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Mercoledi, 24 aprile 2024 - Misteri gloriosi - San Fedele da Sigmaringen ( Letture di oggi )

Don Nikola Vucic:La felicità non dipende da ciò che uno ha. Stai attento ai inganni dell'avere, stai attento alle false ricchezze. Nella nostra società consumistica ci sono delle persone che possiedono tante cose e sono così abituate al concetto dell'avere che credono di avere anche le cose che in realtà non possono possedere, come per esempio le persone o le sicurezze... E si identificano così tanto con le cose che hanno che il solo pensiero di poter perderle fa nascere l'angoscia. Vivono chiusi come in una gabbia. Invece il Vangelo ci invita alla libertà interiore e al distacco dalle cose. Saper essere felici con quello che si ha, è la vera ricchezza!
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Santa Brigida di Svezia



Santa Brigida

BRIGIDA A ROMA

L'anno santo perorato da Brigida fu effettivamen­te indetto per il 1350 e annunciato a tutto il mondo cristiano. La sede papale continuava però a restare ad Avignone e Clemente VI stringeva ancora di più i rap­porti con la Francia, eleggendo quasi esclusivamente cardinali francesi. Il papa viveva come un principe mondano e Brigida sapeva bene che tra i suoi compi­ti c'era anche quello di lavorare per il rinnovamento della Chiesa. Glielo aveva spiegato molto chiaramen­te il suo sposo divino:

Come una sedia ha quattro gambe e un sedile, co­sì anche la mia sedia, quella che ho dato al papa, de­ve avere quattro gambe, cioè umiltà, obbedienza, giu­stizia e misericordia, e il sedile dovrebbe essere fatto di divina saggezza e amore di Dio. Ora però questa sedia è stata dimenticata e al suo posto ne è stata adot­tata un'altra dove l'orgoglio sostituisce l'umiltà, l'o­stinazione l'obbedienza, l'avidità di ricchezza la giu­stizia, l'ira e la malevolenza la misericordia, mentre chi la occupa non aspira ad altro che ad essere chia­mato saggio e maestro secondo il metro umano.

Brigida sapeva anche che il papa non sarebbe sta­to a Roma per il giubileo: lui stesso l'aveva detto molto chiaramente al vescovo Hemming e a Petrus di Al­vastra quando si erano recati ad Avignone a portargli i suoi messaggi. E a causa di questa assenza la futura santa esitava ad affrontare il pellegrinaggio a Roma in occasione dell'anno santo. Gesù però così le parlò in visione:

Io sono il Figlio del Dio vivente. La Regola del­l'ordine che ti è stata data deve essere confermata dal mio rappresentante, che nel mondo è chiamato papa, poiché egli ha il potere di legare e sciogliere al posto mio e deve rendermene conto davanti a tutte le mie schiere celesti... Inoltre il papa deve permettere che nel luogo che ti è stato mostrato quando ricevesti la Regola venga edificato un monastero; poiché proprio là deve prendere inizio questa Regola.

In un'altra visione le fu ordinato dal Signore di re­carsi a Roma come sua ambasciatrice, di restarci fin­ché non avesse visto il papa e l'imperatore e di dire loro da parte sua le parole che lui le avrebbe ispira­to,. Questa profezia si realizzò, anche se - finché Bri­gida fu in vita - il ritorno a Roma di papa Urbano V fu solo temporaneo. L'imperatore che Brigida vide fu Carlo IV, detto il Boemo perché nato a Praga e so­vrano di Boemia.

Conosciuta la volontà di Dio, Brigida si affrettò a fa­re i preparativi per il lungo viaggio. I motivi per anda­re a Roma erano molteplici: partecipare al giubileo, sol­lecitare presso la Curia romana la conferma papale del suo ordine, lavorare per il ritorno del papa; Brigida de­siderava inoltre ampliare il proprio orizzonte spiritua­le e accrescere lo spazio del proprio apostolato.

La partenza avvenne all'inizio dell'autunno del 1349: Brigida non avrebbe più rivisto la sua patria. Insieme a lei partirono il segretario Petrus di Alvastra e il confessore Petrus di Skànninge; si unì a loro an­che un altro sacerdote svedese di nome Magnus Pers­son, che seguì poi Brigida in Terra Santa. Facevano inoltre parte del piccolo gruppo di pellegrini il sacer­dote Gudmar Fredriksson, che fu in seguito monaco a Vadstena, la giovane signora Ingeborg Laurensdot­ter e alcuni servitori. Nessun membro invece della fa­miglia di Brigida.

Prima di lasciare la Svezia, Brigida volle salutare il maestro Matthias: non l'avrebbe più rivisto, perché l'anziano teologo sarebbe morto l'anno successivo.

Non si sa con certezza quale sia stato l'esatto per­corso dei pellegrini: certamente essi si imbarcarono a Kalmar, sulla costa sud-orientale della Svezia, e sbar­carono sulla costa baltica tedesca.

I Paesi che Brigida attraversò erano in quel tempo sconvolti dalla peste nera, che a partire dal 1350 im­perversò anche in Svezia, mietendo innumerevoli vit­time. Nella primavera di quello stesso anno re Magnus infatti informò tutta la popolazione che l'epidemia, proveniente dalla Norvegia dove il germe era giunto nell'estate del 1349 con una nave inglese carica di tes­suti di lana, stava avvicinandosi al regno svedese.

