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Giovedi, 28 marzo 2024 - Misteri luminosi - San Castore di Tarso ( Letture di oggi )

San Giovanni Bosco:Scacciate dal vostro cuore il peccato e le affezioni al peccato e allora possederete abbastanza di scienza per salvarvi l’anima.
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Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux



Liseux

5. ADOLESCENZA APERTA (1886-1887) - Parte 3

148 - Prima di lasciare il mondo, il buon Dio mi dette la consolazione di contemplare da vicino delle anime di bimbi; essendo la più piccola in famiglia, non avevo mai avuto questa gioia, ed ecco le tristi circostanze che me la procurarono: una povera donna, parente della nostra cameriera, morì nel fiore dell'età lasciando tre figli piccolissimi; durante la malattia di lei prendemmo a casa nostra le due piccine - la maggiore non aveva sei anni! -; io me ne occupai per tutta la giornata, ed era un gran piacere per me vedere come esse credessero tutto quello che dicevo io. Bisogna pure che il santo Battesimo depon­ga nelle anime un germe ben profondo delle virtù teologali, poiché si rivelano fin dall'infanzia, e poiché la speranza dei beni futuri basta per fare accettare dei sacrifici. Quando vole­vo vedere le mie due bimbette molto concilianti una verso l'altra, invece di promettere giocattoli e dolci a quella che avrebbe ceduto di fronte alla sorella, parlavo loro delle ricom­pense eterne che Gesù Bambino avrebbe dato, nel Cielo, ai bambini buoni; la maggiore, il cui intelletto cominciava a svi­lupparsi, mi guardava con occhi brillanti di gioia, mi faceva mille domande deliziose su Gesù Bambino e il suo Cielo bello, e mi prometteva con entusiasmo di cedere sempre a sua sorel­la; diceva che mai in vita sua avrebbe dimenticato ciò che le aveva detto la «signorina grande», mi chiamava così. Vedendo da vicino quelle anime innocenti, ho capito quale sventura sia di non formarle bene fin dal loro risveglio, allorché somigliano a una cera molle sulla quale si può imprimere la virtù, ma anche il male... ho capito ciò che Gesù ha detto nel Vangelo: «Che sarebbe meglio essere buttati in mare piuttosto che scan­dalizzare uno solo di quei bimbi». Ah! quante anime arrive­rebbero alla santità se fossero ben dirette!

149 - Lo so bene, il Signore non ha bisogno di nessuno per far l'opera sua, ma come permette a un giardiniere abile di coltivare piante rare e delicate, e gli dà le cognizioni necessarie per far ciò, riservando a sé la cura di fecondarle, così Gesù vuole essere aiutato nella sua divina cultura delle anime. Che cosa accadrebbe se un giardiniere maldestro non innestasse bene i suoi arbusti? Se non sapesse riconoscere la natura di ciascuno e volesse far sbocciare delle rose sopra un pesco? Farebbe morir l'albero che tuttavia era buono e atto a produrre frutti. Così bisogna sapere riconoscere fin dall'infanzia ciò che il buon Dio chiede alle anime, e assecondare l'azione della sua grazia, senza mai precorrerla né rallentarla. Come gli uccellini imparano a cantare ascoltando i loro genitori, così i figli imparano la scienza della virtù, il canto sublime dell'amor divino, dalle anime che dovranno formarli alla vita. Ricordo che tra i miei uccellini c era un canarino che cantava a meraviglia e avevo anche un piccolo fanello al quale prodigavo le mie cure materne, poiché l'avevo adottato prima che avesse potuto godere della libertà. Questo povero prigio­niero piccino piccino non aveva genitori che gli insegnassero a cantare, ma, ascoltando da mattina a sera il suo compagno canarino che gorgheggiava gioiosamente, volle imitarlo. Era un'impresa difficile per un fanello, e così la sua voce dolce ebbe un bel daffare per accordarsi con la voce vibrante del musico maestro. Era incantevole assistere ai tentativi del pic­colino, eppure da ultimo ebbero un buon successo, perché il canto suo, pur conservando una ben maggiore dolcezza, fu assolutamente lo stesso di quello del canarmo. Oh, Madre mia cara! E lei che mi ha insegnato a canta­re... è la voce sua che mi ha affascinata fin dall'infanzia ed ora ho la consolazione di sentir dire che le somiglio! So quanto ne sono ancora lontana, ma spero, nonostante la mia debolezza, ripetere eternamente lo stesso cantico suo.

