Biografia di Santa Clelia Barbieri
Il congedo
Clelia è ormai matura per il cielo. Con l'ultima malattia, durata circa 7 mesi, la mano del Signore rompe la tela al dolce incontro. Una ricaduta del suo male la incornicia nella stanzetta al primo piano, donde spazia sulla verde pianura fino e oltre l'argine del Samoggia: una tisi violenta con rigurgiti sanguigni.Un profeta armato
La malata continua a vivere in stato di profezia. A suo modo, è quello che si dice un profeta armato, una lampada posta sul candelabro. L'umile saccone è una cattedra, da cui evangelizza con grande sapienza ed energia. Gli ospiti entrano in punta di piedi e se ne vanno con le lacrime agli occhi, confermati nel bene.Vuole essere soprattutto testimone di pace e di misericordia. Chiama zio Zeffirino e gli dice: «Zio, non era un capriccio; era volontà di Dio. Ma se ti ho involontariamente dato dispiacere, ti chiedo perdono». Il fratello di mamma Giacinta esce dalla camera singhiozzando, senza fare parola.
Due giorni prima di morire chiede di essere trasferita in un'altra stanza: cerca un ambiente intatto, prospiciente la chiesa, per celebrare la Pasqua. Si volge ad oriente, verso il Signore che viene. Al suo capo ha l'immagine dell'Addolorata; davanti, S. Francesco da Paola, amico e confortatore nell'ultimo combattimento; nelle mani il Crocifisso.
A don Guidi chiede un altro favore: «Portatemi la Madonna». Nell'oratorio di S. Giuseppe c'è infatti la statua della Beata Vergine delle Grazie traslata dall'oratorio di S. Antonio, in restauro. Il desiderio è appagato. Venerata sotto il titolo delle Grazie, in realtà è un'immagine della Beata Vergine del Carmelo. Viene portata processionalmente al capezzale dell'inferma, che ha voluto essere iscritta al Carmine, per un incontro che ormai va al di là del segno verso la realtà significata.
Poche ore dopo, Clelia entra in coma. Un sopore profondo. Si risveglia. Parla, esorta, consola. Pronuncia le parole del «suo salmo»: Amate e temete il Signore, perché è grande e buono.
Quindi entra in un sopore lucido, devoto, sensibilissimo. Appena un istante di turbamento, poi una calma suprema. Il congedo dai suoi cari. La promessa ad Orsola. Le sussurra affettuosamente prendendole la mano: «Orsolina, tu farai le mie veci; non avere paura, non scappare... Io me ne vado, ma non vi abbandonerò mai... Vedi, quando là, in quel campo d'erba medica accanto alla chiesa, sorgerà la nuova casa, io non ci sarò più... Crescerete di numero e vi espanderete per il piano e per il monte a lavorare la vigna del Signore. Verrà un giorno che qui alle Budrie accorrerà tanta gente, con carrozze e cavalli...».
Aggiunge: «Me ne vado in paradiso; e tutte le sorelle che moriranno nella nostra famiglia, avranno la vita eterna... Qui muoio contenta... Questa camera sarà convertita in cappella; vi sarà celebrata la santa Messa e voi sarete molto consolate».
Poi raccomanda al parroco la mamma; la sorella Ernestina, sposa dal 24 maggio; le compagne, fra cui non c'è più Teodora. morta il 16 dicembre 1869. Dà loro il saluto di addio. Uno sguardo intorno, un sorriso; e spira. Sono le ore 18 del mercoledì 13 luglio 1870. Clelia ha 23 anni, 4 mesi, 28 giorni.
Il chicco di grano nei solchi della terra
È una morte esemplare; e, dopo il transito, si diffonde una straordinaria irradiazione di pace e di energia soprannaturale. Il paese accorre alla notizia della morte come a un trionfo; autentico anche se paesano: i fiori che adornano la bara sono di carta, ritagliati con le forbici.Ascoltiamo un testimone oculare, Valentino Moruzzi: «Io allora avevo 6 anni. Noi bambini non potemmo entrare in chiesa il giorno dei funerali, la mattina del 15 luglio, per la moltitudine che c'era. Ma riuscii a vedere la bara prima che fosse portata in chiesa. Era ancora aperta e sopra vi era disteso un velo bianco, attraverso il quale assieme ai miei compagni la potei vedere distintamente. La ricordo come se l'avessi presente... Non vi erano fiori freschi e veri, anche perché in quei tempi e in quei luoghi non c'era l'uso; c'erano dei fiorellini di carta che ho toccato con le mie dita disposti ad archetti ai fianchi della salma...».
Nel vecchio camposanto, sul sagrato, don Guidi pose qualche anno dopo un'epigrafe di rara bellezza: «Qui riposano le spoglie verginali - di Clelia Barbieri - ammirata fin dalla puerizia per ritiratezza modestia e carità - e per il dono di attrarre le anime a Dio - elettasi con tre compagne comunanza di povera e santa vita - iniziò la famiglia delle Minime dell'Addolorata - le diede regole e spirito - ed un biennio dappoi passò lieta al celeste Sposo».
