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Sabato, 20 aprile 2024 - Misteri gaudiosi - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi )

San Pio da Pietrelcina:Il tuo zelo non sia amaro, non sia puntiglioso; ma sia libero da ogni difetto; sia dolce, benigno, grazioso, pacifico e sollevante. Ah, chi non vede, mia buona figliuola, il caro piccolo Bambino di Betlemme, all'avvento del quale ci andiamo preparando, chi non vede, dico, essere il suo amore per le anime incomparabile? Egli viene per morire al fine di salvare, ed è sì umile, sì dolce e sì amabile.
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Meditazioni sulla vita di San Filippo Neri



San Filippo neri



FILIPPO RIDE E GIOCA CON I NOSTRI FRATELLI MINORI.

Conoscenza dei fratelli minori.

- Chi sono questi nostri fratelli minori?

- Le bestie!

- E' una fratellanza, in verità, tanto lontana, che non si vede...

- E' una fratellanza, invece, vera e molto vicina. Come definiscono i filosofi l'uomo?

- Un animale ragionevole!

- Ebbene, noi possiamo fermarci alla prima metà della definizione e dire che l'uomo è un animale: la definizione resta vera... E si vede anche nella pratica della vita: ci sono tanti nei quali la ragione è come atrofizzata e non agisce più: vivono proprio come se fossero solamente animali: mangiano, bevono, prolificano come gli uccelli e tutte le altre bestie.

Anzi gli animali-uomini sono, in certo senso, meno perfetti che gli animali-bestie: le bestie, per esempio, sono sempre più moderate nel mangiare e nel bere e mangiano solo quanto basta e mettono al mondo i figli e li conducono fino a che non abbiano autonomia e possano vivere da sé, mentre gli animali-uomini mangiano e bevono fino al punto di procurarsi malattie e dolori, fino a doversi purgare e cioè andar di corpo artificialmente e, prolificando ad ogni stagione, spesso abbandonano i figli, per mettersi con un amante magari, con il paravento del divorzio.

- Tutto questo va bene, dirà qualcuno, ma ci sono tante bestie-umane con cui ridere e scherzare, e, andare a scherzare con le bestie-bestie è un po' troppo, una esagerazione.

- Anche con le bestie si può ridere e scherzare quando si sappia fare, ed i Santi trovavano il modo di saper ben regolarsi anche in questo caso: dico di più, i santi amavano le bestie...

Difatti si ride e si gioca con le persone alle quali si vuol bene: alle persone che non si amano si fa il muso e si scansano quanto più si può.

Non solo S. Filippo, ma tutti i Santi come ho detto, hanno amato le bestie e, oserei dire, le hanno amate tanto più, quanto più erano Santi.

Essi ci sono modelli anche in questo.

S. Francesco d'Assisi, per esempio, ch'è uno dei più grandi Santi, eccelle in questo comportamento e tutti sanno che chiamava fratello perfino il lupo, ch'è anche un fratello un po' discolo e addirittura cattivo con le pecore. Ma ci sono tanti modi di amare le bestie: le ama il contadino perché trova in esse un aiuto al lavoro, come i buoi, e una fonte di guadagno: le ama il macellaio... E le amiamo anche noi tutti perché ci forniscono le bistecche gustose, gli spezzatini, le polpette, la salsiccia e il prosciutto. Senza le bestie, non potremmo vivere, forse!

Immaginate un mondo senza bestie : a parte che sarebbe più brutto, e pensiamo sotto questo aspetto, agli uccelli, alle farfalle, noi dovremmo ridurci a vivere di erbe, come gli asini e in luogo degli asini.

Le bestie pertanto, oltre che l'amore, meritano il rispetto, la riconoscenza.

E', pertanto, segno di animo cattivo e di poco cervello quello di torturare le bestie, come fanno alcuni che le inchiodono vive sui muri e su le porte, perché le credono di cattivo augurio, come si pensa delle civette: i ragazzi poi, nei quali appare l'istinto umano non ancora corretto, cospargono di materie infiammabili i topi e gli altri animali e si divertono a vederli morire fra orribili tormenti.