La medicina del tempo era impotente nei confron­ti della peste: non si poteva far altro che pregare. At traversando le terre tedesche, le più colpite dal mor­bo (la popolazione ne risultò dimezzata), i viaggiato­ri svedesi incontrarono infatti numerose schiere di pe­nitenti e flagellanti, e anche gruppi di pellegrini che come loro si recavano a Roma.

Mentre attraversavano la Svevia, avvenne un epi­sodio che è stato riportato da varie fonti e che è al­l'origine della fondazione, avvenuta nel secolo suc­cessivo, di un importante convento brigidino. Giunti nel sud della Germania, i pellegrini svedesi fecero tap­pa nella cittadina di Mayingen e fecero pascolare i lo­ro cavalli in un prato. Quando il proprietario chiese un compenso, Brigida comprò tutto il campo e lo do­nò alla cittadinanza. Su quell'appezzamento di terre­no sorse in seguito, nel XV secolo, un convento bri­gidino, dal quale pochi anni dopo ebbe origine il ce­lebre monastero di Altomúnster, presso Augusta in Ba­viera.

Poi finalmente, dopo aver attraversato le Alpi, i pel­legrini giunsero in Italia. La prima tappa fu a Milano, per pregare nella basilica di Sant'Ambrogio. Come leg­giamo nelle Rivelazioni, il grande vescovo di Milano apparve a Brigida due volte e le parlò delle carenze e dei difetti di certi pastori della Chiesa. La fortificò an­che nella sua missione di conversione: «Dio ti ha chia­mata affinché in spirito tu possa vedere, udire, com­prendere e rivelare agli altri ciò che avrai udito».

A Milano si ammalò gravemente e poi morì Inge­borg Laurensdotter, che aveva affrontato il pellegri­naggio a Roma per ottenere l'indulgenza dei suoi pec­cati e soltanto con fatica aveva ottenuto dal marito il permesso di partire. Dopo la sepoltura di Ingeborg, il piccolo gruppo proseguì in direzione di Genova, so­stando a Pavia per rendere omaggio a sant'Agostino, il cui corpo, portato via da Ippona per timore di atti vandalici, era giunto qui dopo una sosta a Cagliari.

A Genova i pellegrini si imbarcarono e prosegui­rono il viaggio per mare fino a Ostia. Roma era fi­nalmente a portata di mano. Non immaginava, forse, la veggente svedese, che Roma sarebbe diventata la sua nuova patria e che avrebbe dovuto attendere ben diciassette anni prima di vedervi giungere un papa: Urbano V, che vi rimase meno di tre anni.

Da Ostia i pellegrini raggiunsero Roma a piedi, fa­cendo sosta alla basilica di San Paolo per rendere omaggio all'Apostolo. Giunti in città, la prima visita fu certamente quella a San Pietro.

Brigida e i suoi trovarono alloggio all'albergo del­l'Orso, sulla riva sinistra del Tevere, di fronte a Ca­stel Sant'Angelo, dove all'incirca mezzo secolo prima, in occasione del primo anno santo della storia (il giu­bileo di Bonifacio VIII del 1300) aveva alloggiato an­che Dante Alighieri.

Pochi giorni dopo Brigida ricevette la visita di un messo del cardinale Hugo di Beaufort, che offrì ospi­talità a lei e al suo seguito nel palazzo del suo signo­re. Fratello di papa Clemente VI, che ben conosceva la personalità di Brigida e probabilmente desiderava usarle una cortesia, il cardinale Beaufort risiedeva in quegli anni ad Avignone e non abitava quindi il gran­de palazzo adiacente alla chiesa di San Lorenzo in Da­maso, della quale era titolare. Nello stesso palazzo aveva sede anche la cancelleria papale.

Brigida accettò con gioia l'invito e si trasferì con i suoi accompagnatori nel vasto appartamento al primo piano, che era fornito anche di una piccola cappella. Dalla finestra della sua camera, attraverso le finestre della chiesa, Brigida poteva anche godere della vista dell'altare maggiore di San Lorenzo in Damaso. Qui abitò per quattro anni. Fu in questo palazzo che nel­l'anno giubilare 1350 Brigida ricevette il famoso Ser­mo angelicus, ovvero rivelazioni dettatele da un ange­lo. Alcuni capitoli dell'opera, che narra la storia di Ma­ria, furono destinati a essere letti quotidianamente al­le suore del convento di Vadstena, aperto nel 1384.