150 - Prima che entrassi al Carmelo, ebbi ancora varte esperienze riguardo alla vita e alle miserie del mondo, ma questi particolari mi trascinerebbero troppo lontana; riprenderò il rac­conto della mia vocazione. Il 31 ottobre fu il giorno fissato per il mio viaggio a Bayeux. Partii sola con Papà, pieno il cuore di speranza, ma anche di emozione per la prospettiva di presentar­mi al vescovado. Per la prima volta in vita mia avevo da fare una visita senza essere accompagnata dalle mie sorelle, e si trattava della visita a un Vescovo. Io, che non provavo mai il bisogno di parlare se non per rispondere alle domande rivoltemi, dovevo spiegare io stessa lo scopo della mia visita, chiarire le ragioni che mi facevano chiedere l'ingresso nel Carmelo; insomma, dovevo dimostrare la solidità della mia vocazione. Quanto mi costò fare quel viaggio! Bisognò che il buon Dio mi concedesse una grazia ben particolare perché io potessi superare la mia grande timi­dezza. È vero altresì che «mai l’Amore trova impossibile, perché si crede tutto possibile e tutto permesso». Era davvero il solo amore di Gesù che poteva farmi vincere quelle difficoltà e quel­le che seguirono, perché egli si compiacque di farmi pagare la vocazione a prezzo di grandi prove. Oggi che godo la solitudine del Carmelo («riposandomt all’ombra di Colui che ho desiderato con tanto ardore»), mi pare di aver conseguito la mia felicità a prezzo lievissimo, e sarei pronta a sopportare sofferenze molto più gravi per con­quiderla, se non la possedessi ancora!

151 - Pioveva a torrenti quando arrivammo a Bayeux; Papà non voleva veder la sua reginetta entrare nel vescovado con la sua bella toilette tutta intrisa, e perciò la fece salire sopra un omnibus, fino alla cattedrale. Là cominciarono i guai: Monsignore e tutto il clero assistevano a un funerale solenne. La chiesa era piena di signore in lutto e tutti guardavano me, il mio vestito chiaro e il cappello bianco; avrei voluto uscir dalla chiesa, ma non c'era da pensarci a causa della pioggia, e per umiliarmi ancor più il buon Dio permise che Papà, nella sua semplicità patriarcale, mi facesse arrivare fino in cima alla cat­tedrale; non volendo fargli dispiacere, mi risolsi a farlo con buon garbo e procurai quella distrazione ai bravi abitanti di Bayeux che avrei desiderato non aver mai incontrati... Potei finalmente respirare a modo mio in una cappella dietro all'altar maggiore, e mi ci trattenni lungo tempo, pregando con fervo­re, mentre aspettavamo che spiovesse, e ci fosse possibile usci­re. Attraversando di nuovo la chiesa, Papà mi fece ammirare la bellezza dell'architettura, lo spazio pareva più ampio ora che era vuoto, ma quanto a me, un pensiero unico mi dominava, e io non potevo prender gusto a nulla. Andammo direttamente da Mons. Révérony, il quale era edotto del nostro arrivo, poiché aveva fissato egli stesso il giorno del viaggio; ma non c'era. Fummo costretti, perciò, a vagare per le strade, che mi parvero ben tristi; finalmente ritornammo verso la curia, e Papà mi fece entrare in un bell'albergo ove non feci onore al bravo cuoco. Povero caro Babbo mio, aveva per me una tene­rezza quasi incredibile, mi diceva di non affliggermi, ché certamente Monsignore avrebbe acconsentito.

152 - Ci riposammo, poi tornammo da Mons. Révérony; nello stesso tempo arrivò un signore, ma il vicario generale gli chiese gentilmente di volere attendere, e ci fece entrare per primi nel suo studio (quel povero signore ebbe il tempo di annoiarsi, perché la visita fu lunga). Mons. Révérony si mostrò molto amabile, ma credo che il motivo del nostro viaggio lo meravigliò assai; dopo avermi guardata sorridendo, e avermi fatto qualche domanda, ci disse: «Vi presenterò a Monsignor Vescovo, vogliate seguirmi». Vedendo che avevo le lacrime agli occhi, mi disse: «Ah!... vedo dei diamanti... non bisogna mostrarli a Monsignor Vescovo!». Ci fece attraversare varie stanze ampie, ornate da ritratti di vescovi; vedendomi in quei saloni, mi facevo l'effetto di una formica piccina piccina, e mi domandavo cosa avrei saputo dire a Monsignor Vescovo; egli passeggiava in mezzo a due sacerdoti in una galleria, vidi Mons. Révérony che gli diceva qualche parola, poi tornarono verso noi. Noi attendevamo nello studio; tre poltrone enormi erano collocate davanti al camino, e il fuoco era vivace ed alto. Vedemmo entrare Sua Eccellenza, Papà si inginocchiò accanto a me per ricevere la benedizione, poi Monsignor Vescovo fece accomodare Papà in una poltrona, si mise egli stesso di faccia a lui, e Mons. Révérony volle farmi occupare la poltrona in mezzo; rifiutai gentilmente, ma insistette, dicendomi di far vede­re se sapevo obbedire; mi sedetti subito senza altre riflessioni ed ebbi la confusione di vedere che lui prendeva una sedia, mentre io mi trovavo sprofondata in un seggio nel quale sareb­bero state comodamente ben quattro come me (più comode di me, perché io ero ben lungi dal sentirmi tale!). Speravo che Papà cominciasse a parlare, ma invece mi disse di spiegare io stessa a Monsignore lo scopo della nostra visita; lo feci con tut­ta la possibile eloquenza, ma “a Grandeur”, abituato all'eloquen­za non parve gran che commosso dai miei ragionamenti; in sostituzione di questi, una parola sola del reverendo superiore mi avrebbe giovato di più; sventuratamente non ne potevo produrre, ed anzi l'opposizione di lui non patrocinava certo la mia causa.