Ma c'è anche un eccesso contrario, di quelli che, magari amando poco gli uomini, si consacrano all'amore delle bestie... Gli inglesi si distinguono in ciò e vi mettono uno zelo straordinario, ostentato.

Esiste, infatti, in Inghilterra una vasta associazione per la protezione degli animali e i tribunali puniscono chi li tortura, magari col carcere.

Gli industriali poi hanno messo in commercio dei preparati molto nutrienti, gustosi, perfino con vitamine, per la nutrizione degli animali come si usa fare con i bambini da tirare su forti.

Ci sono, dicono, « case del cane » per cani randagi, sperduti, e, in qualche parte, ospedali, ambulatori per cani, gatti ecc.

Nelle grandi stazioni balneari ci sono poi alberghi e pensioni per cani e gatti dei signori bagnanti.

Non finiremo più se dovessimo elencare queste sempre più complicate provvidenze sociali, ma dobbiamo accennare a certi eccessi morbosi, specie da parte di zitelle molto stagionate, come quello di fare legati in beneficio di animali, di organizzare onori funebri e perfino di imbalsamare le carogne.

Tutti i giornali italiani, il giorno 29 novembre 1959 segnalavano la morte di un mulo che ebbe il nome di «Valoroso ». Questo valoroso appartenne ad un raggruppamento di artiglieria alpina, partecipò alla battaglia di Nicolajewska in Russia nel 1943, ed ebbe la medaglia d'oro per aver assolto il compito di traversare pericolosamente e con testardaggine mulesca l'accerchiamento nemico.

Episodi di questo genere, tolgono ogni valore alle decorazioni umane.

Un altro eccesso: i giornali riportarono, un tempo addietro, che una ragazza di dodici anni amava molto un cagnolino: quando la madre glielo tolse, per buone ragioni, la bimba si buttò da una finestra e mori sul colpo.

Con l'occhio di Dio.

Ma torniamo ai Santi e specialmente a S. Filippo: essi vedono gli animali con l'occhio di Dio cioè con intelligenza, nella verità.

Dio che creò gli animali, dopo, come di tutte le altre cose, se ne compiacque.

Dio creò gli animali cooperatori degli uomini e per usarne: essi hanno una vita e perciò non bisogna abusarne.

Tutte le bestie hanno un diritto a che non se ne abusi perché tutti hanno una funzione, anche topi, rospi e perfino bestie feroci: e tutte le bestie sono belle, viste nel quadro delle loro funzioni, come è bello il negro dal naso camuso, anche se noi non apprezziamo e comprendiamo quella bellezza.

Se è così, dirà qualcuno, noi non dovremmo uccidere le bestie neppure per cibarcene.

Non è così: se noi ci cibiamo delle bestie, le portiamo, per dire così nell'ordine del loro scopo come creature, ch'è quello di dar gloria a Dio.

Noi mangiando le bestie viviamo e, vivendo ed operando, diamo gloria a Dio direttamente, e le bestie, delle cui carni ci siamo cibati, danno indirettamente questa gloria attraverso la persona umana.

- Noi non dovremmo uccidere così, secondo questo ragionamento neppure le bestie feroci e certe bestie come le pulci e i pidocchi ed i medici non dovrebbero neppure uccidere i microbi che procurano le malattie...

- Qui interviene un'altra ragione: certe bestie, pur avendo una funzione nel creato, che noi ignoriamo, ci danneggiano e noi ci difendiamo e poiché, in certi casi non possiamo difenderci senza distruggerli, così arriviamo anche a questo.

In fondo è la stessa logica della guerra: quando non ci si .può difendere da un nemico se non uccidendolo, lo uccidiamo: noi non intenderemmo ucciderlo ma difenderci e l'uccisione resta l'estremo mezzo di difesa.

S. Filippo aveva, pertanto, una sensibilità che lo guidava in tanti casi della vita, e gli dava un comportamento, che per noi è un esempio.