Come trascorreva le sue giornate a Roma la princi­pessa svedese? Un brano delle Rivelazioni, che ripor­ta le parole di Gesù stesso, lo descrive esattamente:

Vi consiglio di utilizzare per dormire le quattro ore prima della mezzanotte e le quattro dopo la mezza­notte. Chi non ne è capace, provi a desiderare di far­lo e ci riuscirà. Se qualcuno è ragionevolmente in gra­do di dormire un po' meno, senza per questo subir­ne danno nelle forze fisiche e psichiche, ne avrà me­rito e premio. Successivamente dovete utilizzare quat­tro ore per pregare e dedicarvi a opere utili e bene­merite, così che nessuna ora trascorra senza dare frut­to. In seguito potete avere due ore per il pasto di mez­zogiorno. Se userete meno tempo, ne sarete ricom­pensati da Dio. Questo tempo non dovete prolun­garlo a meno che non ci sia un motivo ragionevole per farlo. Poi dovete dedicare sei ore a lavori neces­sari, consentiti o richiesti. Successivamente altre due ore per i vespri, la preghiera della sera e altre pre­ghiere a voi gradite. Infine ancora due ore per la ce­na e per serene conversazioni.

Brigida pregava molto, prendeva lezioni di latino dal maestro Petrus e scriveva in svedese le rivelazioni che il suo segretario traduceva poi in latino: «Studio grammatica, prego e scrivo», leggiamo nelle Rivela­zioni.

Il maestro Petrus dal canto suo ricevette dalla San­ta Sede l'incarico di fare da padre spirituale a tutti i pellegrini svedesi che venivano a Roma: a loro Brigi­da dedicava cure e attenzioni, ospitandoli spesso nel­la sua casa.

Ampio spazio avevano nella giornata di Brigida an­che le visite ai luoghi sacri romani, in particolare le sette chiese' e le catacombe della via Appia, dove i primi cristiani avevano trovato rifugio durante le per­secuzioni.

Il maestro Petrus raccontò nella sua deposizione al processo che, in memoria delle ferite e della passio­ne di Cristo, Brigida usava lasciarsi cadere sulla pelle nuda gocce di cera incandescente, e quando le ferite accennavano a chiudersi lei le rinnovava con le un­ghie, affinché il suo corpo non fosse mai senza i se­gni della passione. Di venerdì, in base alla testimo­nianza della figlia Caterina, la santa soleva anche in­gerire erbe amarissime (berbam amarissimam que vo­caturgenciana), in ricordo dell'amara bevanda data a Gesù durante la sua passione.

Nel XIV secolo Roma era una città trascurata e in decadenza. Alle devastazioni del terremoto del 1348 che aveva provocato pesanti danni ai monumenti e al­le abitazioni, si aggiungeva la difficile situazione in­terna: ruberie, brigantaggio, estrema libertà di costu­mi. Ciò era in gran parte dovuto all'assenza del papa e all'anarchia che ne conseguiva. Roma era anche di­laniata dalle lotte tra i Colonna e gli Orsini e coinvolta nelle sommosse di Cola di Rienzo. In questo stato di cose la situazione nella città eterna non era affatto si­cura neppure per i pellegrini che, nonostante l'assen­za del papa, arrivavano numerosi per visitare i luoghi sacri e pregare sulle tombe degli apostoli.

Leggiamo in un'antica cronaca:

La brutale violenza aveva preso il posto del diritto; non c'era più alcuna attenzione per le leggi, nessuna protezione della proprietà, nessuna sicurezza delle per­sone. I pellegrini che visitavano le tombe degli apostoli venivano aggrediti e derubati, alle donne veniva usa­ta violenza. Le chiese di Roma erano in rovina, in San Pietro e in Laterano le greggi pascolavano nell'erba che arrivava fino all'altare. Sulle colline del Campidoglio veniva coltivata la vite, il foro era stato trasformato in orto e pascolo, gli obelischi egiziani giacevano a ter­ra, spezzati e semisepolti. Come conseguenza del tra­sferimento della Santa Sede, erano subentrate divisio­ni interne, abbrutimento generale e spopolamento".

Roma è come un campo nel quale sono cresciute rigogliose le erbacce. Di conseguenza deve prima es­sere purificato col ferro e col fuoco e poi arato di nuo­vo da un aratro trainato da una coppia di buoi. Per questa città si prepara una grande punizione disse un giorno la Vergine a Brigida. Le Rivelazioni fanno chiaramente intendere quanto Brigida pregas­se e si prodigasse per porre rimedio a questa triste si­tuazione. Non s'impegnò soltanto con la preghiera, ma agì concretamente intervenendo spesso nelle co­se pubbliche e sollecitando il ritorno del papa a Ro­ma per il bene della Chiesa e della città.

La preoccupazione di Brigida per Roma e le mise­rande condizioni in cui lo stato pontificio versava a causa dell'assenza del pontefice fu costante. Ne fa buona testimonianza una sua lettera indirizzata a un'alta personalità ecclesiastica, forse il vescovo di Or­vieto che all'epoca svolgeva le mansioni di vicario pa­pale. La lettera contiene la richiesta di informare il pa­pa della situazione:

