Santo Rosario on line

Giovedi, 25 aprile 2024 - Misteri luminosi - San Marco ( Letture di oggi )

Madre Teresa di Calcutta:Gesù dice: « Qualunque cosa facciate al più pic­colo dei vostri fratelli l'avrete fatto a me. Quando ac­cogliete uno di questi piccoli, accogliete me. Se darete un bicchiere d'acqua in mio nome, l'avrete dato a me. » E per essere certi di comprendere quello di cui ci parla, ci dice che nell'ora della nostra morte saremo giudicati soltanto su questo. Avevo fame e mi deste da mangiare. Ero nudo e mi avete vestito. Ero senza casa e mi avete ospitato. Non è fame soltanto di pane, è fa­me d'amore. Essere nudo non significa soltanto non avere un pezzo di stoffa con cui coprirsi, essere nudo è essere privo della dignità umana ed anche della bella virtù della purezza ed è anche privazione del recipro­co rispetto. Essere senza casa non è soltanto essere senza una casa fatta di mattoni; essere senza casa si­gnifica anche essere rifiutati, emarginati, non amati.
font

Meditazioni sulla vita di San Filippo Neri



San Filippo neri



SAN FILIPPO RIDE GIOCA CON PERSONAGGI D'ALTA STATURA

La sputacchiera.

S. Filippo ebbe contatti, e non fuggevoli, con persone di ogni classe e condizione: artigiani, operai, servi, e con tutti se la cavò magnificamente, riuscendo a renderli più buoni.

Con i grandi egli trattò con dignità, senza mai adulare e seppe anche più di una volta essere fiero e coraggioso. Diamo solamente alcuni di questi incontri con grandi. Ottavio Paravicino, di nobilissima famiglia, era stato presso Filippo da giovanetto e fu alunno di Baronio.

Fatto adulto e diventato cardinale, viaggiò, stette in missione nella Spagna e trattò con le più grandi personalità del tempo.

Tornato a Roma, suo primo pensiero fu di visitare il Santo, ora molto vecchio ed ammalato.

Non appena Filippo lo vide, dopo i primi complimenti, gli disse

- Ottavio, desidero conferire con voi, ma quando tosso ho bisogno di sputare. Vorrei dunque che mi pigliaste la sputacchiera.

- Padre mio, ciò è per me sommo favore e vostra riverenza mi fa troppa grazia.

Le lenticchie e una ciambella.

Un altro grande prelato, Michele Bonelli, nipote di San Pio V, detto più comunemente il Cardinale Alessandrino, offrì un pranzo ed invitò anche Filippo.

C'erano molti prelati e dignitari di riguardo, che avevano portato i loro servi, perché allora questi grandi personaggi avevano tutti una piccola corte.

Filippo aveva fatto preparare una pignatta di lenticchie dal cuoco e, venuto il momento di andare al banchetto, la fece avvolgere in un panno e l'affidò ad uno che l'accompagnava.

Quando Filippo giunse, la sala era piena, ed egli, dopo aver salutato col cenno del capo, si accostò disinvoltamente alla tavola e mise il fagotto nel bel mezzo tra le argenterie ed i vasi scintillanti: poi svolse la pignatta, che apparve nera, panciuta, brutta in mezzo allo splendore della tavola.

Molti dettero segno di disgusto, e, forse, qualcuno disse parole di deplorazione, mentre quelli che conoscevano Filippo se la godevano un mondo e ridevano.

Il cardinale si portò da gran signore ed uomo di spirito, mise il cucchiaio nella pentola portò le lenticchie alla bocca e disse:

- Squisite, squisite l Non ho mai mangiato in vita mia un piatto come questo.

Anche gli altri, per non parere da meno, si servirono le lenticchie ebbero un momento di gloria ma Filippo fu deluso nel suo pensiero di essere disprezzato.

Un'altra volta pure, Filippo andò con un bel numero dei suoi spirituali, alla casa dello stesso Alessandrino. Alla fine della visita, come fanno certi accattoni, che conducono due o più fanciulli per muovere a compassione, disse al Cardinale:

- Monsignore illustrissimo, vorrei da voi qualche cosa per dare a questi figlioli... Non vedete voi come sono sfiniti? Pare che vengano meno.