Un giorno passava davanti ad una macelleria e il macellaio badava al suo mestiere: passò un cane, il quale se ne andava per conto suo: il macellaio afferrò un grosso coltello e ferì gravemente la bestia che si era avvicinata. Il Santo ne fu talmente turbato, che si domandava che gusto avesse potuto avere quel macellaio a far del male ad una povera bestia che non nuoceva.

Aveva talvolta delle delicatezze per gli animali.

Un suo penitente gli portò a far vedere un uccelletto che a mala pena volava.

Filippo ne sentì visibilmente compassione e gli disse: - Non gli far del male, apri la finestra e lascialo andare.

Poco dopo, però, lo chiamò e gli disse

- Che hai fatto dell'uccellino?

- Ma l'ho lasciato volare, come voi avete comandato.

- Forse, replicò alquanto pensoso il Santo, sarebbe stato meglio ritenerlo e curarlo: era troppo piccolo e può darsi che non saprà trovare da mangiare e morrà.

Avvertiva quasi uno scrupolo di non aver protetta la bestiolina.

Se riceveva in dono degli animali, non permetteva che si ammazzassero, ma, alla sua volta, li donava, pregando o di governarli o di donarli ad altri che ne potessero aver cura.

Andando in vettura aveva una preoccupazione e, ogni volta, dava su per giù queste istruzioni al cocchiere che guidava:

- Non aver fretta, Paolo, e non investire nessuno, specialmente ragazzi, zoppi, malati: facciamo sempre a tempo ad arrivare...

- Va bene P. Filippo.

- Guarda ancora, Paolo, diceva dopo un poco, bada di non metter sotto polli, cani, gatti ed altre bestie.

- Scusa Paolo, se ti infastidisco: anche se vedessi lucertole, cerca di scansarle e non ucciderle...

- Va bene anche questo, Padre, ma come regolarmi con dei moscerini che volano e non debbo colpire con la frusta?... Così forse, più di una volta avranno scherzato i vetturini, con quell'umorismo tutto romano.

Le bestie collaborano con Filippo.

Un suo penitente francese, Luigi Amés, regalò al Santo due uccelletti che cantavano tanto bene.

- Le ho portato, P. Filippo, due uccelletti, perché so che lei ama le bestie e poi sono due uccelletti bravi, cantano ch'è una meraviglia.

- Grazie Luigi! Sei sempre tanto buono con me. Prendo gli uccelletti però con questo patto che tu stesso devi venire ogni giorno a governarli.

Fu un'astuzia santa per guadagnare anche il donatore e per assicurare agli uccelli quella cura che egli non poteva averne.

Un giorno l'Amés venne dal santo e lo trovò ammalato, a letto: entrato in camera, vide che la porticina della gabbia era aperta e uno dei due uccelletti roteava intorno al viso di Filippo cantava e scherzava festosamente.

- Luigi, gli dice il Santo, hai tu insegnato a questo uccellino a giocare cosi?

- No! Non ne avrei avuto il tempo.

Il Santo intanto con la mano cerca di allontanare l'uccelletto e quello si spostava intorno a lui di qua e di là e non andava mai via.

- Prendi la gabbia, Luigi, accostala all'uccelletto e vedi se rientra.

L'animaletto come se avesse compreso, entrò senza esitare...

Chi sa, se anche gli animali per una facoltà di istinto, non abbiano simpatia ed antipatia e distinguano chi li ama e non li ama? E la storia seguente sembra confermare positivamente questa interrogazione.

Costanzo Tassone, penitente di S. Filippo, era un personaggio di qualche importanza come maggiordomo di Guido Ascanio Colonna di S. Fiora, signore fastoso che aveva una vera e propria corte.

S. Filippo lo converti e Costanzo prese a frequentare l'Oratorio, cioè quegli esercizi di pietà che si tenevano in S. Girolamo della Carità.

Tassone portava con sè un cane del Cardinale, chiamato « Capriccio » : una volta conosciuto Filippo e visto il luogo, non ci fu più verso di far tornare Capriccio al suo padrone, il Cardinale, o a seguire il maggiordomo.

