Santa Brigida di Svezia
L'APPROVAZIONE DELLA REGOLA
Lasciata Avignone, Urbano V era partito da Marsiglia nel maggio 1367 ed era sbarcato a Corneto, il porto più vicino a Viterbo, il 9 giugno, accolto da grande entusiasmo. A Viterbo il pontefice trascorse l'estate. Il 16 ottobre, scortato da un imponente corteo guidato da Nicola d'Este marchese di Ferrara, Urbano V fece il suo ingresso a Roma, dove da sessant'anni nessun papa aveva più messo piede. Anche a Roma l'entusiasmo era alle stelle e certamente Brigida e sua figlia Caterina erano tra la folla accorsa ad applaudire il pontefice.
Le sedi papali erano all'epoca assai trascurate: il palazzo del Laterano era stato gravemente danneggiato nel 1360 da un incendio e non era mai stato restaurato; il Vaticano e Castel Sant'Angelo erano anch'essi bisognosi di ristrutturazioni. Il papa avviò subito i lavori e diede immediatamente inizio alla sua attività politica ricevendo molti regnanti, tra cui il re di Cipro e la regina Giovanna di Napoli.
L'estate successiva fu trascorsa nella residenza estiva di Montefiascone, sul lago di Bolsena, e nell'autunno dello stesso anno Urbano V si recò a Viterbo per incontrarsi con l'imperatore Carlo IV e rientrare con lui a Roma, cosa che avvenne nell'entusiasmo generale. Il 21 ottobre l'imperatore scortò il papa fino in San Pietro reggendo le redini del suo cavallo. In quell'occasione il pontefice incoronò imperatrice la quarta moglie di Carlo IV, Elisabetta di Pomerania. Brigida vide così papa e imperatore insieme a Roma, come molti anni prima le era stato preconizzato: «Vai a Roma e restaci finché non vedrai il papa e l'imperatore». L'avverarsi di questa profezia accrebbe il prestigio di Brigida. Ritenendo il vaticinio impossibile, molti infatti non le prestavano fede o addirittura la deridevano; ma poi, come testimonia la figlia Caterina negli Atti del processo, dopo che papa e imperatore furono entrati insieme a Roma, l'ebbero in maggiore stima e onore.
Questi sviluppi positivi fecero sperare a Brigida che fosse venuto il momento di far approvare la sua Regola. Nel 1369 andò a Montefiascone, dove il papa trascorreva l'estate, e vi rimase tre mesi. La veggente svedese desiderava anche che alla sua chiesa di Vadstena fossero concesse le stesse indulgenze di cui godeva la chiesa romana di San Pietro in Vincoli, dove sono custodite le catene dell'apostolo. Un tale privilegio sarebbe stato molto prestigioso per il monastero, in quanto avrebbe contribuito in maniera determinante alla sua fama di luogo di pellegrinaggio.
Il papa mostrò a Brigida grande attenzione e rispetto, ma l'approvazione dell'ordine incontrava in lui una certa resistenza. I problemi da risolvere erano molti: il latino nel quale la Regola era stata scritta risultava duro e antiquato, assai diverso da quello colto e raffinato in uso alla corte papale, col quale i confessori di Brigida non avevano dimestichezza. In questo Brigida ebbe l'aiuto prezioso di Nicola Orsini, che si offrì di curare una versione migliore della traduzione. Orsini, che era in quegli anni governatore papale a Perugia e aveva libero accesso presso il pontefice, provvide personalmente a consegnare al papa la Regola dopo la revisione del testo.
Quanto ai contenuti, una difficoltà era rappresentata dalla natura stessa del monastero, pensato per uomini e donne, cosa non più prevista ormai da moltissimo tempo. Fu inoltre fatto presente che gli ordini già esistenti erano tanti e che non si avvertiva quindi la necessità di una nuova istituzione, esistendo tra l'altro un divieto in questo senso sancito, come s'è detto, dal concilio Laterano del 1215 e confermato dal concilio di Lione del 1274.
