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Martedi, 16 aprile 2024 - Misteri dolorosi - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi )

Santo Curato d'Ars (San Giovanni Maria Vianney):La lingua del maldicente è come un verme che punge i frutti buoni.
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Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux



Liseux

4. PROGRESSO NELLO STUDIO E FERVORE RELIGIOSO (1883 - 1886) - Parte 2

105 - I tre mesi di preparazione passarono rapidi, ben presto dovetti entrare in ritiro e per questo diventare colle­giale interna, dormendo all'Abbazia. Non posso dire il ricordo dolce che mi ha lasciato quel ritiro; veramente, se ho molto sofferto in collegio, sono stata largamente compensata dalla felicità ineffabile di quei pochi giorni passati nell'attesa di Gesù. Non credo che si possa gustare quella gioia fuori dalle comunità religiose; essendo poche le bambine, era facile occu­parsi di ciascuna in particolare, e veramente le nostre maestre ci prodigavano in quel momento delle cure materne. Si occu­pavano ancor più di me che delle altre, ogni sera la prima mae­stra veniva, con la sua lucernetta, ad abbracciarmi nel mio let­to, mostrandomi grande affetto. Una sera, commossa per la bontà di lei, le dissi che le avrei confidato un segreto, e tirando fuori misteriosamente il mio libretto prezioso che era sotto il guanciale, glielo mostrai con gli occhi che brillavano di gioia. La mattina, trovavo bello di veder tutte le scolare che si alzava­no appena sveglie, e di fare anch'io come loro, ma non ero abi­tuata a vestirmi e sistemarmi da sola. Maria non era li per far­mi i riccioli, perciò ero costretta a presentare timidamente il mio pettine alla maestra della stanza ove ci si vestiva, che ride­va vedendo una figliolona di undici anni che non sapeva sbro­gliarsi; tuttavia mi pettinava, ma non con la dolcezza di Maria, e io non osavo gridare, ciò che mi accadeva tutti i giorni sotto la mano delicata della mia madrina. Ebbi modo di costatare, durante il ritiro, che ero una bambina carezzata e curata come ce ne sono poche sulla terra, soprattutto fra quelle rimaste pri­ve di mamma! Ogni giorno Maria e Leonia venivano a trovar­mi con Papà, il quale mi colmava di pensierini cari, cosicché non soffersi per la privazione della famiglia, e niente oscurò il cielo bello del mio ritiro.

106 - Ascoltavo con grande attenzione gli insegnamenti che ci dava il reverendo Don Domin, ed anche li riassussievo scrivendoli; riguardo ai miei pensieri non ne volli scrivere alcuno pensando che me li sarei ricordati bene, ciò che fu vero. Era per me gran felicità di andare con le suore a tutte le funzioni; mi facevo notare in mezzo alle compagne per un grande crocifisso che Leonia mi aveva regalato, e che io passavo nella mia cintola come fanno i missionari; quel crocifisso susci­tava ammirazione nelle buone religiose le quali pensavano che io, portandolo, volessi imitare la mia sorella carmelitana. Era ben verso lei che sciamavano i miei pensieri, sapevo che la mia Paolina era in ritiro com'ero io, non già perché Gesù si desse a lei, bensì perché lei si dava a Gesù e perciò questa solitudine passata nell'attesa mi era doppiamente cara.

107 - Ricordo che una mattina mi avevano fatto andare all'infermeria perché tossivo molto (da quando ero stata mala­ta, le mie maestre facevano una grande attenzione a me, per un leggero mal di testa mi mandavano a prendere aria o a riposar­mi nell'infermeria, e lo stesso se mi vedevano più pallida del solito). Vidi entrare la mia Celina cara, aveva ottenuto il per­messo di venire a vedermi nonostante il ritiro, per offrirmi un'immagine che gradli tanto, era «il fiore del divino Prigionie­ro». Come fu dolce per me ricevere questo ricordo dalla mano di Celina! Quanti pensieri d'amore ho avuto per merito di lei!