Illustrissimo signore, tra le altre notizie si faccia sa­pere al papa quanto sia penoso lo stato della città che un tempo era felice spiritualmente e corporalmente. Ora però essa è infelice sia corporalmente che spiri­tualmente; corporalmente perché i suoi principi mon­dani, che dovrebbero essere i suoi difensori, sono di­venuti i suoi più terribili rapinatori; per questo le ca­se sono distrutte e molte chiese che custodiscono le spoglie mortali dei santi vengono devastate. I santuari della città, dopo che i tetti sono crollati e le porte di­velte, sono divenuti le latrine di uomini, cani e bestie. Spiritualmente la città è infelice perché molte leggi emanate da santi pontefici su ispirazione dello Spiri­to Santo a lode di Dio e per la salvezza dell'anima im­mortale non hanno più validità. Al posto loro sono subentrati, su ispirazione di spiriti malvagi, abusi e malcostume a disonore di Dio e per la rovina delle anime. Una legge della santa Chiesa prevedeva per esempio che i chierici venissero consacrati, poi con­ducessero una vita devota, servissero Dio con la pre­ghiera e indicassero con le buone opere la via per la patria celeste. Adesso però è subentrato il gravissimo abuso in base al quale i beni della chiesa vengono af­fidati a laici non consacrati, i quali per poter essere considerati chierici non si sposano, ma che senza al­cuna vergogna si portano in casa e nel letto delle pro­stitute, e tuttavia dicono: «A noi non è lecito vivere una vita coniugale perché siamo canonici». Anche i sa­cerdoti, i diaconi e i sottodiaconi evitavano un tem­po la vergogna di una vita impura; oggi alcuni di lo­ro si vantano addirittura di far vedere in giro le loro prostitute col ventre gonfio e non si vergognano se uno dei loro amici sussurra loro nell'orecchio: «Vedi, illustrissimo signore, presto ti nascerà un figlio o una figlia!». Sarebbe più giusto che fossero chiamati ser­vi del diavolo piuttosto che sacerdoti consacrati.

Il santo fondatore Benedetto e altri padri hanno, col permesso dei vescovi, stabilito regole e fondato monasteri in cui gli abati vivevano con i loro confra­telli, pregavano di giorno e di notte e conducevano un'esemplare vita monastica. Era veramente una gioia visitare i monasteri in cui i monaci cantavano le lodi di Dio e con l'esempio della loro purissima vita in­ducevano i peccatori a migliorarsi. Anche i buoni ne venivano rafforzati nella loro fede e nella loro con­dotta. Le anime del purgatorio ottenevano la pace eterna grazie alle preghiere di questi religiosi. Un tem­po ogni monaco che viveva in base a queste regole era tenuto in grande considerazione ed era amato da Dio e dagli uomini. Chi invece non si preoccupava di at­tenersi alle regole, era disprezzato. Un tempo si rico­nosceva il monaco anche dall'abito. Oggi al posto di queste regole sono subentrati in molti casi miserevo­li abusi. Gli abati vivono nei loro castelli, dentro e fuori la città, nel modo che vogliono. È quindi dolo­roso visitare i cenobi, poiché solo pochissimi mona­ci, e a volte addirittura nessuno, pregano nel coro al­le ore stabilite. Nei monasteri si legge e si studia po­chissimo, non si canta quasi più, in certi giorni non si dice neppure messa. 1 buoni si sentono oppressi dal­la cattiva fama dei monaci malvagi, i malvagi diven­tano sempre più malvagi. C'è da temere che le pre­ghiere di questi monaci possano aiutare ben poco le anime del purgatorio. Molti monaci hanno la loro abitazione privata in città; ognuno ha la propria ca­sa; molti di loro, quando gli amici li vanno a trova­re, abbracciano i loro figli e dicono tutti felici: «Guar­da, questo è mio figlio!». 1 monaci non si riconosco­no più dagli abiti e addirittura dopo il tramonto del sole portano addosso un'arma per fare quello che lo­ro meglio aggrada. Un tempo c'erano dei santi che ri­nunciavano a grandi ricchezze e vivevano una vita ascetica senza curarsi dei beni materiali. Vestivano po­veramente e conducevano una vita pura. Questi san­ti e i loro confratelli vengono per questo chiamati mo­naci mendicanti, i papi avevano confermato con gioia le regole del loro ordine e gli appartenenti all'ordine avevano accettato volentieri un simile genere di vita a maggior gloria di Dio e per la salvezza dell'anima immortale. Oggi però si è colti da tristezza vedendo come sono degradate e non più seguite queste rego­le che un tempo Agostino, Domenico e Francesco sta­bilirono per ispirazione dello Spirito Santo e che fu­rono seguite volentieri da uomini e donne ricchi e no­bili. Oggi molti monaci fanno tutto ciò che l'ordine vieta di fare e addirittura si vantano di usare per le loro vesti stoffe più preziose e costose di quelle usa­te per gli abiti dei ricchi vescovi.

Grazie a san Gregorio Magno e altri santi, a Roma furono edificate case femminili di clausura; le mona­che che vi vivevano non erano mai state viste da nes­suno. Ora però in questi monasteri si commettono gravi abusi, perché le loro porte si aprono indiffe­rentemente per religiosi e laici, anche di notte; le mo­nache lasciano entrare chiunque loro piaccia. Di con­seguenza questi edifici assomigliano più a case di pia­cere che a santi conventi...

