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Giovedi, 28 marzo 2024 - Misteri luminosi - San Castore di Tarso ( Letture di oggi )

Santa Faustina Kowalska:Gesù a S.F.K.: «Mediante quest'immagine elargirò grazie senza numero, ma è necessario che essa serva ugualmente a ricordare le esigenze pratiche della misericordia perché la fede, anche fortissima, a niente giova se è priva delle opere».
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Vita di Santa Margherita Alacoque



Alacoque

Vita di Santa Margherita Alacoque - Parte 6



18. Penitenze corporali
Non sapevo cosa fosse la vita spirituale, perché non ne ero stata istruita e non ne avevo sentito parlare; sapevo solo ciò che il mio divino Maestro m'inse­gnava e mi faceva fare con la sua amorosa violenza. E per punirmi in qualche modo delle ingiurie che gli facevo e per riprendere la somiglianza e la confor­mità con Lui, alleviando il dolore che mi tormenta­va, legavo questo miserabile e criminale corpo con corde annodate e le stringevo così forte, che a mala­pena potevo respirare e mangiare. E tenevo le corde strette così a lungo, che s'immergevano profonda­mente nella mia carne, che vi ricresceva sopra, e riu­scivo a strapparle solo con molta violenza e crudeli dolori; lo stesso facevo con le catenelle che legavo alle braccia e che toglievo portandomi via pezzi di carne. Dormivo sopra un asse o sopra bastoni nodo­si, e poi mi battevo con la disciplina, cercando rime­dio ai conflitti e ai dolori che sentivo dentro me. Tutto quanto potevo soffrire esteriormente, sebbe­ne le umiliazioni e le contraddizioni di cui ho parla­to prima fossero continue e aumentassero invece di diminuire, mi pareva un sollievo in confronto alle pene che soffrivo dentro me e che mi facevo violen­za per sopportare in silenzio e tenere nascoste, come il mio buon Maestro m'insegnava. Nulla traspariva all'esterno, a parte il fatto che mi vedevano impalli­dire e disseccarmi. Il timore che avevo di offendere il mio Dio mi tor­mentava più di tutto il resto, perché i miei peccati mi apparivano continui e così grandi, che mi mera­vigliavo che l'inferno non s'aprisse sotto i miei piedi per inghiottire una tale miserabile peccatrice. Avrei voluto confessarmi tutti i giorni, ma potevo farlo so­lo di rado. Consideravo santi coloro che indugiava-no a lungo in confessione, pensando che non erano come me, che non sapevo accusarmi dei miei pecca­ti. Ciò mi faceva versare molte lacrime.

19. Desiderio della vita religiosa
Dopo aver passato molti anni tra questi dolori, con­flitti e molti altri patimenti, senza altra consolazio­ne che il mio Signore Gesù Cristo, il quale era dive­nuto mio maestro e governatore, il desiderio della vita religiosa si riaccese così ardentemente nel mio cuore, che mi decisi a farmi monaca a ogni costo. Purtroppo ciò fu possibile solo quattro o cinque anni più tardi3 e, durante tutto quel tempo, le mie soffe­renze e i miei conflitti raddoppiarono, mentre io cer­cavo di raddoppiare allo stesso modo le penitenze, quando il mio divino Maestro me lo permetteva. Lui fece cambiare molto il mio comportamento, mo­strandomi la bellezza delle virtù e sopratutto dei tre vo-ti di povertà, castità e obbedienza, dicendomi che, quando li si pratica, si diventa santi, e lo diceva perché io, pregando, gli chiedevo di farmi diventare santa. E poiché la mia unica lettura erano le Vite dei Santi, di­cevo aprendole: «Devo trovarne una facile da imitare, affinché io possa comportarmi in quel modo e così diventare santa». Ma quanto mi angosciava era vedere che offendevo molto Dio, mentre pensavo che i santi non l'avevano fatto o, se l'avevano fatto, erano stati sempre in penitenza. Così mi veniva voglia di fare penitenza; il mio divino Maestro m'imprimeva un ti­more così grande di seguire la mia volontà, che ero con­vinta che avrebbe gradito solo ciò che avessi fatto per amore e obbedienza. Questo suscitò in me un gran de­siderio di amarlo e di agire solo per obbedienza, ma non sapevo come realizzare l'uno né l'altra; pensavo che fos­se un delitto dire che l'amavo, perché le mie azioni smentivano le mie parole. Gli chiesi di insegnarmelo e di farmi fare ciò che voleva che facessi per fargli piacere e amarlo e Lui lo fece nel modo che ora dirò.

20. Carità verso i poveri e gli infermi
Lui suscitò in me un amore così tenero per i poveri, che non avrei voluto parlare d'altro, e impresse in me una così tenera compassione per i miseri che, se fosse stato in mio potere, mi sarei privata di tutto; allorché avevo del denaro lo regalavo ai poveri per attrarli presso di me e così insegnar loro il catechi­smo e a pregare Dio. Ciò faceva si che mi seguissero e, certe volte, ne avevo così tanti, che non sapevo dove metterli d'inverno, a parte uno stanzone da cui qualche volta venivamo scacciati. Ero molto mortificata perché non volevo che si vedesse quanto facevo; la gente pensava che davo ai poveri tutte le cose di cui riuscivo a impossessarmi, ma non avrei potuto farlo per timore di rubare e donavo solo ciò che era mio e mai senza il rispetto dell'obbedienza. Questo mi costringeva a fare moine a mia madre, affinché mi consentisse di donare ciò che avevo; poiché lei mi amava molto, consentiva facilmente. Se me lo rifiutava, restavo tranquilla e, dopo un po' di tempo, ritornavo alla carica, perché non potevo fare nulla senza consenso, non solo di mia madre, essendo pure soggetta a quelli con cui vivevo, cosa che era un continuo supplizio. Ma pensavo che dovevo sottomettermi a tutti quelli che più mi ripugnavano e obbedire loro per vedere se potevo diventare monaca. Tutti questi permessi da chiedere mi attirarono rifiuti e mi resero così pri­gioniera, che, per via della grande autorità che veni­va esercitata su di me, non poteva esserci una mona­ca più sottomessa. Ma il desiderio ardente che pro­vavo di amare Dio mi faceva superare tutte le diffi­coltà e mi rendeva attenta a fare tutto quanto più contrastava con le mie inclinazioni e per cui provavo più ripugnanza. Mi sentivo talmente spinta ad agire in tal modo, che confessavo come un peccato il non averlo fatto. Mi disgustava vedere piaghe e mi misi a curarle e a baciarle, pur non sapendo come fare. Ma il mio di­vino Maestro sapeva supplire così bene a tutte le mie deficienze, che le piaghe guarivano prestissimo senz'altro unguento che quello della Provvidenza e, sebbene fossero molto pericolose, io avevo più fidu­cia nella sua bontà che nei rimedi umani.