- Certo, certo, P. Filippo! C'è anzi in quella dispensa una torta abbastanza grande e pare mandata apposta dalla Provvidenza.

- Evviva, evviva monsignore illustrissimo, gridarono parecchi che sapevano come tener bordone al Santo in questi giochi.

- Grazie, disse Filippo e, col fare dei bimbi capricciosi, quando sono finalmente contentati, aggiunse: questa, questa volevo io.

Fatte le parti, qualcuno cominciava a mangiare con la fame finta di tre giorni, ma il P. Filippo intimò:

- Non qui, non qui, ma fuori.

Uscirono e così tutti ben disposti dietro l'esempio del capo, cominciarono ad addentellare la loro porzione, mentre ognuno diceva la sua.

- Che bellezza! ...Squisita!... Ce ne vorrebbe un'altra. Quelli che passavano, si fermavano a guardare e ognuno diceva la sua.

- Guarda quel P. Filippo: ne inventa ogni giorno una nuova... Hanno buon tempo questi spirituali... Se avessero a che pensare! Sembrano pazzi autentici.

Qualcuno che non sapeva ed era nuovo a quelli spettacoli domandava al vicino

- Sono zingari? Sono pezzenti? Di dove sono sbucati? Non sappiamo fino a che punto quella torta rifocillò lo stomaco degli spirituali, ma, certo, rifocillò lo spirito di quel buon umore che, spesso fa più bene del cibo materiale e di cui v'è bisogno.

Ordina ad uno di farsi beffare.

Intorno al 1590-91, quando il Santo era già molto vecchio, ma la vena del suo umorismo era sempre fresca, un giorno, si trovavano con lui alcuni giovani, tra i quali l'abate Crescenzi, Marcello Vitelleschi e Pietro Aldobrandini. Ora Filippo sapeva, per intuito o per lume superiore, non ci importa, che lo zio di Pietro, Ippolito Aldobrandini, sarebbe stato papa e che quindi il nipote Pietro sarebbe stato presto cardinale, come era uso a quei tempi.

Ora Filippo chiamò Pietro e gli disse:

- Senti, Pietro, tu devi andare dai tuoi compagni là dentro e dire con una certa aria di sostenutezza e di superiorità: il P. Filippo mi ha detto che io vi dica che fra poco voi tutti mi avrete a dare dell'Illustrissima e riterrete un grande favore parlare con me.

- Ma Padre, questo non va! Non lo posso... risparmiatemi... Mi canzoneranno e crederanno che io dica ciò di iniziativa mia e che io sia un ambizioso.

- Va, te lo comando. Per obbedienza sai...

Andò, ma di malumore, proprio per venerazione a Filippo.

Ripetette parola per parola quanto il Santo gli aveva comandato.

- Oh! oh! oh! Quando l'hai sognato? o Borse hai bevuto?

- Sciocco, stupido.

- Presuntuoso, imbecille.

- Fanatico.

- Me l'ha comandato Filippo, vi ripeto: domandatelo a lui, diceva Pietro sconfortato.

- Il giorno che tu dici, non verrà mai: consolati: noi ti tratteremo peggio di ora, sempre.

E la commedia finì allo sciogliersi della brigata e Filippo rise più di tutti. Forse, quei giovani ripeterono a casa il bel gioco ed ancora là si rise, ma il fatto ebbe un seguito non molto tempo dopo.

Alcuni giorni dopo questa gazzarra, innanzi a Pietro, il P. Filippo parlando come a se stesso, per rammaricarsi di un'umiliazione, di una brutta figura, borbottava

- Guarda a che san costretto io, nella mia vecchiaia dovrò dare dell'illustrissimo a costui!... Io vecchio ad un ragazzaccio... Mi poteva capitare di peggio?

Pietro comprese: era la stessa beffa ordinata alcuni giorni prima e inghiottiva amaro, torcendo la bocca.

Era tempo di Sede vacante e di conclave per eleggere il nuovo papa.

Passarono alcuni giorni e fu eletto il cardinale Ippolito Aldobrandini che prese il nome di Clemente VIII.