Quella morte emozionò tutti, e scosse qualche anima, come in un ultimo sconvolgente colloquio. Si spezzarono cuori induriti; molti che erano morti spiritualmente, risuscitarono (cfr. Mt 27,52). A documentazione citiamo il caso di Teresa, figlia adottiva di Giovanni Girotti, l'artificiere delle Budrie: «Alla vista della salma - dice suor Imelde - una giovanetta assai mondana si convertì ed altre undici risolsero di abbracciare lo stato religioso». Teresa morirà nell'epidemia di vaiolo che infuriò sul finire del 1871. Si era subito messa al lavoro. Il suo nome figura nell'elenco delle operaie della dottrina cristiana, sicuro indizio di una nuova scelta di vita.
Un anno dopo, la voce.
A un anno di distanza dalla morte, la sera del 13 luglio, Clelia è nel cuore delle sorelle. Nella casa del maestro si rivivono i giorni e le ore del suo congedo, in un clima di fraternità e di preghiera. Ed ecco, la voce.«Raccontano le prime compagne»: «Volemmo santificare in modo speciale quella data memoranda e stabilimmo di fare il giorno di ritiro nella stessa camera ove Clelia era spirata; camera che era già stata eretta a cappella, ove si celebrava, senza però potervi tenere il Santissimo.
Ad ogni ora andavamo a pregare; e più che in ogni altro giorno ci sentimmo unite allo spirito di lei, che sempre ricordavamo con venerazione. Ad un punto della nostra preghiera una voce alta, armoniosa, celestiale accompagnò il nostro coro, volteggiando a destra e a sinistra, innalzandosi e sfiorando le orecchie.
Il giubilo che apportava questa voce riempiva gli animi nostri di una gioia impossibile a descriversi. Quella non era cosa terrena. Noi vivemmo in quel giorno ore di paradiso. A quando a quando era necessario uscire... L'emozione che si provava era sì forte che toglieva il respiro, e con impeto si doveva gridare: - Basta, Signore, basta!».
Orsola non ebbe dubbi: è Clelia! Quando il gruppo delle sorelle si portò in cappella, per l'ultima preghiera prima del riposo, la voce si fece sentire più intensa e perentoria. Vegliarono tutta la notte davanti al tabernacolo della chiesa parrocchiale, pensando non ci fosse luogo più adatto per questo imprevedibile colloquio. E la voce pregò con loro fino all'alba.
Da quel giorno non le ha più lasciate. Si fa sentire, a intermittenza, negli ambienti e nei contesti più disparati; e in modo che tende a condensare nel tono, a volte dolente e supplicante, più spesso incoraggiante e sereno, il servizio che Clelia da viva aveva reso costantemente alla comunità.
La voce si fa messaggio, rivolto a persone di ogni ceto, ma soprattuto alle Minime dell'Addolorata che ne sono destinatarie previlegiate. In questo segno le sorelle videro attuata la promessa di Clelia morente: «Non vi abbandonerò, ma sarò sempre con voi». Dell'argomento, oltre il Gusmini - che tolse la consegna del silenzio data dai suoi predecessori - si occupò in modo particolare il p. Nicola Monaco, gesuita, il quale raccolse ben 150 testimonianze dal 1871 in poi. Significativa fra le tante quella di mons. Cesare Sarti, che nel 1916 udì la voce accompagnare il rosario dei soldati nella cappella dell'ospedale militare allestita nel Seminario Regionale di Bologna. E anche i soldati l'avvertirono sia a Bologna che a Mestre, dove le Minime prestavano servizio infermieristico. È avvenuto anche nel 1943 durante la seconda guerra mondiale, tra i soldati dell'ospedale da campo presso l'asilo di S. Giovanni in Persiceto.
Le Minime dell'Addolorata
Ancor più che in questo fenomeno Madre Clelia si fa sentire nella tradizione vivente delle sue sorelle: le Minime dell'Addolorata, come il card. Lucido M. Parocchi le battezzò nel 1878. È in questa eredità spirituale che noi abbiamo la lettura autentica e continua di una testimonianza cristiana, semplice e popolare, proposta come modello alla Chiesa universale da Paolo VI il 27 ottobre 1968, quando la ragazza delle Budrie fu detta «Beata».Lo stesso titolo di Minime dell'Addolorata esprime lo spirito e la linea. Minime dice umiltà, povertà, servizio; l'Addolorata richiama la realtà dei paesi della valle padana nella sofferta dignità dei miti e umili di cuore, solidali con Cristo e fra loro. Così attraverso la sua famiglia religiosa la ragazza delle Budrie si fa oggi sorella, commensale, catechista, infermiera dei piccoli, dei malati, dei poveri del mondo. E c'è tra lei e loro una corrispondenza reciproca, un patto sociale, un'intesa misteriosa. Lo confermano i Vescovi della Regione Emiliano-Romagnola:
«Quelli che maggiormente sono attratti da Madre Clelia sono gli umili, i sofferenti, i giovani, i catechisti. Gli umili la sentono una di loro; i sofferenti, loro sorella; i giovani, loro coetanea; i catechisti la riconoscono modello, come evangelizzatrice a servizio pieno e perseverante...»