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Mercoledi, 24 aprile 2024 - Misteri gloriosi - San Fedele da Sigmaringen ( Letture di oggi )

Sant'Antonio di Padova:Quanto più l'uomo allarga i suoi possessi, tanto più si limita, perché perde la sua libertà. La smania delle ricchezze lo rende schiavo, e, facendosi servo di esse, diventa meschino. Infelice chi è più piccolo delle cose che possiede! Ed è più piccolo, quando si subordina ai suoi beni, anziché fare che questi stiano subordinati a lui. Tale soggezione servile appare evidente nella febbre che lo domina e nel dolore che prova quando perde i suoi averi. La libertà vera non si trova che nella povertà volontaria.

I QUINDICI SABATI DEL SANTO ROSARIO DI POMPEI

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Quinto Sabato




QUINTO MISTERO GAUDIOSO: GESÙ RITROVATO NEL TEMPIO (Luca 2, 22 - 51)

Meditazione:
I. Cesù non ha che dodici.... ma quante pene ha sostenuto fino a questo giorno! Compiuta appena la Purificazione, l'Angelo del Signore comanda in sogno a Giuseppe di fuggire in Egitto per salvare il Bambino e la Madre dalla mano omicida di Erode. Ecco una secon­da prova dell'obbedienza. E di notte tempo fugge la più santa, la più ubbidiente, la più povera, la più umiliata famiglia del mondo. Vive povera e sconosciuta in Egitto, paese im­merso nella superstizione, nell'idolatria, nel peccato. Gli Innocenti sono stati trucidati da Erode, che non perdona al proprio figlio, e che in fine muore, roso dai vermi, tra fetore insopportabile. Le profezie sulla nascita del Messia si sono adempiute. L'esilio ha fine, e Giuseppe ha l'ordine dall'Angelo di ritornare in Israele. E sempre Giuseppe è il capo. Gesù e Maria tac­ciono, e si lasciano guidare, osservando le leggi della più esatta ubbidienza. Quanti altri stenti in questo secondo viaggio! quali sofferenze e privazioni! O santo Patriarca Giuseppe, vero modello delle anime interiori, fa' parte all'ani­ma mia del tuo silenzio interno, della tua pace prodotta dalla ubbidienza perfetta ai comandi di Dio, e della purezza del cuore e della mente, per eseguire appieno i suoi divini disegni, le sue sante ispirazioni, e le sue voci che mi vengo­no dai miei superiori e dai doveri del mio stato.

II. "Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fan­ciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero" (Lc 2, 42 -43). Ciò non per colpa, ma per disegno della di­vina Sapienza. Gesù rimase, sia per manife­starsi ai dottori giudei, sia per riaffermare in Giuseppe e in Maria l'idea della sua divinità, sia per rendere l'uno per l'altra il modello, il rifugio, la consolazione delle anime desolate. Solamente le anime innamorate di Gesù, le quali più non sentono le dolcezze sensibili della sua presenza e della devozione, e si vedono im­merse nella oscura notte dei sensi e delle passioni, delle aridità, delle tentazioni e del­l'abbandono... queste anime soltanto possono avere un'immagine del grave cordoglio che o~ presse i cuori santi di Maria e di Giuseppe! Ne domandano essi, lo cercano; e nessuno l'ha veduto. O Maria, o Giuseppe, quale fu allora la vostra sollecitudine? Quale fu l'eccesso del vostro dolore? Come passaste quelle notti crudeli? Quanti timori! Quanti pensieri! Quanti rimpr(» veri ciascun di Voi non fece a se stesso! Nulla di simile vi fecero provare i furori di Erode e i pericoli dell'Egitto: allora avevate con Voi Gesù; ed ora più non lo avete. Dio mio, Dio mio, quante volte ti ho perdu­to senza provarne pena! Quante volte son vis­suto senza di te, senza averne inquietudine? Che sarebbe stato di me, se per tua bontà non mi avessi cercato Tu stesso per primo?

III. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava ... Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso" (Lc 2, 46-51). Ecco l'unica parola di San Luca che svela quel che fece Gesù fino al trentesimo anno di età. E gli altri Evangelisti nulla ne hanno detto, perché Egli ha voluto che, dei suoi trent'anni di vita, altro non sapessimo se non che Egli era sottomesso a quelli che suo Padre gli aveva dati per superiori. Questa sottomissione è compendio di tutta la sua vita e della sua dottrina, e, secondo l'Apostolo S. Paolo, l'origine di tutta la sua gi~ ria. "Umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esal­tato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome..." (Fil 2, 8-9). Le prime sue parole infatti riportate nel Vangelo sono parole di ubbidienza: "Non sape­vate, diceva alla Madre sua quando fu da lei ritrovato nel Tempio, che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? (Lc 2, 49). E nella vita priva­ta , Gesù non appariva agli uomini che un figlio ubbidiente ai suoi genitori savi e modera­ti. Considera qui, anima mia, con quanta pena, umiltà e perfezione, Maria e Giuseppe coman­davano e ricevevano obbedienza da un tal Figlio ... che sapevano essere il loro Creatore. Giuseppe, come capo della famiglia, era rispet­tato dalla Madre e dal Figlio di Dio, e questa superiorità lo umiliava infinitamente: vedere Dio soggetto e ubbidiente ad un semplice fale­gname. Maria sapeva che, comandando al Figlio, ubbidiva a Dio che così voleva. Gesù ubbidiva ad ambedue in silenzio, con rispetto e con gioia, come a coloro che tenevano le veci di Dio suo Padre. Ecco l'ubbidienza più perfetta che si sia mai praticata sopra la terra. O dolce modello della vita nascosta! Osservavano esat­tamente la legge di Dio, e vivevano secondo il loro stato con la fatica delle loro mani! Alla fine del lavoro si ritiravano a pregare: quale orazio­ne! quanti doni celesti! Nella vita pubblica ancora Gesù si manife­stò obbediente alla volontà del Padre suo. Ecco la sua dottrina: Egli era sceso dal cielo per fare la volontà di suo Padre, e questa era il suo cibo: la sua dottrina non era sua, ma quella di suo Padre; il calice che doveva bere per noi era quello che suo Padre gli aveva dato. Tutta l'osservanza della Legge Egli rinchiu­se nella carità; ma tutta la prova della carità si ridusse alla pratica dell'ubbidienza. "Se mi amate - dice - osserverete i miei comandamenti" (Gv 14, 15). "Chi non mi ama, non osserva le mie parole" (Gv 14, 24). Nessuno, dunque, piace a Dio se non ama, e colui che ama ubbidisce. Ecco, amore e ubbidienza che riconciliano l'animo con Dio, lo uniscono a lui, gli meritano il paradiso. Difatti, Egli ubbidì con perfetta sottomis­sione a giudici ingiusti, a un preside idolatra, a ministri crudeli, come a superiori che suo Padre gli dava per quel tempo. Dunque per bene obbedire, noi non dobbiamo guardare in quelli che ci comandano nè l'età, nè la ido­neità, nè il merito, nè l'ingegno, nè l'affabilità, neppure la virtu o la santità; ma solo dobbia­mo guardare Colui di cui fanno le veci. Gèsù Cristo ha elevato l'ubbidienza alla sua più alta perfezione. Il Figlio di Dio serviva in una povera casa, sino a stancare le sue delicatissi­me membra, senza speranza di ricompensa anzi sapeva bene che per ubbidire a suo padre, avrebbe infine perduto il riposo, l'onore, il sangue, la vita, con una morte igno­miniosissima, in mezzo a due ladri. Ed affinché le ultime sue parole fossero conformi al principio e al seguito del suo vivere, spirando sulla croce gridò: "Tutto è compiuto. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Gv 19, 30; Lc 23, 46). La sapienza del cristiano, dunque, consiste nell'ubbidienza; e per questo Davide doman­da spesso a Dio: "Signore insegnami a compiere il tuo volere, perché tu sei il mio Dio" (Sal 142-10). "Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita" (Sal 27, 4). Come un servo fede­le che sa e fa la volontà del suo padrone. O eterna Sapienza incarnata, io ti adoro. A te tutto è sottomesso naturalmente: gli Angeli e i vermi, i corpi terrestri e quelli celesti. Non­dimeno, per confondere il mio orgoglio, nascondi la tua grandezza, ti assoggetti alle tue creature anche ingiuste e crudeli. Che bisogno hai Tu della guida di Maria e di Giu­seppe per trent'anni, obbligandoli a coman­darti per prestare loro ubbidienza, Tu che sei la vera Luce e l'infinita Sapienza, che governi quelli che ubbidiscono? Tu vedevi la mia con­tinua ribellione, effetto della presunzione e dell'amor proprio! Perciò sono sempre inquie­to e pieno di mille errori, di malumore, di contraddizione e di collera. O Maestro divino, fa' che il mio spirito e la mia carne ti siano soggetti, e che questo fango mai si opponga alla tua volontà. Infondi la virtù dell'ubbidienza nell'anima mia meschina e riformala da tutti gli errori e dalle sue miserevoli colpe. O purissima Madre di Dio, o glorioso Patriarca San Giuseppe, i più umili e i più ubbi­dienti di tutte le creature, abbiate pietà delle misere cadute del mio orgoglio. Ottenetemi dal vostro ubbidientissimo Figlio la grazia di far sempre la sua volontà. Amen.