La lettera di Brigida continua lamentando gravi mancanze da parte di religiosi e laici cristiani: i padri confessori accettano denaro da coloro che vanno a confessarsi; soltanto una persona su cento si confes­sa e si comunica; il matrimonio religioso ha perso ogni significato e spesso nella stessa casa convivono moglie e amante; durante il periodo di Quaresima molte per­sone giovani e sane mangiano carne; il giorno festivo non viene osservato e non pochi ricchi costringono i loro sottoposti a lavorare anche la domenica e i gior­ni festivi. Infine i cristiani praticano l'usura come i giu­dei, comportandosi sovente assai peggio di loro.

L'Eccellenza vostra non si meravigli quindi - con­tinua la lunga lettera di Brigida - se a causa di questi abusi ho definito Roma una città infelice. C'è da te­mere che la fede cristiana in breve tempo cada in oblio se non interviene qualcuno che ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stesso e che ponga fine a ogni abuso. Abbiate quindi compassione della Chie­sa e di quelli del suo clero che amano ancora Dio con tutto il cuore e disdegnano le cattive abitudini sopra menzionate, che a causa dell'assenza del papa sono come orfani e che tuttavia hanno difeso con amore e fedeltà infantile il trono del Santo Padre, si sono op­posti a tutti i traditori e ne hanno ricavato molte pe­ne e difficoltà.

Quanto al pontefice, Brigida riceve per lui dal Si­gnore una rivelazione molto severa:

Mi rammarico con te, o capo della mia Chiesa, tu che siedi sul seggio che ho donato a Pietro e ai suoi successori perché abbiano una triplice dignità: primo, perché abbiano il potere di legare e slegare le anime dal peccato; secondo, perché aprano il cielo ai peni­tenti; terzo, perché lo chiudano ai maledetti e a co­loro che mi disprezzano. Ma tu che devi liberare le anime e presentarmele, tu ne sei il carnefice; poiché io ho nominato Pietro pastore e guardiano del mio gregge, e tu ne sei il dissipatore e colui che lo ferisce. Tu sei peggio di Lucifero, perché lui mi invidiava e desiderava uccidere soltanto me per regnare al mio posto, mentre tu non solo mi uccidi, ma uccidi anche le anime col tuo cattivo esempio. Io ho guadagnato le anime col mio sangue e te le ho affidate come un fedele amico; ma tu le abbandoni a un nemico dal quale io le avevo liberate. Tu sei più ingiusto di Pila­to, che non condannò a morte altri che me; tu non solo giudichi me pur non avendo al riguardo alcun potere, ma condanni anche le anime innocenti e per­doni i colpevoli. Tu mi sei più nemico di Giuda, che vendette me solo; tu vendi anche le anime dei miei eletti per desiderio di guadagno e per vanità. Tu sei più abominevole di coloro che crocifissero il mio cor­po, perché crocifiggi e punisci le anime dei miei elet­ti. E poiché tu sei simile a Lucifero, più ingiusto di Pilato, più crudele di Giuda, più abominevole di chi mi crocifisse, io con ragione mi lamento di te".

Parole chiare e dure, che in questa come in altre oc­casioni Brigida non ebbe paura di indirizzare ai pon­tefici per indurli a tornare sulla retta via. Ma le preoc­cupazioni religiose, politiche e sociali di Brigida non si concentrarono solo sulla situazione di Roma, del pa­pa e della Chiesa: andarono ben oltre. La deposizio­ne del suo segretario Petrus di Alvastra fatta alla Cu­ria romana nel 1380 e contenuta negli Atti del processo di ca

nonizzazione ci informa infatti che Brigida fu in corrispondenza con molte personalità religiose e politiche. Leggiamo infatti: Brigida impetrò da Dio molte risposte per papa Ur­bano V e papa Gregorio XI e per i regnanti di Sve­zia, cioè il re Magnus e la regina sua sposa, e per il nuovo re di Cipro e sua madre Eleonora e per la re­gina Giovanna di Napoli e per molti baroni e prelati e gente del popolo e religiosi e altre persone spirituali del regno di Svezia e della città di Roma e dei regni di Sicilia e di molti altri regni e province, che la in­terrogavano come profetessa di Dio sui loro dubbi e desideravano avere una risposta da Dio attraverso di lei. Per tutti costoro ella impetrò molte e diverse ri­sposte da Dio, utili e belle per la direzione della vita e dei costumi e per chiarire i loro dubbi".

Questo brano consente di capire quanto Brigida fosse nota, stimata e da qualcuno anche temuta per le sue doti profetiche e il suo altissimo profilo morale. Brigida sentiva di essere chiamata a far conoscere la volontà del Signore ai grandi della terra e lo fece sem­pre con coraggio, senza lasciarsi intimorire da niente e da nessuno, aiutata certamente in questo dalla con­sapevolezza del proprio rango e dall'abituale fre­quentazione di sovrani, nobili e alti prelati.

Verso la metà dell'anno giubilare 1350 Brigida tra­scorse un periodo abbastanza lungo all'abbazia di Far­fa, in Sabina, nel ducato di Spoleto, dove regnava la più grande decadenza di costumi. A inviarla fu il Si­gnore stesso, affinché intervenisse presso i monaci.

