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Martedi, 16 aprile 2024 - Misteri dolorosi - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi )

Madre Teresa di Calcutta:Abbandonarsi significa offrirgli la mia volontà li­bera, la mia ragione, la mia stessa vita in un puro atto di fede. La mia anima potrebbe brancolare nel buio. La prova e la sofferenza sono le verifiche più sicure del mio cieco abbandono.
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VITA DI S. GIUSEPPE SPOSO DI MARIA SS. - Di San Giovanni Bosco



Giuseppe



Capo IV. Giuseppe ritorna in Nazaret colla sua sposa.

Erant cor unum et anima una.
Erano un sol cuore ed un'anima sola ACTORUM IV, 32.


Celebrati gli sponsali, Maria ritornò a Nazareth sua patria con sette vergini che il gran Sacerdote le aveva accordato per compagne.

Ella doveva attendere nella preghiera la cerimonia del matrimonio, e formare il suo modesto corredo di nozze. S. Giuseppe rimase a Gerusalemme per preparare la sua abitazione e disporre ogni cosa per la celebrazione del matrimonio.

Dopo qualche mese secondo le usanze della nazione giudaica vennero celebrate le cerimonie che dovevano succedere agli sponsali. Benchè poveri entrambi, Giuseppe e Maria diedero a questa festa tutta quella maggior pompa che loro permisero i pochi mezzi di cui potevano disporre, Maria allora abbandonò la propria abitazione di Nazareth e venne ad abitare collo sposo a Gerusalemme, dove avevansi a celebrare le nozze.

Un'antica tradizione ci dice che Maria arrivò a Gerusalemme in una fredda sera d'inverno e che la luna spandeva luminosi sopra la città i suoi raggi d' argento.

Giuseppe si fece all' incontro della sua giovane compagna sino alle porte della città santa seguito da una lunga processione di congiunti, aventi ciascuno una torchia in mano. Il corteggio nuziale condusse i due sposi fino alla casa di Giuseppe, dove da lui era stato preparato il festino di nozze.

Entrando nella sala del banchetto e mentre i convitati prendevano il posto loro assegnato a tavola, il patriarca avvicinandosi alla santa Vergine, « Tu sarai come mia madre, le disse, ed io ti rispetterò come l'altare stesso di Dio vivente. » D' allora in poi, dice un dotto scrittore, essi non furono più agli occhi della legge religiosa che fratello e sorella nel matrimonio, benchè la loro unione fosse integralmente conservata. Giuseppe non si trattenne lungamente a Gerusalemme dopo le cerimonie nuziali; i due santi sposi lasciarono la città santa per recarsi a Nazareth nella modesta casa che Maria aveva avuto in eredità da' suoi genitori.

Nazareth, il cui nome ebraico significa fiore dei campi, è una bella e piccola città, pittorescamente assisa sul pendio d'una collina alla estremità della valle d'Esdrelon. È dunque in questa ridente città che Giuseppe e Maria vennero a stabilire la loro dimora.

La casa della Vergine si componeva di due camere principali, di cui l'una serviva di laboratorio per Giuseppe, e l'altra era per Maria. La bottega, dove lavorava Giuseppe, consisteva in una camera bassa di dieci o dodici piedi di larghezza sopra altrettanti di lunghezza. Vi si vedevano distribuiti con ordine gli strumenti necessarii alla sua professione. Quanto al legname di cui egli aveva bisogno, una parte rimaneva nel laboratorio e l'altra fuori, permettendo il clima al santo operaio di lavorare all'aperto una gran parte dell'anno.

Sul davanti della casa si trovava, giusta l'uso d'oriente, una panca in pietra ombreggiata da stuoie di palma, dove il viaggiatore poteva riposare le sue stanche membra e ripararsi dai raggi cocenti del sole.

Era assai semplice la vita che menavano codesti sposi privilegiati. Maria curava la pulitezza della sua povera dimora, lavorava colle proprie mani le sue vesti e racconciava quelle del suo sposo. Quanto a Giuseppe ora formava un tavolo per i bisogni di casa, o dei carri, o dei gioghi per i vicini da cui ne aveva ricevuto l'incarico; ora col suo braccio tuttora vigoroso si recava sulla montagna ad abbattere gli alti sicomori ed i neri terebinti che dovevano servire alla costruzione delle capanne, che egli elevava nella vallata.

Sempre assiduo al lavoro bene spesso il sole era di già da lunga pezza tramontato quando egli rientrava in casa pel piccolo pasto della sera, che la sua giovane e virtuosa compagna non gli faceva al certo aspettare, anzi ella stessa gli rasciugava la fronte molle di sudore, gli presentava l' acqua tiepida ch' ella aveva fatto riscaldare per lavargli i piedi, e gli serviva la cena frugale che doveva ristorare le sue forze. Questa si componeva per lo più di piccoli pani d'orzo, di latticini, di frutti e di alcuni legumi. Poscia, fatta la notte, un parco sonno preparava il nostro santo Patriarca a riprendere il domani le sue giornaliere occupazioni. Questa vita laboriosa e dolce ad un tempo, durava da circa due mesi, quando giunse l'ora segnata dalla Provvidenza per l'incarnazione del Verbo divino.