Virtù - Ubbidienza. Fioretto - Compi oggi la volontà altrui, senza fare opposizioni. Reprimi il pensiero di aver sempre ragione in ogni cosa, e di voler eseguiti i tuoi consi­gli. Persuaditi che piace più a Dio che si ubbidisca a un altro uomo, benché non sia dei migliori, che seguire, il proprio giudizio. L'ubbidienza, dice il Savio, vai più che le vittime. Giaculatoria - O Maria, Stella del mare, sal­vami dalle angustie in cui mi vedi.

PREGHIERE PRIMA DELLA COMUNIONE

O Maria, o Giuseppe, Voi versaste dolenti lacrime per i tre giorni in cui smarriste senza colpa il vostro Gesù; e io, che l'ho perduto tante volte e per anni interi, non verso neanche una lacrima? Chi scioglierà questo cuor mio più duro di un macigno, finché gli occhi miei si riempiano di amaro pianto? Ai genitori di Gesù è riservato il pianto prodotto dall'amore; e dal pianto dell'amore non è esente lo stesso Santo dei Santi, che piange sul popolo di Geru­salemme ribelle e indurito. E io non piango, con tante frequenti cadute, con tante colpe, con nere ingratitudini al mio Dio, che non cessa per questo di beneficarmi? L'unica confidenza è il dolore vostro e il vostro amore, o Maria, o Giuseppe! Io lo presento oggi al vostro Figlio in cam­bio del dolore e dell'amore che io non ho, e a Voi domando in questa Comunione i vostri so­spiri, i vostri ardenti desideri di ritrovare Gesù. Voi lo rinveniste nel tempio, e nel tempio, in questo altare, ora io lo troverò, tra le vostre braccia. Egli d'allora non si distaccò più da voi, e da questa ora io vi giuro eterna fedeltà. Mai più mi allontanerò da te, o Gesù mio, con qual­siasi peccato. E se Tu vedi che io dovrò com­metterne alcuno, fammi prima morire, anzi oggi stesso dopo averti ricevuto, affinché non ti perda in eterno. Vieni, o dolce amico dell'anima mia, in que­sto cuore, ove l'amore insegnerà le più sapienti lezioni per trasformarmi interamente in te. Tu che ubbidisci alle creature, dammi questa virtù dell'ubbidienza, onde io ti divenga accetto. Tu, o Agnello divino, sempre mansueto, umile e ubbidiente, obbedisci allora alla voce del cuore mio, che ardentemente ti desidera, dopo tante amarezze che ti ha fatto gustare. Quando ti furono chieste le mani per caricarle di catene, Tu le desti. Quando ti fu ordinato di prendere e lasciare la tua veste, Tu lo facesti. Quando ti fu presentato il fiele e l'aceto, Tu li gustasti. Quando ti fu comandato di stenderti sulla croce, Tu ubbidisti e adempisti la volontà dei tuoi carnefici, come se l'Eterno tuo Padre ti avesse per bocca loro parlato. Ubbidisci ora alla voce del tuo ministro, che ti offre al Padre quale vero Agnello di espiazione per i peccati del mondo. Ubbidisci infine all'amore tuo infi­nito, che brama unirsi alla sua creatura con nodi di indissolubile carità. Angeli del paradiso, che regnate in una per­fettissima obbedienza, rompete il legame dell'anima mia, ottenetemi con questa Comunione l'avventurosa libertà in cui voi vivete; affinché, distaccato da me medesimo, non abbia altra volontà che quella del vostro e mio Signore che voi vedete e adorate per sem­pre. Amen.