In breve spazio, come usava generalmente in simili circostanze, Pietro fu creato cardinale ed, in quello stesso momento, fu cominciato a chiamare illustrissimo signor cardinale Pietro Aldobrandini.

Un personaggio un po' pericoloso.

S'era al tempo di Paolo IV, Caraffa, nell'anno 1559. La guerra con la Spagna aveva messo divisioni, rancori anche in Roma, mentre proseguiva accanita la lotta del protestantesimo, per penetrare sempre più profondamente nel cuore della Chiesa.

Il Pontefice, sempre in allarme, pensava a come arginare la corrente protestante: si inasprirono le misure di ogni ordine, furono severamente vietati gli assembramenti. Poiché era prossimo il tempo della visita alle Sette

Chiese col suo gran movimento di popolo, ci furono dei nemici che formularono accuse e fecero insinuazioni e dissero anche calunnie.

- Che sta a fare quel Filippo di San Girolamo col suo Oratorio? Con le sue conventicole? Con le sue visite alle sette Chiese? E poi quelle prediche di laici, quei finti convertiti, che fino a ieri hanno fatto una vitaccia... Tutto ciò non è chiaro! Gatta ci cova.

Queste ed altre voci fatte circolare abilmente, arrivarono all'orecchio di Virgilio Rosario, cardinale di Spoleto, al quale Paolo IV aveva dato ogni autorità.

Virgilio Rosario era, per dire così, come un gran fuoco acceso: soffiandoci dentro produceva un incendio e così avvenne per Filippo.

Circolarono altre voci sinistre: Filippo è stato chiamato dal giudice... La visita alle Sette Chiese si farà o non si farà?... Pare che i Superiori abbiano scoperto cose gravi dell'Oratorio.. Si parla anche di false dottrine!... Qualcuno aggiungeva: Filippo è stato arrestato e non si sa dove l'abbiano cacciato.

C'era del vero e del falso in queste voci ed il vero era che Filippo ora si trovava sospettato, vigilato, come un cattivo.

Ad un bel momento, il Santo fu chiamato dal cardinale Rosario, il quale, abilmente ingannato, gli contestò le accuse come se fossero fatti provati.

- Voi adunate gente, disse egli in sostanza, per acquistarvi favore popolare, procacciarvi prelature, e tutto ciò sotto apparenza di santità... Voi siete un ambizioso e fate setta.

Il Santo, dinanzi a quell'uomo al sommo dell'irritazione, e che aveva anche il potere di vita e di morte sopra di lui, si volse ad un Crocifisso e, con grande coraggio, come se vedesse Gesù in persona, nella sua fede, disse: «Signore tu sai se quello che io fo, lo fo per far setta».

Era l'appello ad un giudice superiore.

Il Cardinale, per niente placato, dette una sentenza preliminare: niente più Visita alle Sette Chiese: niente adunanze nell'Oratorio: niente assembramenti per via, ed essere sospeso per quindici giorni dalle confessioni.

Anche a queste pene egli dette una risposta degna di un sacerdote che, pur innocente, mette l'ubbidienza ai superiori prima di ogni cosa, e disse: «Per gloria di Dio ho cominciato a fare questi esercizi e pure per gloria di Dio sono pronto a lasciarli».

Rosario però non si dette per vinto ed avrebbe proseguito nella sua linea di severità cruda, come risulta da varie circostanze della narrazione, se non si fosse verificata cosa che parrebbe incredibile e che è riportata da testimoni autorevolissimi.

Mentre i più coraggiosi seguaci di Filippo si trovavano all'Oratorio, ben chiuso come i primi cristiani nelle catacombe, appare in mezzo ad essi, non si sa come entrato, un prete mai conosciuto prima, mai visto, e strano nelle vesti e nel volto.

«Aveva una cintura di corda, osserva Domenico Giordani, di statura ordinaria, con la barba nera, magro, bruno»: una figura di asceta.

Egli, senz'altri complimenti, disse che la persecuzione sarebbe presto cessata e che Rosario sarebbe morto fra quindici giorni.