Santa Fiora, benché brontolasse contro Filippo, sapeva essere anche comprensivo e, da signore, prendere in buona parte qualche dispiacere che non poteva evitare.

Egli disse pertanto, per consolarsi, che Filippo non si contentava di prendergli le persone, convertendole, ma gli tirava perfino gli animali.

A questa conclusione, più o meno accettata, egli venne molto dopo, ma Francesco Zazzara, testimone oculare, ci racconta minutamente come la cosa seguì e fu così.

S. Filippo che sapeva gli umori del Cardinale Guido Ascanio fece riportare a casa sua il cane che però sempre ritornava.

Questo cane era grande come una grossa lepre, di pelo bianco con alcune macchie rosse: il suo padrone lo faceva cibare delicatamente e per bere faceva usare una tazza di pregio.

Dopo le prime volte che il cane fuggi a S. Filippo, il Cardinale cominciò a fargli carezze più del solito, ma non giovava.

Dopo le maniere dolci, il suo padrone usò le maniere forti e fece legare il cane per alcuni giorni, ma non appena l'animale era lasciato un po' libero, correva al suo nuovo padrone di elezione, S. Filippo, benché questi non gli desse altro che qualche tozzo di pane o avanzi di minestra oppure ossa spolpate, quando c'erano, invece dei buoni pezzi di carne che dava il Cardinale.

Restato finalmente indisturbato a S. Girolamo, Capriccio... collaborò alla grande missione di Filippo per ben quattordici anni.

Il Santo, per mortificare o esercitare la pazienza o far praticare l'umiltà ai suoi discepoli, ordinava ora all'uno ora all'altro di lavarlo, pettinarlo e condurlo a spasso per Roma traverso i luoghi più frequentati: spesso era portato in braccio come un bambino.

Talvolta Capriccio era condotto con una catenella, ma esso andava innanzi e tirava in modo che quelli che lo menavano parevano ciechi tirati da un cane.

Un altro personaggio strano aveva Filippo in S. Girolamo, senza un nome preciso, come il cane, ma tenuto in maggiore considerazione e cioè una gatta.

La gatta era curata come il cane ed anche meglio, sotto gli occhi del Santo, finché egli stette in S. Girolamo, ma quando di là si trasferì alla Chiesa Nuova, il 22 novembre 1583, come abbiamo visto, dispose un accurato trattamento per l'animale lasciato padrone in S. Girolamo.

Ogni giorno, infatti, qualcuno della Chiesa Nuova, o due o più insieme, doveva portare da mangiare alla gatta e se non c'era niente in casa, doveva girare per le macellerie, procurare qualche cosa e poi assistere al pasto della gatta, come se fosse una reginetta...

Al ritorno, il Santo interrogava, con finto interesse, il governatore della gatta, di quel giorno, e voleva sapere se stava bene, se aveva mangiato di buon appetito e tante altre notiziole del genere.

Ma venne il tempo che il primo personaggio animalesco, Capriccio, mori e proprio nella stanza che un tempo era stata di Filippo.

Uno allora dei più tormentati per via del cane, quello che più spesso doveva portarlo in braccio per le vie della città e che aveva dato ad esso il nome di « crudel flagello delle menti umane » sfogò il suo malumore con questi versi, tra gli altri

Non ci darai più, spero, tentazioni e tormenti come hai fatto! Quel ch'è avvenuto a te avvenga al gatto.

Anche questa imprecazione, come tutte le imprecazioni, fece cilecca.

La gatta visse fino al 1588.

Non sappiamo se ci furono necrologi o poesie, come per il cane, ma ci fu una partecipazione funebre dell'avvenimento ai Padri della Congregazione di Napoli, e questa partecipazione fu redatta e spedita da Germanico Fedeli, il quale invitava i Confratelli di Napoli a far le condoglianze al P. Gallonio, come colui che più degli altri era incaricato di accudire alla gatta e portare il mangiare mattina e sera.

Fonte: SAN FILIPPO RIDE E GIOCA (GIUSEPPE DE LIBERO) - Libro scaricato dal sito www.preghiereagesuemaria.it