L'abbazia benedettina di Farfa, oggi in provincia di Rieti, fu fondata nel VI secolo e ricostruita in quello successivo. Aveva conosciuto un grande splendore tra il IX e 1'XI secolo, quando aveva partecipato alle lot­te politiche ed esteso i suoi possedimenti all'Abruzzo e alle Marche. Inoltre gli imperatori tedeschi, a par­tire da Carlo Magno, le avevano concesso grandi pri­vilegi. In questo centro religioso e culturale, che nel medioevo era stato di primaria importanza, era ades­so penetrato lo spirito mondano: l'abate viveva come un principe secolare e i suoi frati si comportavano di conseguenza.

Leggiamo nelle Rivelazioni:

Il fuoco che era emanato da san Benedetto accese tre specie di uomini, che possono essere considerati tre diverse qualità di combustibile. Innanzitutto co­loro che bruciarono come l'incenso e abbandonaro­no il mondo per amor di Dio. Poi quelli che brucia­rono come erba secca, rinunciando al mondo disgu­stati dalla vanità di tutto. E infine quelli che brucia­rono come rami di ulivo con chiara e pura fiamma ed erano pronti a morire per Cristo. Così furono i pri­mi benedettini: monaci, asceti, missionari. Ma ora lo spirito di san Benedetto ha abbandonato i suoi figli. Le fiaccole spente giacciono a terra e non danno più luce; emanano soltanto il fumo dell'impurità e della concupiscenza.

La visita di Brigida non fu gradita; poiché all'ab­bazia non era prevista la presenza di donne, la prin­cipessa svedese fu ospitata in un magazzino esterno, un autentico vile tugurium, come dicono gli Atti del processo, ma il Signore stesso le spiegò in una visio­ne che quel soggiorno sarebbe stato per lei quanto mai salutare, perché le avrebbe permesso di capire i di­sagi sopportati dai santi eremiti.

Il soggiorno di Brigida a Farfa fu per molti aspetti penoso, perché la sua opera moralizzatrice incontrò resistenza. In una rivelazione relativa a questo perio­do leggiamo infatti:

La Vergine chiese a Brigida: «Quale cosa ti sembra che vi sia da rimproverare a questo abate?». Rispose la santa: «Che molto di rado celebra la messa». Ri­spose la Vergine: «In questo non è meritevole di rim­provero, poiché molti, consapevoli della loro cattiva vita, ragionevolmente si astengono dal celebrare, e perciò non sono da rimproverarsi. Che altro giudichi meritevole di correzione?». Rispose la santa: «Che non porta le vesti secondo le regole del suo istituto, ma troppo delicate e molli». Disse la Vergine: «Anche questo può accadere che sia senza peccato, poiché la consuetudine così comporta. Sono molto più merite­voli di castigo coloro che introdussero ciò contro ogni regola. Ascoltami ora e io ti manifesterò per quali co­se sia degno di severissimo castigo. La prima perché il suo cuore, che dovrebbe essere trono di Dio, è pos­seduto dalle meretrici; secondo, perché nato da umi­li e poveri genitori, ambisce di farsi ricco nella reli­gione, mentre ha promesso di osservare la povertà e di rinnegare se stesso; terzo, perché avendo avuto dal suo creatore un'anima così bella, l'ha orribilmente de­formata; non si lusinghi nel vedersi stimato e ap­plaudito dagli uomini, poiché dall'altissimo Dio giu­dice è disistimato per la sua superbia e quando verrà il suo tempo si troverà senza merito alcuno».

Brigida presentò questa rivelazione all'abate, ag­giungendo che era suo dovere dare buon esempio ai suoi monaci, ma non ottenne alcun risultato. Alla fu­tura santa fu però riservata una grande consolazione, perché proprio a Farfa rivide sua figlia Caterina, ve­nuta a Roma dalla Svezia con un gruppo di pellegrini. Caterina era sposata con Eggert von Kyren, parente del re, che non l'aveva potuta accompagnare perché al mo­mento della partenza era malfermo in salute.

Giunta a Roma, Caterina si era subito messa alla ri­cerca della madre, senza trovarla. Un giorno però in San Pietro aveva incontrato Petrus di Alvastra che, dopo aver accompagnato Brigida a Farfa, spinto da impulso irresistibile era ritornato brevemente in cit­tà; l'incontro apparentemente casuale con Caterina, preoccupatissima per non aver trovato la madre a Ro­ma, gli aveva fatto capire il motivo del suo inspiega­bile desiderio di rientrare a Roma. Petrus condusse su­bito Caterina a Farfa da Brigida e le cronache narra­no che dopo l'arrivo della giovane, che era bellissima, l'accoglienza riservata dall'abate alle due donne fu più ospitale e generosa.

In base alla deposizione di Caterina stessa al pro­cesso, dopo qualche tempo Brigida apprese in visio­ne che Eggert era morto il venerdì santo di quell'an no 19; chiese allora alla figlia, che era appena diciot­tenne, se desiderasse passare a seconde nozze oppure consacrarsi al Signore. Caterina non ebbe esitazioni ed espresse subito il desiderio di restarle accanto e di ser­vire con lei il Signore. All'inizio dell'autunno del 1350 tornò infatti a Roma con Brigida e fu la compagna fedele dell'ultima parte della sua vita; l'ac­compagnò anche in Terra Santa e un anno dopo la sua morte ne riportò i resti mortali a Vadstena.