Il terribile Segretario di stato, il 22 maggio 1559, con un fascio di carte sott4o il braccio, si recava a riferire al Pontefice: si piegò su se stesso repentinamente, vomitando sangue nell'anticamera di Paolo IV e perdette immediatamente i sensi.

Fu preso, portato nel suo appartamento, ed allora si vide che non si trattava di perdita di sensi, ma di morte. Dopo la morte di Rosario tutto cambiò: il Papa riconobbe l'innocenza di Filippo, gli fece sapere che poteva andare alla Visita delle Sette Chiese, poteva confessare, riprendere la sua missione e si raccomandava alle preghiere di lui. Gli mandò due candele della candelora, di quelle riccamente dipinte dell'anno 1558, dolente di non poter partecipare alla Visita delle Sette Chiese.

Marcello Ferro, uno dei presenti alla scena, riferì anche le parole del Papa e portò il dono.

Era un modo di chiedere umilmente scusa a Filippo da parte del Pontefice.

Filippo in prigione...

Un giorno corse, per il rione, la notizia sussurrata all'orecchio, tanto essa pareva impossibile e tanta era la venerazione per l'infaticabile prete, che Filippo era stato imprigionato.

- Sai, confida uno ad un altro che gli veniva di contro, che Filippo è stato arrestato e messo in prigione?

- Quale Filippo?

- Filippo dico, il P. Filippo, Filippo di Santo Jeronimo.

- Impossibile.

- Eppure lo dicono quelli che hanno visto: così mi è stato riferito.

- E perché quest'arresto?

- Perché? E' incredibile, ma così han detto: perché preso in casa di una donna.

- Va! Ciò non solo è incredibile, è impossibile. - Andiamo a Santo Jeronimo.

Andarono, andarono anche altri e trovarono nel confessionale Filippo sereno, col volto luminoso di un angelo.

Com'era nata la storiella? Un aiuto sagrestano, un sotto sagrestano, come dice il teste Antonio Gallonio, che faceva appunto servizio nella Chiesa di S. Girolamo, e si chiamava anche lui Filippo, fu trovato in una di quelle case....

Filippo... spretato e apostata.

Nei brutti tempi dei quali trattiamo, c'erano molti religiosi che, entrati o messi in religione dai parenti senza vocazione, senza disposizione alcuna, per intenti umani, finivano poi quasi sempre malamente, per vie diverse.

Questi disgraziati, nella condizione in cui si trovò la così detta Monaca di Monza, ad un bel momento, tagliavano la corda, calpestando i voti ed ogni altra virtù e divenivano apostati.

Si abbandonavano poi ad ogni eccesso.

Talvolta, quando potevano, cercavano di entrare nel clero secolare o seguivano altre avventure.

Ci fu un provvedimento contro di essi nel 1558, e cioè che dovevano essere ricercati e incarcerati.

Un bel giorno, un certo numero di sbirri, al comando di un bargello, come allora si diceva, cioé un ufficiale, trovandosi in perlustrazione alla ricerca di cattivi soggetti, irruppero nella Chiesa di S. Girolamo.

Non c'erano altri preti in quel momento, ma solo Filippo che sedeva al confessionale.

Il bargello ed i suoi, forse per insinuazione precedente, lo fissarono e pensarono che quel prete potesse essere uno dei ricercati.

Filippo, vistosi preso di mira, si levò e disse semplice - Che volete, che cercate?

Il bargello, esperto conoscitore di cattivi soggetti, sapeva bene come costoro si tradiscono, si agitano quando sono solo interpellati, scorgendo un viso luminoso di bontà, comprese di aver preso un granchio, rispose semplicemente

- Niente, signore. Ed andò via.

Incontro con un galantuomo.

Il cardinale Morone, uno dei migliori del Sacro Collegio, un giorno tutto pensoso incontra Filippo circondato da un bel gruppo di devoti che si recavano in qualche sacro luogo.

Nell'atmosfera di quei tempi agitati, carichi di sospetti, il buon Cardinale ritenne che quel gruppo potesse essere di persone poco raccomandabili.

Un prete, fra tanti laici, non faceva buona impressione, per i pregiudizi appunto di quei momenti storici.