108 - La vigilia del gran giorno ricevetti l'assoluzione per la seconda volta, la mia confessione generale mi lasciò una grande pace nell'anima, e il buon Dio permise che nessuna nube venisse a turbarla. Nel pomeriggio chiesi perdono a tutta la famiglia che venne a trovarmi, ma riuscii a parlare soltanto con le lacrime, ero troppo commossa... Paolina non c'era, tut­tavia sentivo che era vicina a me col cuore; mi aveva mandato una bella immagine per mezzo di Maria, non mi stancavo d'ammirarla e farla ammirare da tutti. Avevo scritto al buon padre Pichon per raccomandarmi alle sue preghiere, dicendogli anche che ben presto sarei stata carmelitana, e che allora sarebbe stato lui il mio direttore. (E ciò accadde davvero quat­tro anni dopo, poiché gli aprii l'anima quando fui al Carmelo). Maria mi dette una lettera di lui, realmente ero troppo felice! Tutte le gioie mi arrivavano insieme. Più di tutto mi fece piace­re nella lettera di lui questa frase: «Domani salirò all'altare per lei e per la sua Paolina!». Paolina e Teresa furono l'8 maggio più che mai unite, poiché Gesù pareva le confondesse inon­dandole con le sue grazie...

109 - Un «giorno bello tra tutti» arrivò finalmente. Quali ricordi intraducibili mi hanno lasciato nell'anima i particolari minimi di quella giornata di Cielo! il risveglio gioioso dell'auro­ra, i baci rispettosi e teneri delle maestre e delle compagne grandi. La stanza piena di fiocchi di neve di cui ciascuna bimba veniva rivestita a turno. Soprattutto l'entrata nella cappella e il canto mattinale dell'inno tanto bello «O santo Altare che gli Angeli circondano!». Ma non voglio entrare nei particolari, ci sono cose che per­dono il loro profumo appena esposte all'aria, ci sono pensteri dell'anima che non si possono tradurre in linguaggio terreno senza perdere il loro senso intimo e celeste; sono come quella “Pietra bianca che sara data al vincitore, e sulla quale è scritto un nome che nessuno conosce se non colui che la riceve”. Ah, come fu dolce il primo bacio di Gesù all'anima mia! Fu un bacio d'amore, mi sentivo amata, e dicevo anche: «Vi amo, mi do a Voi per sempre». Non ci furono domande, non lotte, non sacrifici; da lungo tempo Gesù e la povera pic­cola Teresa si erano guardati e si erano capiti... Quel giorno non era più uno sguardo, ma una fusione, non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia d'acqua nell'oceano. Gesù restava solo, era il padrone, il re. Teresa gli aveva pur chiesto di toglierle la libertà, perché la libertà le faceva paura, lei si sentiva così debole, così fragile, che voleva unirsi per sempre alla Forza divina! La sua gioia era troppo grande, trop­po profonda perché lei potesse contenerla, lacrime deliziose la inondarono ben presto, con grande stupore delle compagne le quali più tardi dicevano una all'altra: «Perché ha pianto? Ave­va qualche cosa che le dispiaceva?». - «No, era piuttosto per non avere la Mamma con sé, o la sorella che lei ama tanto e che è carmelitana». Non capivano che tutta la gioia del Cielo venendo in un cuore, questo cuore esiliato non poteva soppor­tarla senza spargere lacrime. Oh no, l'assenza di Mamma non mi dava dolore nel giorno della prima Comunione, non c'era forse il Cielo nell'anima mia? E Mamma non aveva lì il suo posto da gran tempo? Non piangevo l'assenza di Paolina: sen­za dubbio sarei stata felice di vedermela accanto, ma da lungo tempo il mio sacrificio era accettato; in quel giorno, soltanto la gioia mi empiva il cuore, io mi univo a colei che si dava irrevo­cabilmente a Gesù: e Gesù si dava a me con tanto amore!

