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Venerdi, 29 marzo 2024 - Misteri dolorosi - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi )

Don Nikola Vucic:Capita a volte di far notare agli altri i loro errori e di correggerli. In realtà si tratta più di umiliarli e di farli sentire a disagio. Il motivo per cui vogliamo mortificare gli altri è di dimostrare che loro hanno torto, mentre noi abbiamo ragione. Il nostro ego ci suggerisce che questo ci faccia sentire meglio. Ma in realtà ci fa sentire peggio, perché è impossibile stare bene alle spalle di qualcun altro. Non si guarisce ferendo l'altro. Quando, invece, cerchi di tirar su di morale gli altri, di condividere il loro dolore, anche tu ti sentirai meglio. Ogni volta che scegli la via dell'amore, rinunciando alla tentazione di avere ragione, proverai una grande pace interiore.
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Catechesi sulla confessione per il Tempo di Quaresima



Quaresima

L'arte di confessarsi: Parte terza.



In tal modo non correremo il rischio di dimenticare che, come già più volte incidentalmente notato, nel sacramento della Penitenza il primato di valore non spetta all'esortazione del confessore, ma alla purificazione per il sangue di Cristo. Purificazione ottenuta attraverso il pentimento. Da questa verità deriva una conseguenza sul modo in cui si devono recare le proprie colpe al tribunale della penitenza, e cioè che non si tratta di enumerare i propri peccati, ma di confessarli.

Tuttavia i confessori sono quotidianamente colpiti dall'indifferenza, almeno apparente, con cui numerosi penitenti enunciano le loro colpe. Essi fanno un'enumerazione, quasi stessero redigendo una lista che, se ben fatta, sembrerebbe esaurire tutto ciò che la Chiesa richiede loro: non rimane che ricevere l'assoluzione ed andarsene, ormai liberati. La formalità è compiuta.

In realtà, non lo è per niente. Niente è "formalità" nel campo degli atti religiosi, nè per quanto riguarda la Messa, cui non si tratta di "adempiere" ma alla quale bisogna partecipare, ne rispetto alla confessione che è essenzialmente ritrattazione, rinnegamento del male che si è commesso al fine di ottenere il perdono. Affare d'amore, affare di cuore (cioè di volontà). Si è

appena riconosciuto di aver commesso il male, di aver mancato all'amore dovuto a Dio, rifiutando di compiere l'una o l'altra delle Sue volontà (volontà che siamo leali, o giusti, o puri, o amorevoli, ecc.). Ciò deve tradursi nel modo in cui si dicono i propri peccati. Confiteor..., dice la formula che si raccomanda di recitare prima dell'accusa: "io confesso", riconosco, accuso: è la mia colpa, sono colpevole, mi batto il petto. La nostra accusa deve essere in linea con questa formula. Non si tratta di "constatare" che siamo stati cattivi e portare questa constatazione a conoscenza del prete, bensì di esprimere il pentimento per essere stati cattivi.

Sarà quindi bene (e sarà facile, accusando un ristretto numero di peccati) ripetere, a proposito di ciascuna colpa: "Io mi accuso di ...". Ciò impedirà, purchè lo si faccia con il cuore, di cadere nell'aridità indifferente di chi si accontenta di raccontare le sue colpe, invece di confessarle.

E' convienente accusare dei peccati della vita passata, già perdonati in confessioni anteriori?

In quanto esercizio di umiltà può essere benefico, purchè il riconoscersi una volta di più colpevoli di un vecchio peccato già assolto non implichi alcun travaglio per la coscienza. Ma non solo come esercizio di umiltà, ma anche perchè il sacramento porterà la sua grazia di purificazione in modo speciale sul focolaio d'infezione da cui un tempo è sgorgato quel peccato che, forse, non è stato lavato interamente. Allo stesso titolo, può essere bene, in alcune gravi circostanze della vita (prima del matrimonio, l'entrata in religione, durante un ritiro, ecc.) fare una "confessione generale" relativa ad un anno o ad un periodo più lungo. Ma alla condizione che non lo si faccia in virtù di una convenzione ma di un bisogno, che ci si senta spinti da una necessità interiore, non dall'argomentazione: "è da fare". (Questa osservazione vale soprattutto per le confessioni fatte durante i ritiri spirituali).

Ci sono tuttavia delle persone che dovranno astenersi da ogni ritorno sulla vita passata: gli scrupolosi. Gli scrupolosi sono dei malati, e la loro malattia consiste precisamente in un'inquietudine che li rende incapaci di giudicare se hanno fatto o meno, se hanno fatto bene o fatto male un'azione o l'altra. Essi vorrebbero "essere sicuri", e più cercano questa certezza, più questa sfugge loro. Al confessionale, essi vogliono esseri sicuri di aver detto proprio tutto o di aver avuto proprio un'autentica contrizione; e, non essendone mai sicuri, si ripetono all'infinito. Ricerca estenuante, che aumenta la loro malattia nel tentativo di placarla. A loro resta un solo mezzo di guarigione: obbedire, senza discutere, al confessore che ordinerà di chiudere assolutamente gli occhi su ogni passato, prossimo o remoto.