Vita di Santa Margherita Alacoque
Vita di Santa Margherita Alacoque - Parte 15
48. Nostro Signore le chiede un nuovo abbandono di se stessa
Lui mi chiese, dopo la santa comunione, di rinnovargli il sacrificio della mia libertà e di tutto il mio essere, cosa che feci con tutto il cuore. «A patto», gli dissi, «o mio sovrano Maestro, che Voi non facciate mai apparire in me nulla di straordinario, tranne ciò che più possa causarmi umiliazione e abiezione di fronte agli uomini e distruggermi nella loro stima. Ahimè, mio Dio, sento la mia debolezza e temo di tradirvi e di non sapere far si che i vostri doni siano al sicuro con me». «Non temere nulla, figlia mia», mi disse, «vi metterò ordine io e ne sarò il guardiano, rendendoti incapace di oppormi resistenza». «Come! Mio Dio, mi lascerete vivere senza più soffrire?». Mi fu subito mostrata una grande croce, di cui non potevo vedere la fine, ed era tutta coperta di fiori.
49. I fiori e le spine della croce. Tre desideri imperiosi
«Ecco il letto delle mie caste spose, dove ti farò consumare le delizie del mio puro amore. A poco a poco questi fiori cadranno e ti rimarranno solo le spine, ora nascoste per via della tua debolezza. Queste ti faranno sentire così acutamente le loro trafitture, che avrai bisogno di tutta la forza del mio amore per sopportarne il dolore». Queste parole mi rallegrarono molto, perché pensavo che non avrei mai avuto abbastanza dolori, umiliazioni e disprezzo capaci di soddisfare l'ardente sete che ne avevo, e che non avrei potuto provare una sofferenza peggiore di quella che provavo perché non soffrivo a sufficienza, dal momento che il suo amore non mi lasciava requie né di giorno né di notte. Queste dolcezze mi affliggevano. Volevo la croce tutta pura e avrei voluto vedere il mio corpo sempre provato dalle austerità o dalle fatiche, cui mi applicavo per quanto le mie forze potevano sopportare. Infatti, non mi era possibile vivere un solo momento senza sofferenza e più soffrivo e più accontentavo questa santità d'amore che aveva acceso tre desideri nel mio cuore, i quali mi tormentavano senza tregua: il primo era di soffrire, il secondo di amarlo e comunicarmi e il terzo di morire per unirmi a lui.
50. Si occupa dell'asina e dell'asinello durante il ritiro della sua professione e riceve la grazia di un amore ardente per la croce
Da quando il mio sovrano Maestro mi accompagnava ovunque, non mi preoccupavo più del tempo né del luogo. Ero indifferente a ogni disposizione che veniva presa nei miei confronti, perché ero sicurissima che, essendosi Lui concesso a me senza che l'avessi meritato, ma solo per la sua pura bontà, non avrebbero potuto togliermelo. Lo sperimentai durante il ritiro della mia professione, quando mi mandarono nell'orto a badare a un'asina e al suo asinello. L'asina mi dava non poco lavoro, perché non mi era permesso di legarla e volevano che la tenessi nell'angolo che mi era stato indicato, per paura che facesse danni, di modo che ero sempre li a correre. Non avevo tregua sino all'Angelus della sera, quando andavo a cena; poi durante una parte del Mattutino ritornavo nella stalla per farli mangiare. Ero contenta di questa occupazione e non mi avrebbe dato fastidio neppure se fosse durata tutta la vita. Il mio Sovrano mi teneva una compagnia così fedele, che tutte quelle corse che dovevo fare non mi allontanavano da Lui. Fu li che ricevetti grazie così grandi, che mai ne avevo sperate di simili, soprattutto quella che mi fece conoscere sul mistero della sua santa morte e passione. E un abisso impossibile da descrivere e la lunghezza dell'eventuale racconto me lo fa evitare, ma mi ha ispirato un tale amore per la Croce, che non posso vivere un solo momento senza soffrire: soffrire in silenzio, senza consolazione, sollievo o compassione, e morire con quel Sovrano della mia anima, schiacciata sotto la croce di ogni sorta di obbrobri, umiliazioni, dimenticanze e disprezzo. Queste cose sono durate per tutta la mia vita, la quale, grazie alla sua misericordia, è interamente trascorsa in questi esercizi, che sono quelli dell'amore puro. Lui ha sempre badato a fornirmi in abbondanza questo nutrimento, che gli è tanto gradito, senza mai dire basta.
51. Esigenze della santità di Dio
Il mio divino Maestro m'impartì una volta questa lezione: «Sappi», mi disse in merito a una colpa che avevo commesso, «che sono un Maestro santo che insegna la santità. Sono puro e non posso sopportare la minima macchia. Per questo bisogna che tu agisca in mia presenza con semplicità di cuore e con intenzione retta e pura. Perché non tollero il minimo inganno e ti farò conoscere che l'eccesso del mio amore mi ha indotto a rendermi tuo Maestro, affinché tu ti modelli a modo mio e secondo i miei disegni. Io non posso sopportare le anime tiepide e pigre e, se sono dolce nel sopportare le tue debolezze, non sarò per questo meno severo e puntuale nel correggere e punire le tue infedeltà». E questo è quanto mi ha dimostrato per tutta la vita. Posso dire che non mi lasciava passare la minima colpa, dovuta a poca volontà o a negligenza, senza che mi punisse e mi rimproverasse, ancorché sempre nella sua misericordia e infinita bontà. Devo confessare che nulla mi era più doloroso e terribile che vederlo anche solo un po' arrabbiato con me. Tutti gli altri dolori, castighi e mortificazioni non erano nulla al confronto. Così chiedevo prontamente la penitenza per le mie colpe e Lui si accontentava di quelle che l'obbedienza mi imponeva.