153 - Monsignor Vescovo mi domandò se da lungo tem­po aspiravo al Carmelo. «Oh, si, Eccellenza, da ben lungo tem­po». - «Vediamo - rispose ridendo Mons. Révérony - non potrà dirci che ha questo desiderio da quindici anni». - «E vero - risposi sorridendo anch'io - ma non ci sono molti anni da defalcare, perché ho desiderato farmi religiosa fin dal risve­glio del mio intelletto, e ho desiderato il Carmelo, appena l'ho conosciuto bene, perché trovavo che, in quell'Ordine, sareb­bero appagate tutte le aspirazioni dell'anima mia». Non so, Madre mia, se dissi proprio così, credo di essermi spiegata anche peggio, ma insomma il senso era questo. Monsignor Vescovo, credendo di far piacere a Papà, cercò di farmi trattenere ancora qualche anno presso di lui, e rimase non poco stupito ed edificato vedendo che Papà stesso abbrac­ciava la mia causa e intercedeva affinché ottenessi il permesso di volar via a quindici anni. Tuttavia, tutto fu vano; il Vescovo disse che, prima di decidere, gli era necessario un colloquio col Superiore del Carmelo. Io non potevo ascoltare parola più penosa, perché conoscevo l'opposizione netta di Nostro Padre, perciò, senza tener conto della raccomandazione di Mons. Révérony, feci ben più che mostrare i miei diamanti a Monsi­gnor Vescovo, gliene detti e quanti! Vidi che era commosso: mi fece appoggiare la testa sulla sua spalla e mi confortò con tanta bontà come - pare - non aveva fatto mai con nessun altro. Mi disse che tutto non era perduto, che egli era ben con­tento del mio viaggio a Roma: avrei potuto assodare la mia vocazione, e intanto dovevo rallegrarmi invece di piangere; aggiunse che la settimana seguente egli stesso, poiché doveva andare a Lisieux, avrebbe parlato col reverendo parroco di San Giacomo, e certamente io avrei ricevuto la sua risposta in Italia. Capii che era inutile insistere, del resto non avevo altro da dire, poiché avevo esaurito tutte le risorse della mia elo­quenza.

154 - Monsignor Vescovo ci riaccompagnò fino al giardi­no, Papà lo divertì molto raccontandogli che mi ero fatta tirar su i capelli per sembrargli più grande di età... (E ciò non andò perduto perché Monsignor Vescovo non parla della sua «figlioletta» senza raccontare la storia dei capelli...). Mons. Révérony ci volle accompagnare fino in fondo al giardino, e disse a Papà che una cosa simile non si era mai vista: «Un padre altrettanto premuroso di dar sua figlia al Signore, quan­to questa fanciulla lo era di offrir se stessa!». Papà gli domandò varie spiegazioni riguardo al pellegri­naggio, tra l'altro in qual modo bisognava vestirsi per compari­re dinanzi al Santo Padre. Lo vedo ancora voltarsi a Mons. Révérony dicendogli: «Sto abbastanza bene così?...». Aveva anche detto a Monsignor Vescovo che, se non mi avesse per­messo di entrare nel Carmelo, io avrei chiesto questa grazia al Sommo Pontefice. Era ben semplice nelle parole e nei modi, il mio caro Re, ma era tanto bello... aveva una distinzione pro­prio naturale che dovette piacere molto a Monsignor Vescovo, avvezzo a vedersi circondato da personaggi i quali conosceva­no tutte le regole in uso nei salotti, ma non il «Re di Francia e di Navarra» in persona, con la sua «reginetta».

155 - Quando mi trovai per la strada, le lacrime ricomin­ciarono, non tanto a causa del dispiacere mio, quanto perché vedevo il mio Babbo carissimo che aveva fatto un viaggio inu­tile. Lui si sarebbe fatta una festa di mandare al Carmelo un telegramma per annunciare la risposta favorevole di Monsi­gnor Vescovo: e ora, invece, era costretto a rincasare senza risposta alcuna... Com'ero addolorata! Mi pareva che l'avveni­re fosse spezzato per sempre; più mi avvicinavo al termine, più vedevo le faccende imbrogliarsi. L’anima era sommersa nell'ama­rezza, ma anche nella pace, perché cercavo soltanto la volontà di Dio. Appena arrivata a Lisieux, andai a cercar conforto al Car­melo, e lo trovai da lei, Madre mia cara. Oh, non dimenticherò mai tutto quello che lei ha sofferto per causa mia. Se non temessi di profanarle, userei le parole che Gesù rivolgeva agli Apostoli, la sera della Passione: «Siete voi che siete stati sem­pre con me in tutte le mie prove...». Le mie dilette sorelle mi offersero delle dolci consolazioni.