Ma Brigida non si arrese: sapeva che il Signore stesso voleva che l'ordine fosse approvato e si rivolse direttamente all'imperatore, che si trattenne a Roma sino alla fine del 1369; a lui indirizzò una lettera dettata dal suo sposo celeste nella quale si legge:
Tu che detieni la dignità imperiale, sappi che io, creatore di tutte le cose, ho dettato una Regola in onore della mia amatissima madre e l'ho data alla donna che ti scrive. Leggila dunque attentamente e fa' sì che questa regola dettata dalle mie labbra sia approvata anche fra gli uomini ad opera del papa, che è il mio vicario in terra, dopo che io l'ho approvata davanti alla moltitudine celeste.
Come si può constatare, Brigida non lasciava nulla di intentato per raggiungere gli scopi che si era prefissata. Nell'estate del 1369 Brigida ebbe una grande gioia: rivide i figli Karl e Birger, che erano venuti a Roma per incontrarla. Ne approfittò per presentarli al papa vestiti dei loro abiti cavallereschi, nella speranza di conferire in questo modo maggiore autorità alla sua richiesta di approvazione dell'ordine.
Desiderando mostrare ai figli alcune delle bellezze d'Italia, ottenne dal papa un particolare lasciapassare e nell'autunno intraprese con loro il pellegrinaggio a Monte Sant'Angelo nel Gargano e a Bari. Dopo il viaggio Karl e Birger tornarono in Svezia.
Al pellegrinaggio partecipò anche un uomo che divenne il migliore e più valido amico e collaboratore di Brigida nei suoi ultimi anni: lo spagnolo Alfonso Pecha de Vadaterra, che era stato vescovo di Jaén in Andalusia e aveva poi rinunciato al suo alto incarico per entrare nell'ordine degli eremiti di san Girolamo (i girolamiti). Venuto in Italia dopo l'invasione dei mori della sua diocesi spagnola, aveva trascorso un certo periodo nella sede del suo ordine a Monteluco, presso Spoleto. Qui aveva sentito parlare di Brigida, aveva desiderato incontrarla, si era recato a Roma e, come lui stesso raccontò nella sua deposizione al processo, l'aveva cercata finché non l'aveva trovata. Da allora le rimase accanto divenendo suo confessore, consigliere, ordinatore delle Rivelazioni e, dopo la sua morte, promotore della causa di canonizzazione. Alfonso era nato nel 1329 o nel 1330 e mori nel 1388. La sua presenza accanto a Brigida si rivelò provvidenziale, anche perché in quegli anni i due Petrus furono soggetti a varie infermità che impedirono loro per esempio di unirsi alla futura santa e ai suoi figli nel loro pellegrinaggio.
Dobbiamo al vescovo Alfonso una preziosa testimonianza sul carattere e il comportamento di Brigida e sul suo atteggiamento verso i sacerdoti che facevano parte della sua famiglia:
Aveva massima obbedienza verso i suoi padri spirituali, al punto da mortificare la propria volontà, perché ogni cosa che faceva era sottomessa al consenso dei predetti padri; non usciva di casa se non con il loro consenso e quando andava per Roma a visitare i santuari era sempre in loro compagnia; e neppure osava alzare gli occhi da terra se non dopo aver chiesto e ottenuto licenza di farlo. Anche tutte le attività della giornata, la suddivisione del tempo, il silenzio e la preghiera erano sottoposte al giudizio dei padri spirituali, come pure le visioni divine che riceveva quando pregava.
Dell'obbedienza ai padri spirituali rende buona testimonianza anche la figlia Caterina: «Per obbedienza ai suoi padri spirituali dormiva senza materasso, e questo durò fino a poco tempo prima della morte, quando ormai era affetta da molte infermità»'. La donna forte, capace di rivolgersi con autorità a papi e imperatori per indicare loro il volere di Dio, era in realtà umilissima, devota ai padri spirituali e disposta a rinunciare alla propria volontà in nome dell'obbedienza.