(Si dice l'Orazione per chiedere a Gesù Cristo la grazia della quale si. ha bisogno, e la Domanda alla Beatissimo Vergine di Pompei, come sono a pag. 7)

PREGHIERE DOPO LA COMUNIONE

Ti lodino le tue virtù, o Signore del cielo e della terra, ti glorifichino gli angeli e i santi; ti benedicano le potenze dell'anima mia! Ti ho ricevuto finalmente, o Dio del mio cuore: finalmente ho trovato Colui che l'anma mia ama! Oh, come ti desideravo, fonte di eter­na vita, sapienza celeste! Come ho languito, lontano da te per tanto tempo! L'anima mia è arida come terreno senz'acqua, perché si è abbeverata nel fonte avvelenato dei piaceri: ècome fieno secco che ha bisogno dell'acqua salutare per rinverdire. Tu sei la sorgente di eterna vita, o celeste Sapienza. Ora sei tutta in me: io ti abbraccio, ti stringo al mio cuore, e non mi partirò dalle tue ginocchia. Tu darai all'intelletto mio lumi celesti, al mio cuore grazia efficace di non perderti più. Ora io ti amo, o Gesù mio, vita dell'anima mia, ed unisco questa mia contentezza e questo mio amore alla gioia che provarono la tua dilet­ta Madre e il tuo putativo Padre, quando ti ritrovarono nel tempio. O Maria, o Giuseppe, per quei tre giorni di angoscia che passaste senza Gesù, e per quella ineffabile allegrezza che sentiste allorché lo ritrovaste nel tempio, ottenetemi da questo vostro Figlio, che ora tengo stretto al cuore mio, che mai più l'offenda. Voi ottenetemi la grazia di non commettere più peccati sino alla morte, e la grazia della perseveranza finale. E se Egli dispone ch'io non senta la sua pre­senza sensibile in tutta la vita, mostratemelo Voi nella mia agonia! Gesù, Maria, Giuseppe, assistetemi nell'ora estrema. E Tu, sapienza e amore infinito, ascoltami in questo momento. Quello che tu richiedi da me so­pra ogni altra cosa, è che io ti obbedisca; e la prima cosa che mi comandi è che io ti ami. Io, mi­serabile peccatore, in contraccambio dell'amore col quale ti sei dato interamente a me, facendo qui, in presenza del cielo e della terra, professione pubblica di ubbidienza perpetua all'amor tuo. Ricevi, o divino Amore, queste mani, questi piedi, questa lingua, questi occhi, tutti i miei sentimenti, tutto il mio corpo, la mia volontà, la mia memoria, il mio intelletto, i desideri, i sospiri, le intenzioni e tutti i movimenti dell'anima. Ricevi, o Signore, tutte le ore, tutti i momen­ti, tutte le circostanze della mia vita, tutto l'uomo interiore ed esteriore. Il tuo amore governi tutto in me, le potenze e le azioni; regoli il mio lavoro, il mio riposo e mi faccia andare e stare dove ti piacerà. Il tuo amore arda nel mio cuore, mi affligga e mi consoli, mi umilii e mi esalti; consumi le mie imperfezioni e tenga tutto il mio interno nella dipendenza e obbedienza perfetta. Rinunzio alla mia volontà; Tu guidami per quella strada che ti piace, e governami per mezzo di chi vuoi, giacché Tu sarai il mio mae­stro, e riconoscerò sempre in ogni cosa, in ogni superiore, la tua voce, o mia guida, o mio mae­stro, o mio buon Padre. Amen.