Egli fermò Filippo e lo trattò da ambizioso, da trafficante e disse su per giù: invece di andare in giro con delle persone, per fini egoistici, fareste meglio a starvene in casa, in chiesa, a studiare...

Filippo che si sentiva sicuro, nella sua innocenza, dette ogni spiegazione al prelato, che restò soddisfatto e tutto finì là.

Se Filippo avesse parlato ancora un poco, il cardinal Morone che era un galantuomo, si sarebbe unito anche lui al piccolo gruppo, e questa non sarebbe stata la prima volta...

Un vigilato speciale che conquista chi va a vigilarlo.

Filippo ebbe grande venerazione per S. Pio V, prima e dopo la morte di questo grande Pontefice, e ne serbava due reliquie: una pantofola ed una berretta.

Pio V, che non poteva seguire da vicino il Santo, ascoltava quello che dicevano di lui e naturalmente gli capitò di ascoltare persone che si spacciavano per gente da bene il Papa perciò era obbligato ad indagare.

- Santo Padre, dicevano fra le altre cose al Papa, quel Filippo Neri va sempre con un codazzo di persone per Roma...

- L'avete visto voi?

- Lo vedono tutti, e tutti i santi giorni dell'anno, e fosse solo questo.

- In quelle riunioni dell'Oratorio, un po' segrete, un po' pubbliche, si dicono errori, sciocchezze senza fine. L'oratore un giorno disse che S. Apollonia, per sete di martirio, s'era gettata volontariamente nel rogo. Quindi era una suicida.

- Bene, bene, disse il Santo Padre, provvederò io, e provvederò subito.

Fece chiamare il P. Paolino Bernardini e gli disse: Sentite, fra Paolino, voi dovete andare ad ascoltare all'Oratorio di quel tale Filippo Neri quei poveri uomini, che ne dicono ogni giorno di più grosse, e poi dovete riferire a me non fate parola di questa commissione: serbate il silenzio più assoluto.

Ubbidirò, Beatissimo Padre, da domani sera stessa comincerò a frequentare l'Oratorio, in modo che nessuno noti la mia presenza.

Fece chiamare poi il Pontefice un altro domenicano, Fra Alessandro Franceschi, forte anche lui in teologia e scienze ecclesiastiche, e gli dette lo stesso incarico, come all'altro.

I due però non sapevano l'uno dell'altro ed, inoltre, andavano prevenuti.

Si trovarono là senza essere sospettati, comparve l'oratore del giorno, il quale fu brevissimo, egli ripeté la storia di S. Apollonia, storia ch'era servita di pretesto, per dare un esempio dell'ignoranza degli oratori.

L'oratore si riferì al discorso precedente e precisò come S. Apollonia si gettò nel rogo senza aspettare di esservi gettata, per impulso dello Spirito Santo.

I due già conoscevano Filippo e furono stupiti della precisione di dottrina e riferirono al Pontefice quanto avevano visto: aggiunsero anzi che mai nell'Oratorio si era detta o fatta cosa men che lodevole.

I domenicani divennero propagandisti dell'Oratorio e gli apologisti di Filippo e Fra Paolino volle anzi ricopiare l'istituzione di Filippo e fondare in Lucca, sua città natale, un movimento come quello di Roma e si servì perciò di un santo sacerdote che fu in seguito S. Giovanni Leonardi, del quale avremo a dire altro, pur brevemente, in seguito.

Filippo armato di pugnale.

S'era al tempo del Pontefice Gregorio XIV, e, brigantaggio e carestia aumentavano.

Filippo soffriva e pensava che ci fosse bisogno di più rigore contro i cattivi, specialmente contro i briganti ed i cattivi amministratori e che si facessero arrivare, ad ogni modo, viveri almeno sufficienti, se non abbondanti.

Per dare una dimostrazione più efficace sulla sensibilità del Pontefice, egli prese uria pagnotta di pane ed un pugnale, li nascose sotto la tonaca e via a Palazzo.