Il vescovo Alfonso svolse un prezioso lavoro per la revisione delle Rivelazioni, compito che gli fu affidato dal Signore stesso. Fu infatti dettato a Brigida:
Devi consegnare al mio vescovo eremita tutti i libri delle Rivelazioni con queste mie parole, affinché possano essere tradotti in molte lingue; lui dovrà spiegare, illustrare e custodire il senso cattolico del mio spirito. Così come il tuo cuore non è sempre in grado di esprimere con sufficiente calore e trascrivere ciò che ti viene comunicato, ma lo ponderi nella tua mente, e poi lo scrivi e lo riscrivi fino a trovare il corretto significato delle mie parole, allo stesso modo il mio spirito si levò e discese tra gli evangelisti e i maestri, che a volte produssero qualcosa che dovette essere corretto, a volte qualcosa che dovette essere nuovamente trattato, altre volte ancora furono biasimati e dovettero intervenire altri per meglio esprimere le parole che avevano usato. E tuttavia fu sempre il mio spirito a infondere a tutti i miei evangelisti le parole che essi pronunciarono e scrissero. Dì allora all'eremita che deve eseguire e portare a termine il lavoro dell'evangelista'.
Alfonso di Jaén curò la redazione definitiva delle Rivelazioni e la loro suddivisione in otto libri. Nell'estate del 1370 Brigida era di nuovo a Montefiascone e fu ricevuta dal papa insieme ad Alfonso e a Nicola Orsini. Il risultato ottenuto fu per Brigida di parziale soddisfazione: la sua Regula Sanctissimi Salvatoris fu approvata, ma solo come appendice della Regola agostiniana che il monastero di Vadstena avrebbe dovuto seguire. Del privilegio di indulgenza richiesto per il monastero non si faceva alcuna menzione'. Era invece concessa licenza per la costruzione di un monastero per le monache con annesso quello per i monaci. La bolla papale, datata S agosto 1370, era indirizzata all'arcivescovo di Uppsala e ad altri tre vescovi svedesi.
Motivo di grande dispiacere per Brigida fu rendersi conto, durante il soggiorno a Montefiascone, che il papa non aveva nessuna intenzione di ritornare a Roma, ma - cedendo alle pressioni dei vescovi francesi -stava anzi programmando di trasferirsi di nuovo ad Avignone. Fece allora avere a Urbano V una lettera ispirata dalla Vergine in cui gli si diceva: «Se riuscirà a tornare in patria, riceverà un colpo tale da fargli battere i denti; la sua vista si oscurerà e tutte le sue membra tremeranno... Gli amici di Dio non lo ricorderanno più nelle loro preghiere ed egli dovrà rendere conto a Dio di tutto quello che ha fatto e omesso»6. Urbano V non ne tenne conto. A metà settembre di quello stesso anno era già in Francia e il 19 dicembre improvvisamente morì.
A tornare definitivamente a Roma fu il suo successore Gregorio XI nel 1377: ma Brigida non poté accoglierlo come aveva fatto con Urbano V, perché era già morta da quattro anni. A prendere il testimone e convincere definitivamente il papa a tornare a Roma era stata un'altra grande santa: Caterina da Siena.
Il 30 dicembre, dopo un solo giorno di conclave, fu eletto papa il cardinale Pierre Roger de Beaufort, che scelse il nome di Gregorio XI. Il neoeletto aveva quarantadue anni ed era nipote di Clemente VI, che l'aveva innalzato alla porpora cardinalizia appena diciottenne. Gregorio XI aveva studiato a Perugia ed era un insigne giurista; come uomo, era devoto, sensibile e intuitivo; come politico, sapeva bene che il ritorno del papato a Roma costituiva ormai un'esigenza improrogabile.
Brigida si rallegrò della sua elezione a papa, anche perché l'aveva conosciuto di persona quando era cardinale: si era infatti rivolta a lui per far recapitare a Urbano V la lettera con cui gli annunciava una rapida morte se fosse tornato ad Avignone.
Fiduciosa che Gregorio XI avrebbe riportato il papato a Roma, già nel gennaio 1371, pochi giorni dopo la sua elezione a pontefice, Brigida gli inviò la rivelazione ispiratale per lui dalla Vergine Maria; a recapitarla fu il suo devoto amico Latino Orsini.