(Segnano le Orazioni per domandare la grazia di cui si ha bisogno, e le altre invocazioni e preghiere per acquistare le Indulgenze, da pag. 8 a pag. 9).

GRAZIA DELLA VERGINE DEL ROSARIO DI POMPEI IN NAPOLI: I Quindici Sabati del 1884

Un altro esempio di costanza nel pregare e di pazienza nell'aspettar le grazie di Maria ci viene porto dal seguente fatto, pubblicato nel Periodico IL ROSARIO E LA NUOVA POMPEI al quaderno di Marzo 1885. Il beneficato dalla Vergine di Pompei è il Signor Ignazio Ioime di Napoli, fratello del Rev. Sacerdote Gennaro loime che autentica il fatto, ponendovi la testimonianza ancora di tutta la sua famiglia e del medico curante Dottor Gerardo Molfese. E qui non faremo che riportare letteralmente la relazione scritta dal Signor Ignazio Ioime, e pubblicata con le firme dei testimoni nel predetto Periodico. «Verso la fine del mese di Maggio dell'anno 1883, quando io mi godeva una florida salute, fui colto da un inaspettato malessere generale, che mi produceva disturbi nervosi generali. Questi poi si accrebbero a dismisura e si rapi­damente, che io ne andava quasi fuori di me. Ero continuamente travagliato da dolori ai visceri, al petto, e al dorso, e soprattutto alla testa, sentendomela come se fosse stretta da una morsa. Si aggiunse una paralisi viscerale e un tor­pore intestinale, talché non giungeva a digerire nemmeno un tozzo di pane, o un poco di carne; anzi nauseava qualunque cibo. Per il che, dopo quattordici mesi di cosiffatti travagli, caddi in tale prostrazione di forze, che mi ridussi uno scheletro. Gli amici tutti ritennero prossima la mia morte per consunzione. Il mio medico curante, Dottor Gerardo Molfese, dopo di aver messo in pratica tutti i rimedi della scienza, mi fece consultare valen­tissimi Professori, come il Cantani, il Cardarelli ed altri. Ma io, sebbene scrupolosamente ese­guissi tutte le loro prescrizioni, per niente migliorava; di che la mia famiglia era stata avvisata dagli stessi specialisti, i quali nessuna o poca speranza avevano della mia guarigione. Non rimaneva altro che tentare un cambia­mento di aria, e anche ciò eseguii recandomi in S. Giorgio a Cremano, ma senza ottenere alcun vantaggio. Intanto spuntò il Gennaio del 1884. Nar­rando un giorno all'ottimo Sacerdote Rev. Giuseppe Cigliano i miei gravi malanni: Se vuoi star bene, - mi disse, - devi votarti alla Madonna di Pompei. Non mi feci ripetere ciò la seconda volta: pre­gai mio fratello Sacerdote, per nome Gennaro bime, di accompagnarmi il domani a Pompei. Infatti, benché con isforzo, il mattino colà mi recai con detto mio fratello, il quale vi cele­brò Messa. Ed io genuflesso a piè di quella miracolosissima Immagine della Vergine del Rosario, porgeva umili suppliche, chiedendo la sospirata grazia della guarigione, promettendo di ritornare per ringraziarla e, per segno di gra­titudine di presentare un'offerta di lire 200 pel suo Tempio. I miei voti non furono esauditi. Era il giorno di Pasqua di Resurrezione. Ai 13 di Aprile di detto anno 1884, mi recai nuovamente a Pompei con la mia famiglia, e col fra­tello Sacerdote, sperando potessi in quella festa solenne, del primo mistero di gloria del Rosario, impetrare la grazia. Invano! Pensai allora d'interporre presso la Vergine le preghiere degli altri. E però mi recava spesse volte in casa della Signora Contessa De Fusco