Durante il soggiorno romano a Brigida non man­carono le preoccupazioni e in più di un'occasione a quelle spirituali si aggiunsero quelle materiali. Preca­ria fu spesso per esempio la situazione finanziaria. La futura santa faceva infatti molte elemosine e, a causa delle difficoltà di trasporto, il denaro che le veniva in­viato dalla Svezia arrivava a Roma in maniera assai ir­regolare. In un'occasione particolarmente difficile Brigida si rivolse alla Madre di Dio ed ebbe questa ri­sposta: «Non ti preoccupare per la giornata di do­mani, perché anche se non ti rimanesse altro che il nu­do corpo, devi avere fiducia nel Signore. Lui che nu­tre i passeri, provvederà anche a voi che ha redento col proprio sangue». Brigida chiese ancora: «Che co­sa mangeremo domani?». E la risposta fu questa: « Se veramente non avete più niente, chiedi l'elemosina nel nome di Cristo». Brigida seguì il consiglio e non si vergognò di chiedere umilmente l'elemosina insieme ad altri mendicanti davanti alla chiesa di San Loren­zo in Panisperna.

Altre volte il denaro necessario arrivò in maniera miracolosa. Per esempio, un giorno che in casa man­cava il necessario, Brigida mandò sua figlia Caterina in San Pietro insieme ad alcune devote signore ro­mane. Mentre pregavano davanti alla tomba dell'a­postolo, si videro davanti una signora sconosciuta ve­stita di un abito bianco e di un mantello nero. La sco­nosciuta portava sul capo un velo bianco. La signora si rivolse a Caterina e le chiese di pregare «per la nor­vegese». Caterina le chiese allora da dove venisse, e la sconosciuta rispose che veniva dalla Svezia. Disse poi che la moglie di suo fratello Karl, il figlio mag­giore di Caterina, era morta e aggiunse: «Pregate per la norvegese! Presto riceverete notizie e aiuti dalla pa­tria, perché la norvegese ha lasciato a voi la collana d'oro che era solita portare». Subito dopo la scono­sciuta signora scomparve. Poco tempo dopo questo episodio arrivò dalla Svezia Ingwald Anundsson, buon amico di Caterina, che annunciò la morte di Guydda, la moglie di Karl. Guydda era norvegese. Ingwald por­tava con sé la collana d'oro della defunta. Questo gioiello aveva un valore così alto che, vendendolo, col ricavato Brigida, sua filia e il seguito poterono vive­re per un anno intero.

Un'altra preoccupazione venne dalla casa in quan­to, dopo quattro anni di soggiorno nel palazzo del car­dinale Hugo di Beaufort, Brigida fu costretta a cercare un nuovo alloggio per sé, la figlia e il seguito. Un in­viato del cardinale le comunicò infatti, piuttosto bru­scamente, di liberare l'appartamento nel giro di un mese.

Ecco come sono narrati i fatti nelle Rivelazioni: Quando udì queste parole, si turbò, poiché aveva presso di sé la sua bella, giovane e nobile figlia, la cui vista infondeva gioia in ognuno. Temeva di non riu­scire a trovare un'abitazione analoga che le consen­tisse di tenere alto l'onore suo e di sua figlia. In la­crime pregò Dio che l'aiutasse. Il Signore però volle mettere alla prova la sua serva e così le parlò: «Vai e cerca per tutto questo mese, percorri con il tuo con­fessore tutta la città per vedere se riuscite a trovare un'altra casa adatta a voi». Ella ubbidì e per tutto il mese girò con dolore e preoccupazione per la città in­sieme al maestro Petrus e al padre spirituale Petrus di Alvastra; non riuscì però a trovare nessuna casa adat­ta. Quando sua figlia Caterina si accorse delle preoc­cupazioni della madre, si afflisse per il suo onore e pianse. Due giorni prima della fine del mese fece pre­parare i bagagli per lasciare la casa e traslocare in una locanda. Oppressa dal dolore si rivolse di nuovo al cielo e chiese aiuto piangendo e pregando. Allora le apparve Cristo e così le parlò: «Tu sei turbata perché non riesci a trovare una casa adatta. Sappi che io l'ho consentito per la tua salvezza e la tua edificazione, af­finché tu conosca per esperienza la miseria e la sof­ferenza che i poveri pellegrini debbono sopportare lontano dalla loro patria, ed impari quindi ad avere compassione. Sappi anche che non sarai mandata via dalla tua casa, ma sarai informata da parte del pro­prietario che potrai rimanervi ancora temporanea­mente ...».

Le cose andarono come il Signore aveva annuncia­to; inoltre qualche tempo dopo una vedova romana di nome Francesca Papazzuri, che conosceva bene Bri­gida e le era devota, le offrì la propria casa nelle vi­cinanze di Campo dei Fiori e della chiesa di San Lo­renzo in Damaso. In questa casa, comoda, spaziosa e cinta da un solido muro, costituita da un edificio prin­cipale, da tre case minori e da una torre, Brigida vis­se fino alla morte con la figlia e con i sacerdoti che l'accompagnavano. È la stessa casa che, ampliata e ri­strutturata, ospita oggi le suore brigidine. Le stanze in cui vissero Brigida e Caterina sono ancora perfet­tamente conservate. Nella nuova abitazione Brigida ospitò spesso parenti, amici e pellegrini svedesi, e an­che poveri e ammalati.