Ecco il testo della lettera:
Io sono colei che ha generato il figlio di Dio. Dopo averti affidato alcune parole che dovevano essere comunicate a papa Urbano V, ora di nuovo ti dico alcune parole da trasmettere a papa Gregorio XI. Ma affinché queste parole siano meglio comprese, voglio fare un paragone: una madre amorevole vede il suo amatissimo bambino giacere nudo e tremante di freddo sul pavimento e si accorge che il piccino non ha la forza per alzarsi e piange miserevolmente per il desiderio delle carezze e del latte materno. Allora la madre si commuove e piena d'amore per il suo bambino corre rapida verso di lui, lo solleva, lo accoglie fra le sue braccia, lo riscalda col calore del suo seno materno e lo nutre dolcemente col suo latte. Allo stesso modo io, madre di misericordia, voglio comportarmi con papa Gregorio XI, se tornerà in Italia e a Roma con l'intenzione di rimanervi e se avrà la ferma volontà di porre rimedio alla miseria delle pecorelle a lui affidate e se si dedicherà con umiltà e amore a riportare la Chiesa ad una nuova condizione. Allora io, madre veramente amorevole, lo solleverò da terra come un bambino nudo e tremante di freddo, cioè libererò lui e il suo cuore da ogni desiderio e attaccamento terreno contrario a Dio, e lo riscalderò col calore materno dell'amore che è nel mio petto. Lo nutrirò poi col mio latte, cioè con la mia preghiera... Ecco, io gli ho rivelato il mio amore materno, quello che gli dimostrerò se ubbidisce; poiché è volontà di Dio che egli riporti umilmente la sua sede a Roma. Affinché però il papa, nel caso che non obbedisca, voglia scusarsi col motivo dell'insicurezza, annunciagli con materno amore che cosa ne conseguirà: dovrà subire l'ira di Dio, mio figlio, la sua vita sarà abbreviata e sarà chiamato davanti al tribunale di Dio. Allora nessuna potenza terrena potrà aiutarlo. Anche la sapienza e la scienza dei medici non potrà giovargli e neppure l'aria del suo paese natale gli sarà benefica per allungare la sua vita anche di poco...
A quanto risulta, papa Gregorio XI fu molto colpito da questa rivelazione, che certamente contribuì a farlo orientare sempre più verso il progetto di lasciare Avignone. Brigida aveva fatto quanto poteva per indurre il pontefice a riportare la sede papale a Roma. Ora non restava che attendere. Intanto però era venuto il tempo di riprendere il bastone del viandante e affrontare il più lungo, impegnativo e agognato dei suoi pellegrinaggi: quello in Terra Santa.
Le sedi papali erano all'epoca assai trascurate: il palazzo del Laterano era stato gravemente danneggiato nel 1360 da un incendio e non era mai stato restaurato; il Vaticano e Castel Sant'Angelo erano anch'essi bisognosi di ristrutturazioni. Il papa avviò subito i lavori e diede immediatamente inizio alla sua attività politica ricevendo molti regnanti, tra cui il re di Cipro e la regina Giovanna di Napoli.
L'estate successiva fu trascorsa nella residenza estiva di Montefiascone, sul lago di Bolsena, e nell'autunno dello stesso anno Urbano V si recò a Viterbo per incontrarsi con l'imperatore Carlo IV e rientrare con lui a Roma, cosa che avvenne nell'entusiasmo generale. Il 21 ottobre l'imperatore scortò il papa fino in San Pietro reggendo le redini del suo cavallo. In quell'occasione il pontefice incoronò imperatrice la quarta moglie di Carlo IV, Elisabetta di Pomerania. Brigida vide così papa e imperatore insieme a Roma, come molti anni prima le era stato preconizzato: «Vai a Roma e restaci finché non vedrai il papa e l'imperatore». L'avverarsi di questa profezia accrebbe il prestigio di Brigida. Ritenendo il vaticinio impossibile, molti infatti non le prestavano fede o addirittura la deridevano; ma poi, come testimonia la figlia Caterina negli Atti del processo, dopo che papa e imperatore furono entrati insieme a Roma, l'ebbero in maggiore stima e onore.