e dell'Avvocato Bartolo Longo, per chieder loro il favore che facessero fare a Pompei preghiere per me. Quei signori mi ascoltavano con molta pazienza, dacché debbo riconoscere che io riu­sciva loro assai importuno, col lamentarmi sempre del mio stato, e col ripetere sempre le stesse domande. Ed alle confortanti loro parole io vieppiù confidava nella potenza della Madonna di Pompei. Si appressava l'8 di Maggio. Io anelava che spuntasse questo dì, in cui la Madonna suol concedere speciali grazie, per recarmi nuova­mente al Santuario di Pompei. Difatti vi andai: mi raccomandai forte alla SS. Vergine, recitai con gli altri la divota Supplica nell'ora di mezzogiorno, e uscii dal Tempio più confortato. Nell'uscire vidi il Signor Bartolo Longo. Gli ricordai vivamente di far continuare le preghie­re per me. - Volete voi la grazia? - egli mi disse: - fate i Quindici Sabati. Noi incominceremo a praticarli nella chiesa di S. Giovanni a Costantinopoli nell'ultimo sabato del prossimo Giugno. Là ci vedremo. Io esattamente eseguii il consiglio: e incominciai con gli altri la bella devozione dei Quindici Sabati, senza interruzione alcuna. Eravamo già al terzo Sabato, quando vi intervenne anche la signorina Fortunatina Agrelli, la quale, dopo la funzione, entrata in sacrestia, raccontava il miracolo che aveva rice­vuto dalla Madonna di Pompei nel giorno 8 Maggio. E tra le altre cose, diceva che la Madonna stessa aveva suggerito il modo che voleva essere pregata da chi avesse maggior bisogno di suo soccorso, cioè facendo tre Novene per impetrar le grazie, e recitando il Rosario intero di quindici poste; ed altre tre Novene con l'aggiunta del Rosario intero per ringraziamento dopo ricevuta la grazia. Rincorato io da queste belle promesse, incominciai subito le tre Novene alla Vergine di Pompei con la recita del Rosario intero. Oh, potenza di Maria! Ecco che al comincia­re della terza Novena, invocando la Vergine prodigiosa che ha piantato il suo seggio di Regina e di Madre in Pompei, ottenni intera guarigione; per modo che nel principiare di Agosto, quando celebravamo l'ottavo Sabato, il terzo Mistero Doloroso del Rosario, tutti i miei malanni erano svaniti del tutto, senza rimaner­ne traccia alcuna. Io ch'ero giudicato dai medici, dagli amici, dai parenti per uno scheletro sull'orlo della tomba, mi rimisi interamente con meraviglia e stupore della mia famiglia, di quanti mi aveva­no visto infermo, e dello stesso mio medico, che non esitò punto a rilasciarmi il suo attestato. Pieno di giubilo, mi presentai cosi sano alla Signora Contessa ed al Signor Longo, che tante volte aveva io tediati coi miei lamenti; e tutti esultarono, benedicendo la misericordia e la potenza della SS. Vergine di Pompei. In prova della mia totale guarigione, posso assicurare, che durante il colera, seguito da spaventevole strage in quel medesimo mese di Agosto 1884 in Napoli, io tutto ho mangiato, senza astenermi da alcun cibo, che in allora si riteneva nocivo anche ai sani, avendo riacqui­stato miglior floridezza in salute, che non avevo prima di ammalarmi. Aggiungo in fine, che, memore per tutta la mia vita di sì segnalato prodigio ottenuto dalla Santissima Vergine del Rosario di Pompei, adempii subito alla recita delle tre Novene e del Rosario intero per ringraziamento, confor­me mi era stato indicato. Ignazio Nomine.