Nel 1355 Brigida ebbe la gioia di rivedere anche il fi­glio Birger, venuto a Roma per farle visita. Una prova del soggiorno romano di Birger, e insieme una testimo­nianza della stima di cui godeva Brigida, è rappresenta­ta da una lettera datata 14 ottobre 1355 e firmata da papa Innocenzo VI. Poiché Birger si era trovato in dif­ficoltà finanziarie e non sapeva come affrontare il lun­go viaggio di ritorno, il pontefice - forse sollecitato da Brigida - venne in suo aiuto e con la lettera sopra cita­ta diede incarico al governatore di Perugia di fargli ver­sare da una banca romana la somma di quattrocento fio­rini d'oro, «come nostro gentile dono».

Dai pellegrini svedesi che venivano a Roma, Brigi­da era tenuta al corrente della situazione politica del­la sua patria, che ebbe sempre molto a cuore. Da Ro­ma seguì la decadenza di re Magnus, che all'inizio del 1353 aveva ottenuto in prestito da papa Innocenzo VI il denaro raccolto in Svezia e Norvegia per l'obolo di San Pietro. Si trattava di una grossa cifra che il re avrebbe dovuto restituire a breve scadenza, entro quello stesso anno. Poiché nonostante gli appelli del papa il denaro non veniva restituito, nel 1358 re Ma­gnus fu scomunicato. Con grande mancanza di umil­tà continuava però a frequentare la chiesa, benché non ne avesse più il diritto. La scomunica, che aveva ad­dolorato moltissimo Brigida, fu revocata nel 1360, ad avvenuta restituzione al papa della somma ricevuta in prestito.

C'erano poi le questioni politiche. Nel 1356 Erik, figlio maggiore di Magnus e figlioccio di Brigida, si era proclamato re degli svedesi, opponendosi al pa­dre. Padre e figlio si erano poi riconciliati, ma Erik era morto presto. Re Magnus aveva anche ceduto al re di Danimarca la Scania, la provincia più meridionale, più ricca e fiorente della penisola scandinava, e l'isola di Gotland, conquistate dagli svedesi a caro prezzo. As­sai preoccupata per questa situazione, Brigida decise allora di scrivere una lettera ai nobili svedesi, dei qua­li faceva parte anche suo figlio Karl, sollecitandoli a recarsi dal re e dirgli quanto segue:

Si tratta della salvezza della vostra anima, non c'è persona in Svezia o all'estero che abbia fama così cat­tiva come voi. Si dice di voi che abbiate commercio carnale con persona del vostro sesso, e ciò non pare incredibile poiché vi sono intorno a voi uomini che voi amate più di Dio, della vostra anima e di vostra moglie. Inoltre vi venne interdetto di entrare in chie­sa, ma voi continuate ad ascoltare la santa messa co­me prima. Terzo e quarto, voi avete dilapidato i be­ni e le terre della corona e siete stato un traditore ver­so la Scania e quei vostri funzionari e sudditi che han­no servito voi e vostro figlio, e vorrebbero continua­re a servire voi e vostro figlio, rimanere sotto la co­rona di Svezia e combattere contro i nemici della Sve­zia. Costoro li avete abbandonati in balìa del peggio­re dei loro nemici, in modo che non potranno mai es­sere sicuri della loro vita e dei loro beni finché egli vivrà.

Se siete disposto a far penitenza dei vostri delitti e peccati e a riconquistare quello che è perduto, siamo pronti a servirvi. Se non ve ne sentite capace, cedete la corona al figlio e andatevene. Ovvero, restate nel Paese purché vostro figlio giuri che si accingerà a ri­conquistare i territori perduti, che ascolterà i consigli dei suoi ministri e renderà giustizia al popolo. Di­versamente un altro sarà eletto re al suo posto, per­ché la mano di Dio pesa ugualmente sul vecchio co­me sul giovane e può fare scacciare l'uno e l'altro.

La lettera di Brigida arrivò in Svezia nel 1365. Po­co tempo dopo apparve il Libellus de Magno Erici Re­ge, uno scritto polemico della nobiltà svedese contro re Magnus certamente influenzato dalla missiva del­la veggente: vi si ritrovano sia le accuse politiche sia quelle di omosessualità e di partecipazione alla mes­sa nonostante la scomunica.

Un altro elemento a favore del sostegno dato da Brigida all'opposizione aristocratica contro re Magnus è il seguente: l'esercito di Alberto di Meclemburgo, invitato dai nobili, che batté e fece prigioniero re Ma­gnus nella battaglia di Gata, era comandato da Karl Ulfsson Sparre, parente di Brigida in quanto marito di Elena, figlia di suo fratello Israel. Nel 1369, quan­do Karl e Birger raggiunsero la madre Brigida a Ro­ma per accompagnarla nel viaggio in Terra Santa, re Magnus era ancora prigioniero nella torre del castel­lo di Stoccolma. Fu liberato solo nel 1371, ma dovette rinunciare alla corona di Svezia per sé e per suo figlio.