Questi sviluppi positivi fecero sperare a Brigida che fosse venuto il momento di far approvare la sua Regola. Nel 1369 andò a Montefiascone, dove il papa trascorreva l'estate, e vi rimase tre mesi. La veggente svedese desiderava anche che alla sua chiesa di Vadstena fossero concesse le stesse indulgenze di cui godeva la chiesa romana di San Pietro in Vincoli, dove sono custodite le catene dell'apostolo. Un tale privilegio sarebbe stato molto prestigioso per il monastero, in quanto avrebbe contribuito in maniera determinante alla sua fama di luogo di pellegrinaggio.
Il papa mostrò a Brigida grande attenzione e rispetto, ma l'approvazione dell'ordine incontrava in lui una certa resistenza. I problemi da risolvere erano molti: il latino nel quale la Regola era stata scritta risultava duro e antiquato, assai diverso da quello colto e raffinato in uso alla corte papale, col quale i confessori di Brigida non avevano dimestichezza. In questo Brigida ebbe l'aiuto prezioso di Nicola Orsini, che si offrì di curare una versione migliore della traduzione. Orsini, che era in quegli anni governatore papale a Perugia e aveva libero accesso presso il pontefice, provvide personalmente a consegnare al papa la Regola dopo la revisione del testo.
Quanto ai contenuti, una difficoltà era rappresentata dalla natura stessa del monastero, pensato per uomini e donne, cosa non più prevista ormai da moltissimo tempo. Fu inoltre fatto presente che gli ordini già esistenti erano tanti e che non si avvertiva quindi la necessità di una nuova istituzione, esistendo tra l'altro un divieto in questo senso sancito, come s'è detto, dal concilio Laterano del 1215 e confermato dal concilio di Lione del 1274.
Ma Brigida non si arrese: sapeva che il Signore stesso voleva che l'ordine fosse approvato e si rivolse direttamente all'imperatore, che si trattenne a Roma sino alla fine del 1369; a lui indirizzò una lettera dettata dal suo sposo celeste nella quale si legge:
Tu che detieni la dignità imperiale, sappi che io, creatore di tutte le cose, ho dettato una Regola in onore della mia amatissima madre e l'ho data alla donna che ti scrive. Leggila dunque attentamente e fa' sì che questa regola dettata dalle mie labbra sia approvata anche fra gli uomini ad opera del papa, che è il mio vicario in terra, dopo che io l'ho approvata davanti alla moltitudine celeste.
Come si può constatare, Brigida non lasciava nulla di intentato per raggiungere gli scopi che si era prefissata. Nell'estate del 1369 Brigida ebbe una grande gioia: rivide i figli Karl e Birger, che erano venuti a Roma per incontrarla. Ne approfittò per presentarli al papa vestiti dei loro abiti cavallereschi, nella speranza di conferire in questo modo maggiore autorità alla sua richiesta di approvazione dell'ordine.
Desiderando mostrare ai figli alcune delle bellezze d'Italia, ottenne dal papa un particolare lasciapassare e nell'autunno intraprese con loro il pellegrinaggio a Monte Sant'Angelo nel Gargano e a Bari. Dopo il viaggio Karl e Birger tornarono in Svezia.
Al pellegrinaggio partecipò anche un uomo che divenne il migliore e più valido amico e collaboratore di Brigida nei suoi ultimi anni: lo spagnolo Alfonso Pecha de Vadaterra, che era stato vescovo di Jaén in Andalusia e aveva poi rinunciato al suo alto incarico per entrare nell'ordine degli eremiti di san Girolamo (i girolamiti). Venuto in Italia dopo l'invasione dei mori della sua diocesi spagnola, aveva trascorso un certo periodo nella sede del suo ordine a Monteluco, presso Spoleto. Qui aveva sentito parlare di Brigida, aveva desiderato incontrarla, si era recato a Roma e, come lui stesso raccontò nella sua deposizione al processo, l'aveva cercata finché non l'aveva trovata. Da allora le rimase accanto divenendo suo confessore, consigliere, ordinatore delle Rivelazioni e, dopo la sua morte, promotore della causa di canonizzazione. Alfonso era nato nel 1329 o nel 1330 e mori nel 1388. La sua presenza accanto a Brigida si rivelò provvidenziale, anche perché in quegli anni i due Petrus furono soggetti a varie infermità che impedirono loro per esempio di unirsi alla futura santa e ai suoi figli nel loro pellegrinaggio.
