nella loro condotta che hanno un grande bisogno di preghiere, che dobbiamo dire dei tiepidi? Gesù non ha detto anche: «se il sale diviene scipito, con che cosa lo rafforzeremo?». Oh, Madre! Com è bella la vocazione che ha per scopo di conservare il sale destinato alle anime! È la vocazione del Carmelo, poiché il fine unico delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici è d'essere apostoli degli apostoli, pregando per essi mentre evangelizzano le anime con le parole e soprattutto con gli esempi... Bisogna che mi fermi, se continuassi su que­sto argomento non finirei più!

158 - Madre mia, le racconterò il mio viaggio con vari particolari: le chiedo scusa se ne dirò troppi, non rifletto prima di scrivere, e lo faccio in tante volte diverse, a causa del mio poco tempo libero, che il mio racconto le parrà forse noioso. Mi consola pensare che in Cielo le riparlerò delle grazie che ho ricevute, e che potrò farlo, allora, in termini gradevoli e attraenti... Più niente interromperà i nostri intimi sfoghi e con uno sguardo solo lei avrà capito tutto. Ahimè! poiché debbo usare ancora il linguaggio della terra triste, cercherò di farlo con la semplicità di una bambina piccola, la quale conosce l'amore della mamma! Sette novembre: i pellegrini partirono da Parigi, ma Papà ci aveva condotte li qualche giorno prima per farci visi­tare la città. Una mattina alle tre attraversai Lisieux ancora addormentata; molte impressioni mi passarono nell'anima. Andavo verso l'ignoto e grandi cose mi attendevano là... Papà era gaio; quando il treno si mise in moto, egli cantò un vecchio ritornello: «Roule, roule, ma diligence, nous voili sur le grand chemin». Arrivati a Parigi nella mattinata, cominciammo subi­to a visitarla. ll Babbo nostro caro si stancò per farci piacere, e così in quattro e quattr'otto avemmo visto tutte le meraviglie della capitale. Per me ne trovai una sola che mi rapisse, e fu «Nostra Signora delle Vittorie». Ah, quello che ho provato ai piedi di lei, non lo saprei dire... Le grazie che mi concedette mi commossero tanto profondamente che soltanto le lacrime espressero la mia felicità, come nel giorno della prima Comu­nione... La Santa Vergine mi fece sentire che era stata proprio lei a sorridermi e guarirmi. Ho capito che vegliava su me, che ero sua figlia, e così potevo chiamarla soltanto «Mamma», per­ché questo nome mi pareva ancor più tenero che quello di «Madre». Con quanto fervore l'ho pregata di custodirmi sem­pre e di attuare presto il mio sogno nascondendomi all'ombra del suo manto verginale! Era questo uno dei primi desideri di bambina. Crescendo, avevo capito che nel Carmelo avrei potu­to trovare davvero il mantello della Santa Vergine, e verso quella montagna fertile tendevano tutti i miei desideri. Supplicai ancora Nostra Signora delle Vittorie di allonta­nare da me tutto ciò che avrebbe potuto offuscare la mia purezza; non ignoravo che in un viaggio come quello d'Italia ci sarebbero state molte cose atte a turbarmi; soprattutto perché non conoscevo il male temevo di scoprirlo, non avendo ancora sperimentato che «tutto è puro per i puri», e che l'anima sem­plice e dritta non vede male in nulla, poiché in realtà il male esiste soltanto nei cuori impuri e non negli oggetti insensibili. Pregai anche san Giuseppe affinché vegliasse su me; fin da quando ero bimba avevo avuto per lui una devozione che si confondeva col mio amore per la Madonna. Ogni giorno dice­vo la preghiera: «O san Giuseppe, padre e protettore dei ver­gini»; così intrapresi senza timore il mio viaggio lontano, ero protetta così bene che mi pareva impossibile aver paura.

159 - Dopo esserci consacrate al Sacro Cuore nella basilica di Montmartre, partimmo da Parigi il lunedi 7 di mattina li, ben presto avevamo fatto conoscenza con le persone del pelle­grinaggio. Io così timida che generalmente osavo appena parla­re, mi trovai completamente svincolata da quel difetto imba­razzante; con mia grande sorpresa parlavo liberamente con tutte le grandi signore, i sacerdoti e perfino con Monsignor Vescovo di Coutances. Mi pareva di aver vissuto sempre in quell'ambiente. Eravamo, credo, benvolute da tutti, e Papà sembrava orgoglioso delle sue due figlie; ma se lui era fiero di noi, noi lo eravamo egualmente di lui, perché non c'era in tut­to il pellegrinaggio un signore più bello né più distinto del mio caro Re; a lui piaceva vedersi vicine Celina e me: spesso quan­do non eravamo in carrozza, e che io mi allontanavo da lui, mi chiamava perché io gli dessi il braccio come a Lisieux... Mons. Révérony teneva d'occhio accuratamente tutti i nostri atti, vedevo spesso che ci guardava da lontano; a tavola, quando non ero di faccia a lui, trovava modo di chinarsi per vedermi e ascoltare ciò che dicevo. Senza dubbio voleva conoscermi per sapere se veramente ero capace di essere carmelitana: penso che sia rimasto soddisfatto del suo esame, perché alla fine del viaggio parve molto ben disposto verso me, ma a Roma non mi fu affatto favorevole, come dirò fra breve.

