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Biografia di Santa Clelia Barbieri



Santa Clelia Barbieri



La cena del Giovedì Santo

Il Giovedì santo 1869 coincise con la data tradizio­nale dell'Annunciazione, il 25 marzo; e fu, a tutti gli effetti, festa di precetto. Non accadeva dal 1728.

Alle Budrie, come in tutto il persicetano, le cam­pane ebbero modo di risarcirsi del forzato silenzio che perdurava dal 7 gennaio e il dies natalis calicis si dispiegò in tutta la sua bellezza. Al termine della Messa solenne, don Guidi portò la riserva eucaristica - l'Ostia grande per il Venerdì santo e le particole per gli infermi - nell'Oratorio di S. Giuseppe; poi, rientrato in chiesa, procedette alla spogliazione degli altari.

Nelle ore pomeridiane, al di qua e al di là del Samoggia, si snodò il pellegrinaggio popolare impro­priamente detto «visita ai sepolcri», con il rituale di sempre... Ma un evento nuovo si compì nella loggia al primo piano della casa del maestro.

Il racconto di Carmela Donati

La tradizione più accreditata giunge a noi per bocca di Carmela Donati, sorella di Madre Orsola: «Il Giovedì santo Clelia mi ordinò di cercare dodici ragazze di 16-17 anni; le fece sedere e, postasi alla cin­tura un grembiule, lavò loro i piedi. Quindi si sedette con loro ad una specie di cena, fatta di radicchi e di una bevanda amara con erbe bollite, che somministrò dentro dei bicchieri a forma di calice. Poi, inginoc­chiatasi sopra una sedia fra due armadi, parlò per quasi mezz'ora della Passione del Signore. Nessun predicatore aveva mai parlato così...».

Una sostanziale continuità lega l'episodio del Gio­vedì santo all'«inspirazione granda» del 31 gennaio... Lo scenario non è la chiesa, ma la casa. Gli attori, oltre a Clelia, sono dodici ragazze del paese: sei appartenenti al ritiro e sei ragazze da marito, tutte solidali tra loro.

Niente del genere, a memoria d'uomo, era mai accaduto alle Budrie. Quel rito rientrava nella prassi delle cattedrali, dei cenobi, delle collegiate. Qualcosa di più estroso e borghigiano apparteneva alle abitu­dini delle confraternite, che alla lavanda dei piedi facevano seguire una frugale agape di mandorle e fichi secchi, al canto di antiche laudi della passione.

Lavanda, agape e discorso si inserivano in un con­testo biblico-liturgico. Chi era andato il giorno prima a raccogliere lattughe e radicchi selvatici aveva ben chiaro, anche nei particolari, il riferimento all'ultima Cena.

Eucaristia e vita

Siamo ricondotti alla fonte della santità e del servi­zio di Madre Clelia: l'Eucaristia.

Allora era più vissuta che parlata. Vigeva una disciplina rigida: digiuno che si infrange con un sorso d'acqua o con un chicco di miglio; rarità del ban­chetto; timore e tremore di fronte all'Ostia... Quasi una disciplina dell'arcano.

Il Santissimo Sacramento permeava la vita. Dire Eucaristia e comunità non era solo una tesi del teo­logo, ma un dato dell'esperienza nelle forme e nei modi dell'epoca. L'atmosfera del villaggio recava questo segno in privato e in pubblico. La settimana culminava nell'Eucaristia domenicale, che si rifletteva su tutta la realtà, dalla mensa all'abito, al lavoro, alle relazioni sociali. La Domenica era davvero la festa primordiale, la Pasqua di ogni settimana.

L'anno aveva in sé questo polso eucaristico. Il cri­stiano adulto era ancora per l'anagrafe parrocchiale «anima da comunione».

Che festa per il Corpus Domini con l'Eucaristia portata in trionfo sulle vie, sugli argini, sulle piazze! Per le Quarantore c'erano usanze tipiche per ogni paese, e l'altare delle umili pievi diventava trono e arco trionfale al mite re di gloria.

Ma anche la storia dell'uomo: nascere, morire, sposarsi, partire, ammalarsi, guarire... tutto portava questa impronta. Un viatico era un piccolo Corpus Domini. Una prima Messa faceva storia.

Fra le strutture parrocchiali la «Compagnia del Santissimo» era quella più popolare. Tutti - uomini e donne - ne facevano parte. Così Clelia. Bisogna aggiungere al titolo di «operaia della dottrina cri­stiana» l'altro di «consorella della Compagnia del SS.mo», come il suo svolgimento logico, il compi­mento. I due gesti del 1869, inseriti e meditati in que­sta luce, sono il segno che l'Eucaristia fu realmente culmine e fonte, anima del Ritiro e della comunità intera; e insieme gesti profetici, presaghi della fine.

Tutta la vita di Clelia si protende verso l'Eucari­stia, e lì consuma la sua ultima offerta. Quando don Guidi salirà la scala della casa del maestro per recarle il viatico nella stanzetta da cui vedrà insieme l'argine del fiume, il futuro della famiglia e le porte della Gerusalemme celeste, quella sarà la sua Pasqua ultima, il sigillo al patto sponsale con Gesù, di cui por­tava sul cuore «la memoria per averla sempre in memoria».

La tua speranza non perirà

A questo anno privilegiato sembra doversi ascri­vere anche la foto che Zaccaria Nanetti scattò nell'O­ratorio di S. Giuseppe. Di essa possediamo solo un ritaglio, noto come «ritratto di Madre Clelia», mentre il formato originario comprendeva altre figure.

La fotografia rende bene il clima del 1° anniversa­rio di apertura della casa del maestro. La scena fissata da Zaccaria potrebbe identificarsi con il rito di vesti­zione, a cui fa cenno una teste al processo apostolico: «Dopo circa un anno il parroco pensò di dare un abito alla Clelia e alle sue compagne, di color nero, sem­plice ed uniforme».

Clelia appare in una condizione di serena quiete. L'abito, dalla sobria eleganza, si rivela qualcosa di più di un accorgimento della regia; l'indice della destra proteso verso l'alto non può avere il generico valore di una manualità spontanea; il crocifisso brandito con la sinistra appare il distintivo di una consacrazione­missione, che ha il suo modello nella configurazione a Cristo e all'Addolorata.

Clelia, quasi appoggiata a una delle svelte colonne di fianco all'altare, ha davanti a sé le compagne che condividono il suo progetto e le riconoscono una maternità spirituale. Nell'abside sta la pala di Vin­cenzo Spisano, che raffigura S. Giuseppe agonizzante con Maria inginocchiata ai suoi piedi. Gesù conforta il padre putativo, indicandogli con il dito della mano destra i cieli aperti, mentre nello squarcio della gloria gli angeli mostrano un cartiglio con la scritta: «Spes tua non peribit - La tua speranza non perirà». (Prov. 24,14).

Maria Addolorata ha il volto delle donne budriesi e di mamma Giacinta, quando in quel lontano 11 luglio 1885 papà Giuseppe morì ucciso da un colera fulminante. Clelia lo doveva sentire in modo speciale. L'icona è la vita.