Dobbiamo al vescovo Alfonso una preziosa testimonianza sul carattere e il comportamento di Brigida e sul suo atteggiamento verso i sacerdoti che facevano parte della sua famiglia:
Aveva massima obbedienza verso i suoi padri spirituali, al punto da mortificare la propria volontà, perché ogni cosa che faceva era sottomessa al consenso dei predetti padri; non usciva di casa se non con il loro consenso e quando andava per Roma a visitare i santuari era sempre in loro compagnia; e neppure osava alzare gli occhi da terra se non dopo aver chiesto e ottenuto licenza di farlo. Anche tutte le attività della giornata, la suddivisione del tempo, il silenzio e la preghiera erano sottoposte al giudizio dei padri spirituali, come pure le visioni divine che riceveva quando pregava.
Dell'obbedienza ai padri spirituali rende buona testimonianza anche la figlia Caterina: «Per obbedienza ai suoi padri spirituali dormiva senza materasso, e questo durò fino a poco tempo prima della morte, quando ormai era affetta da molte infermità»'. La donna forte, capace di rivolgersi con autorità a papi e imperatori per indicare loro il volere di Dio, era in realtà umilissima, devota ai padri spirituali e disposta a rinunciare alla propria volontà in nome dell'obbedienza.
Il vescovo Alfonso svolse un prezioso lavoro per la revisione delle Rivelazioni, compito che gli fu affidato dal Signore stesso. Fu infatti dettato a Brigida:
Devi consegnare al mio vescovo eremita tutti i libri delle Rivelazioni con queste mie parole, affinché possano essere tradotti in molte lingue; lui dovrà spiegare, illustrare e custodire il senso cattolico del mio spirito. Così come il tuo cuore non è sempre in grado di esprimere con sufficiente calore e trascrivere ciò che ti viene comunicato, ma lo ponderi nella tua mente, e poi lo scrivi e lo riscrivi fino a trovare il corretto significato delle mie parole, allo stesso modo il mio spirito si levò e discese tra gli evangelisti e i maestri, che a volte produssero qualcosa che dovette essere corretto, a volte qualcosa che dovette essere nuovamente trattato, altre volte ancora furono biasimati e dovettero intervenire altri per meglio esprimere le parole che avevano usato. E tuttavia fu sempre il mio spirito a infondere a tutti i miei evangelisti le parole che essi pronunciarono e scrissero. Dì allora all'eremita che deve eseguire e portare a termine il lavoro dell'evangelista'.
Alfonso di Jaén curò la redazione definitiva delle Rivelazioni e la loro suddivisione in otto libri. Nell'estate del 1370 Brigida era di nuovo a Montefiascone e fu ricevuta dal papa insieme ad Alfonso e a Nicola Orsini. Il risultato ottenuto fu per Brigida di parziale soddisfazione: la sua Regula Sanctissimi Salvatoris fu approvata, ma solo come appendice della Regola agostiniana che il monastero di Vadstena avrebbe dovuto seguire. Del privilegio di indulgenza richiesto per il monastero non si faceva alcuna menzione'. Era invece concessa licenza per la costruzione di un monastero per le monache con annesso quello per i monaci. La bolla papale, datata S agosto 1370, era indirizzata all'arcivescovo di Uppsala e ad altri tre vescovi svedesi.
Motivo di grande dispiacere per Brigida fu rendersi conto, durante il soggiorno a Montefiascone, che il papa non aveva nessuna intenzione di ritornare a Roma, ma - cedendo alle pressioni dei vescovi francesi -stava anzi programmando di trasferirsi di nuovo ad Avignone. Fece allora avere a Urbano V una lettera ispirata dalla Vergine in cui gli si diceva: «Se riuscirà a tornare in patria, riceverà un colpo tale da fargli battere i denti; la sua vista si oscurerà e tutte le sue membra tremeranno... Gli amici di Dio non lo ricorderanno più nelle loro preghiere ed egli dovrà rendere conto a Dio di tutto quello che ha fatto e omesso»6. Urbano V non ne tenne conto. A metà settembre di quello stesso anno era già in Francia e il 19 dicembre improvvisamente morì.