110 - Nel pomeriggio fui io a pronunciare l'atto di consa­crazione alla Madonna; era ben giusto che io parlassi a nome delle mie compagne alla mia Mamma del Cielo, io che ero rimasta priva così giovane della Mamma terrena. Misi tutto il cuore nel parlarle, nel consacrarmi a lei, come una bambina che si getta nelle braccia di sua madre, e le chiede di vegliare su lei. Mi pare che la Vergine Santa dovette guardare il suo fio­rellino e sorridergli, non era lei che l'aveva guarito con un sor­riso visibde? Non aveva proprio lei deposto nel calice dell'umi­le fiore il suo Gesù, il Fiore dei campi, il Giglio della valle?

111 - La sera di quel bel giorno ritrovai la mia famiglia ter­rena; già il mattino, dopo la Messa, avevo abbracciato Papà e tutti i miei cari parenti, ma allora fu il vero riunirsi; Papà pren­dendo la mano della sua piccola regina si avviò verso il Carmelo. Allora vidi la mia Paolina divenuta la sposa di Gesù, la vidi col velo bianco come il mio, con la corona di rose... Ah, la mia gioia fu senza amarezza, speravo di raggiungerla presto e attendere con lei il Cielo! Non fui insensibile alla festa di famiglia che ebbe luogo la sera della mia prima Comunione; l'orologio bello che mi regalò il mio re mi fece gran piacere, ma la gioia era tran­quilla e niente turbò la mia pace intima. Maria mi prese con sé nella notte che segui quel bel giorno, perché i giorni più radiosi sono seguiti da tenebre, soltanto il giorno della prima, unica, eterna Comunione del Cielo sarà senza tramonto!

112 - Il giorno dopo fu bello anch'esso, ma improntato di malinconia. Il vestito che Maria mi aveva comprato, tutti i regali che avevo ricevuti non mi colmavano il cuore, soltanto Gesù poteva contentarmi, sospiravo il momento nel quale avrei potuto riceverlo una seconda volta. Un mese circa dopo la prima Comunione andai a confessarmi per l'Ascensione, e osai chiedere il permesso di fare la santa Comunione. Al diso­pra di tutte le speranze, il sacerdote me la permise ed ebbi la felicità d'inginocchiarmi alla balaustra fra Papà e Maria; che ricordo dolce ho conservato di quella seconda visita di Gesù! Le lacrime mi caddero ancora con indicibile soavità, ripetevo tutto il tempo a me stessa le parole di san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me». Dopo quella Comu­nione, il mio desiderio di ricevere il buon Dio divenne più e più grande, ottenni il permesso per tutte le feste principali. La vigilia di quei giorni felici Maria mi prendeva la sera sulle ginocchia e mi preparava come l'aveva fatto per la prima Comunione; ricordo una volta in cui mi parlò del dolore, dicendomi che forse non avrei camminato su quella via, ma che Dio mi porterebbe sempre come un bambino.

113 - Un giorno dopo, le parole di Maria mi tornarono alla mente, sentii nascere in me un gran desiderio di soffrire, e al tempo stesso l'intima sicurezza che Gesù mi riservava un gran numero di croci; mi sentii inondata di consolazioni così grandi che la considero come una delle grazie maggiori nella mia vita. Soffrire divenne il mio ideale, aveva un fascino che mi rapiva senza che io lo conoscessi bene. Fino allora avevo sofferto sen­za amare la sofferenza, da quel giorno ne provai un vero amo­re. Sentivo anche il desiderio di amare soltanto il buon Dio, di non trovar gioia che in lui. Spesso durante le mie comunioni ripetevo le parole della Imitazione: «O Gesù! Dolcezza ineffa­bile cambiate per me in amarezze tutte le consolazioni della terra!» Questa preghiera usciva dalle mie labbra senza sfor­zo, senza costrizione; mi pareva di ripeterla non per mio vole­re, ma come una bambina la quale ripeta parole suggeritele da una persona amica. Più tardi le dirò, Madre mia cara, in qual modo Gesù si è compiaciuto di attuare il mio desiderio, e come lui solo fu sempre la mia dolcezza ineffabile; se ne parlas­si subito sarei costretta ad anticipare il tempo della mia vita di giovane, mentre ho ancora da darle molti particolari riguardo all'infanzia.