160 - Prima di arrivare alla «Città Eterna», meta del nostro pellegrinaggio, ci fu concesso di contemplare grandi meraviglie. Dapprima la Svizzera, con le sue vette che si perdono tra le nubi, con le cascate gentili zampillanti in mille modi diversi, le valli profonde colme di felci giganti e di eriche rosa. Ah, Madre mia cara, queste bellezze della natura profuse così largamente, hanno fatto tanto bene all'anima mia! Come l'hanno innalzata verso Colui che si è compiaciuto di gettare tanti capolavori sopra una terra d'esilio destinata a durare un giorno solo! Non avevo occhi bastanti per guardare. In piedi, allo sportello, rima­nevo quasi senza respiro; avrei voluto essere ai due lati del vago­ne perché, voltandomi, vedevo paesaggi incantevoli e affatto diversi da quelli che si stendevano dinanzi a me. Talvolta ci trovavamo in vetta a una montagna, ai nostri piedi si aprivano precipizi dei quali lo sguardo non toccava il fondo: parevano pronti a inghiottirci; in alto un villaggio incan­tevole con le sue casupole montanine e il campanile sul quale ondulavano mollemente pochi cirri bianco-lucenti. Lontano, un lago vasto, dorato dagli ultimi raggi; le acque pure e quiete si coloravano di azzurro e dei fuochi del tramonto, e presentavano ai nostri sguardi attoniti lo spettacolo più poetico e più affasci­nante che si possa vedere. In fondo all'orizzonte vasto si scorge­vano le montagne, le cui linee incerte sarebbero sfuggite ai nostri occhi se le cime nevose orlate di luce non avessero aggiunto un fascino di più al bel lago che ci rapiva...

161 - Guardando tutte queste bellezze, mi nascevano nell'anima pensieri profondi. Mi pareva di capire già la gran­dezza di Dio e le meraviglie del Cielo. La vita religiosa mi appariva tal quale è con i suoi obblighi e i suoi sacrifici minuti consumati nell'ombra. Capivo quanto fosse facile ripiegarsi sopra se stessi, dimenticare il fine sublime della propria voca­zione, e mi dicevo: più tardi, nell'ora della prova, quando, pri­gioniera nel Carmelo, non potrò contemplare altro che un angolo di stelle, ricorderò ciò che vedo oggi: questo pensiero mi darà coraggio, dimenticherò facilmente i poveri miei inte­ressi vedendo la grandezza e la potenza del Dio che intendo amare unicamente. Non avrò la disgrazia di attaccarmi a delle pagliuzze, dopo che «il mio cuore ha presentito ciò che Gesù riserva a coloro che l'amano!».

162 - Dopo avere ammirato la potenza di Dio, potei anche ammirare quella che ha concessa alle creature. La prima città d'Italia che visitammo fu Milano. Visitammo fino nei minimi particolari il Duomo tutto di marmo bianco, col suo popolo di statue quasi innumerevoli. Celina ed io eravamo intrepide, le prime sempre, e immediatamente al seguito di Monsignor Vescovo, per vedere tutto in fatto di reliquie, e udir bene le spiegazioni: così, mentre egli offriva il Santo Sacrificio sulla tomba di san Carlo, noi con Papà eravamo die­tro l'altare, appoggiavamo la testa all'urna che racchiude il corpo del Santo rivestito degli abiti pontificali. Così accadeva dappertutto (eccezion fatta, s'intende, per i luoghi ove la dignità del Vescovo non permetteva a lui di arrampicarsi, per­ché allora sapevamo staccarci subito da «Sa Grandeur»). Lasciando le signore timide a coprirsi volto ed occhi dopo aver scalato le prime torrette campanarie che fanno corona alla cat­tedrale, seguimmo i pellegrini più arditi ed arrivammo fino alla punta dell'ultimo campanile di marmo, dal quale avemmo il piacere di vedere ai nostri piedi la città di Milano: la gente lag­giù somigliava a un minuscolo formicaio. Discese dal nostro piedistallo, cominciammo le passeggiate in carrozza che dove­vano durare un mese e saziarmi per sempre del mio desiderio di correre senza fatica!

163 - Il camposanto ci rapì ancor più che la cattedrale, tut­te le statue di marmo bianco alle quali un cesello del genio sem­bra aver dato vita, sono sparse sulla terra ampia dei morti con una certa negligenza, ciò che, secondo me, aumenta il loro fasci­no. Si è tentati di consolare i personaggi ideali i quali ci stanno intorno. La loro espressione è così vera, il loro dolore così calmo e rassegnato, che non si può fare a meno di riconoscere i pensie­ri immortali dai quali erano mossi i cuori degli artisti quando eseguirono questi capolavori. Qui una bambina getta fiori sulla tomba dei genitori, par che il marmo abbia perduto qualsiasi peso, e i petali lievi scivolano tra le dita infantili, già il vento li disperde, e muove anche il velo sottile delle vedove, e i nastri che ornano i capelli delle fanciulle. Papà era rapito quanto noi; in Svizzera si era sentito stanco, ma ora, ridivenuto gaio, godeva la visione bella che ci era concesso contemplare; la sua anima di artista si rivelava nelle espressioni di fede e di ammirazione che passavano sul suo bel volto.

164 - Un vecchio signore (francese), il quale senza dub­bio non aveva animo altrettanto poetico, ci guardava un po' di sbieco e diceva con un certo cattivo umore, quasi gli dispiaces­se di non poter partecipare alla nostra ammirazione: «Ah, come sono entusiasti i francesi!». Credo che quel povero signo­re avrebbe fatto meglio se fosse rimasto a casa sua, perché non pareva soddisfatto del viaggio, spesso era vicino a noi, e si lamentava, era scontento delle vetture, degli alberghi, delle persone, delle città, insomma, di tutto. Papà con la sua solita grandezza d'animo cercava di consolarlo, gli offriva il suo posto, ecc., lui si trovava bene sempre e dovunque, poiché era di un carattere nettamente opposto a quello del suo scomodo vicino. Ah, quante ne abbiamo viste di genti varie, gli uni diversi dagli altri, e quale campo di studio interessante il mon­do, quando si è prossimi a lasciarlo!