A tornare definitivamente a Roma fu il suo successore Gregorio XI nel 1377: ma Brigida non poté accoglierlo come aveva fatto con Urbano V, perché era già morta da quattro anni. A prendere il testimone e convincere definitivamente il papa a tornare a Roma era stata un'altra grande santa: Caterina da Siena.
Il 30 dicembre, dopo un solo giorno di conclave, fu eletto papa il cardinale Pierre Roger de Beaufort, che scelse il nome di Gregorio XI. Il neoeletto aveva quarantadue anni ed era nipote di Clemente VI, che l'aveva innalzato alla porpora cardinalizia appena diciottenne. Gregorio XI aveva studiato a Perugia ed era un insigne giurista; come uomo, era devoto, sensibile e intuitivo; come politico, sapeva bene che il ritorno del papato a Roma costituiva ormai un'esigenza improrogabile.
Brigida si rallegrò della sua elezione a papa, anche perché l'aveva conosciuto di persona quando era cardinale: si era infatti rivolta a lui per far recapitare a Urbano V la lettera con cui gli annunciava una rapida morte se fosse tornato ad Avignone.
Fiduciosa che Gregorio XI avrebbe riportato il papato a Roma, già nel gennaio 1371, pochi giorni dopo la sua elezione a pontefice, Brigida gli inviò la rivelazione ispiratale per lui dalla Vergine Maria; a recapitarla fu il suo devoto amico Latino Orsini.
Ecco il testo della lettera:
Io sono colei che ha generato il figlio di Dio. Dopo averti affidato alcune parole che dovevano essere comunicate a papa Urbano V, ora di nuovo ti dico alcune parole da trasmettere a papa Gregorio XI. Ma affinché queste parole siano meglio comprese, voglio fare un paragone: una madre amorevole vede il suo amatissimo bambino giacere nudo e tremante di freddo sul pavimento e si accorge che il piccino non ha la forza per alzarsi e piange miserevolmente per il desiderio delle carezze e del latte materno. Allora la madre si commuove e piena d'amore per il suo bambino corre rapida verso di lui, lo solleva, lo accoglie fra le sue braccia, lo riscalda col calore del suo seno materno e lo nutre dolcemente col suo latte. Allo stesso modo io, madre di misericordia, voglio comportarmi con papa Gregorio XI, se tornerà in Italia e a Roma con l'intenzione di rimanervi e se avrà la ferma volontà di porre rimedio alla miseria delle pecorelle a lui affidate e se si dedicherà con umiltà e amore a riportare la Chiesa ad una nuova condizione. Allora io, madre veramente amorevole, lo solleverò da terra come un bambino nudo e tremante di freddo, cioè libererò lui e il suo cuore da ogni desiderio e attaccamento terreno contrario a Dio, e lo riscalderò col calore materno dell'amore che è nel mio petto. Lo nutrirò poi col mio latte, cioè con la mia preghiera... Ecco, io gli ho rivelato il mio amore materno, quello che gli dimostrerò se ubbidisce; poiché è volontà di Dio che egli riporti umilmente la sua sede a Roma. Affinché però il papa, nel caso che non obbedisca, voglia scusarsi col motivo dell'insicurezza, annunciagli con materno amore che cosa ne conseguirà: dovrà subire l'ira di Dio, mio figlio, la sua vita sarà abbreviata e sarà chiamato davanti al tribunale di Dio. Allora nessuna potenza terrena potrà aiutarlo. Anche la sapienza e la scienza dei medici non potrà giovargli e neppure l'aria del suo paese natale gli sarà benefica per allungare la sua vita anche di poco...
A quanto risulta, papa Gregorio XI fu molto colpito da questa rivelazione, che certamente contribuì a farlo orientare sempre più verso il progetto di lasciare Avignone. Brigida aveva fatto quanto poteva per indurre il pontefice a riportare la sede papale a Roma. Ora non restava che attendere. Intanto però era venuto il tempo di riprendere il bastone del viandante e affrontare il più lungo, impegnativo e agognato dei suoi pellegrinaggi: quello in Terra Santa.