Quando fu innanzi al Pontefice, mise fuori il pane e fu grande meraviglia perché il Papa non ne aveva bisogno né per pranzo né per la cena: Gregorio non si stupì neppure troppo, conoscendo le altre imprese di Filippo.

Un attimo dopo aver messo fuori il pane, Filippo mise fuori il pugnale... Chi dà la breve notizia non aggiunge altro, ma il Papa, quando vide quel gesto, si dovette domandare se il suo santo amico non fosse impazzito e forse, chi sa, ebbe un po' di paura.

Ma bastava guardare la faccia del Santo per rassicurarsi e ridere.

Ad ogni modo, Filippo fece comprendere, col suo piccolo dramma, con molta più efficacia delle parole, che c'era bisogno di viveri e di giustizia.

L'uomo dal perfetto equilibrio.

Pur fra tante stranezze, Filippo fu un uomo di perfetto equilibrio e questo equilibrio concorreva alla sua festività. La mancanza di equilibrio nella vita, più o meno, fa sbattere la persona di qua e di là come certi sugheri nell'acqua agitata.

L'equilibrio perfetto del Santo si può vedere in tutte le sue cose, ed anche nelle sue grandi opere, ma riluce di più nelle piccole cose, come quelle che dimostrano la sua cura nel tener conto anche di piccolezze spesso trascurabili.

Egli, per esempio, mostrava questo suo equilibrio anche nel vestire: non gli piaceva la sudiceria di certi penitenti antichi, colpa, per altro, dei tempi ed aborriva, inoltre, ogni ricercatezza ed aveva questa norma di S. Bernardo

« Paupertas mihi semper placuit, sordes numquam » - sempre mi è piaciuta la povertà, mai la sorditezza -. C'era tra i seguaci del Santo, un giovane intelligente e buono, un tale Luigi de Torres, che fece poi lunga via ed arrivò ad essere cardinale.

Egli, un po' per costume del tempo, un po' per la sua età giovanile; vestiva molto bene e riteneva che la veste semplice di Filippo, di saia di Gubbio, col suo mantello di buratto di Bergamo fosse poco conveniente ad un tanto Uomo.

'Allora anche gli ecclesiastici eleganti e ritenuti distinti, oltre le vesti più o meno costose, imitavano i laici in certe ricercatezze e così avevano la camicia con i polsini, non sappiamo se con o senza gemelli...

Il biografo di S. Filippo, più ricco di particolari, nota che il Santo era ben lontano da questa forma di ricercatezza e la camicia non appariva mai intorno ai polsi.

Or il buon Luigi pensò di fare una bella veste al suo caro P. Filippo. Chi sa, pensava egli, come il buon vecchio sarà contento.

Un giorno, prese un gruzzoletto di danaro e andò all'Oratorio, col proposito di uscire poi a comperare la stoffa e portarla a Filippo alla fine delle pratiche serotine.

Egli pregustava e masticava la sorpresa del Santo, la sua gioia e godeva in anticipo della piccola festa che Filippo gli avrebbe fatto.

Ma sia che altre volte Luigi avesse fatto osservazione al Santo per il suo modo di vestire, sia per un fenomeno di telepatia, sia per quella intuizione degli uomini di genio, Filippo conobbe il gesto che voleva fare il suo figliolo spirituale, ma disse niente.

Lasciò che andasse all'Oratorio tranquillamente, ma dopo lo chiamò e gli disse:

- Luigi, vieni con me un momento in camera mia. - Subito Padre.

Filippo andò innanzi, si diresse all'armadio che fungeva da guardaroba e puntando il dito nell'interno dell'armadio disse:

- Vedi che non mi mancano le vesti.

L'altro restò di stucco, anzi male come quando si sbaglia un colpo.

Il Santo però mise dello zucchero in questo suo rifiuto ed aggiunse:

- Non voglio che tu faccia spesa per me, sai perché? Perché non ti voglio essere di gravame.

Da una e dall'altra parte, dunque, uno . stesso motivo di amore nell'agire.

La festa del dono ci fu lo stesso, anche senza il dono.

Fonte: SAN FILIPPO RIDE E GIOCA (GIUSEPPE DE LIBERO) - Libro scaricato dal sito www.preghiereagesuemaria.it